Please select your default edition
Your default site has been set

NBA, LeBron James, i suoi Lakers e i fiocchi d’avena: “Ci vuole tempo e pazienza”

NBA

"Non è come mettere i fiocchi in una tazza, versare del latte, mescolare e avere già il piatto pronto". Dopo il ko a Portland il n°23 dei gialloviola utilizza una particolare analogia nello spiegare che per sviluppare l'intesa coi suoi nuovi compagni ci vorrà un po' di tempo

NON BASTANO 26 PUNTI DI LEBRON: LAKERS KO A PORTLAND

Si mettono i fiocchi d’avena in una tazza. Si versa del latte. Si mescola. Voilà, non serve altro, la colazione è pronta in un attimo. Perché invece l’amalgama funzioni in campo, tra LeBron James e i suoi nuovi compagni in maglia gialloviola, ci vorrà più tempo. Lo dice lui stesso, utilizzando proprio l'analogia di quelli che negli Stati Uniti si chiamano oatmeal: “Non è un processo immediato. Ci vorrà un po’ prima di poterci trovare a occhi chiusi, di sapere esattamente dove ognuno di noi è posizionato in campo. Non succederà così velocemente come pensate voi”, ha dichiarato “King” James ai giornalisti al termine della sua prima gara in maglia Lakers. Il risultato finale non premia L.A., ma dalla trasferta di Portland il n°23 ricava indicazioni diverse, alcune positive, altre meno. “Mi è piaciuto come abbiamo lottato, per tornare in partita dopo essere stati sotto anche in doppia cifra. Mi è piaciuta la voglia di competere. Mi è piaciuto come ci siamo passati il pallone”. Altre cose sono andate platealmente meno bene: la squadra ha sbagliato i primi 15 tiri da tre (chiudendo con 7/30), ha concesso 14 rimbalzi offensivi a Portland che hanno portato a 21 punti su secondi possessi per i padroni di casa. Quando LeBron James poi ha ripreso fiato in panchina – per meno di 11 minuti – i Lakers hanno fatto registrare uno scarto negativo, -5 punti. Un classico, già visto mille volte a Cleveland lo scorso anno e in generale nelle squadre del “Re”. Un classico, per lui, anche uscire sconfitto dal Moda Center di Portland – gli è successo le ultime sei volte che ha giocato in Oregon. Eppure il messaggio di LeBron James al termine dei primi 48 minuti stagionali è riassumibile in una sola parola: pazienza. Forse a mantenerlo calmo è stata la candela al legno di teak di mogano fatta bruciare in spogliatoio prima della palla a due, quasi a voler creare un ambiente rilassante in mezzo al caos di un esordio seguito e scrutinato da tutti. Non è un caso che in prima fila ci fosse il commissioner NBA Adam Silver, ad esempio. E anche i pezzi grossi di Nike, che ha il quartier generale appena fuori Portland: c’era Phil Knight, e c’era anche quel Lynn Merritt a cui LeBron tanti anni fa spedì a bottega l’amico Maverick Carter, oggi diventato il suo principale business partner (anche lui presente al Moda Center).

Le partenze lente con le sue nuove squadre

Le partenze lente – negli anni dei suoi debutti – non sono una novità per LeBron James. Perse le prime cinque gare al suo ingresso nella lega, nel 2003 (6-19 il record dei Cavs nelle prime 25 partite); anche gli Heat dei “Big Three” faticarono all’inizio, 9-8 il record prima di infilare una striscia di 12 successi; e ancora i Cavs, nel 2014, con David Blatt in panchina vinsero soltanto 19 delle prime 39 gare stagionali, prima di contare anche questa volta 12 vittorie in fila. Nelle ultime due occasioni, LeBron è poi riuscito a raggiungere le finali NBA, per cui non può certo essere una singola partita a spaventare un giocatore d’esperienza come il n°23 gialloviola: “Ci vuole pazienza, da parte di tutti. Dobbiamo conoscerci, capire i nostri punti di forza, i nostri punti deboli, come poter migliorare. È stato un bel test quello di stasera, perché in questo palazzetto vincere non è facile. Giochiamo assieme da meno di un mese [dal training camp, ndr] per cui è presto per trarre alcuna conclusione: dobbiamo affrontare le avversità, capire come reagisce ciascuno di noi, cosa accende ciascun giocatore”. Ci sarà tempo per farlo, una lunga stagione da 82 gare. La prima è già in archivio, ed è stata persa: ma per ora LeBron James non sembra preoccuparsene troppo.