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NBA, perché tutti parlano del rookie di Boston Robert Williams III

NBA

Meno di una settimana fa era in G-League, poi la nascita della figlia, l'occasione persa a Chicago e quella colta al volo contro New Orleans: in 25 minuti sul parquet Robert Williams III aka "Lord Time" è diventato il nuovo beniamino del TD Garden

DAVIS NE FA 41, MA VINCONO I CELTICS

Il bello dell’NBA è anche questo: in una Lega piena zeppa di stelle, di campioni e talento, con 82 partite a disposizione e migliaia di minuti da riempire sul parquet, tutti possono ritagliarsi il loro posto al sole. Una chance tocca prima o poi a chiunque, basta saperla cogliere. E Robert Williams III, rookie dei Celtics scelto alla n°27 dai bianco-verdi nell’ultimo Draft, nel giro di tre giorni ha prima perso e poi sfruttato al meglio un paio d’opportunità di ritagliarsi il suo spazio in rotazione con Boston. Una storia che ha raggiunto il suo apice contro New Orleans, nella sfida vinta dai Celtics nonostante i 41 punti realizzati da Anthony Davis. Un incubo per chiunque abbia provato a rallentarlo, eccezion fatta per Williams che ha sfruttato al meglio i suoi 210 centimetri e le sue braccia lunghissime per stoppare ben due volte il n°23 dei Pelicans. Chiariamoci: Davis ha continuato imperterrito a macinare canestri anche contro di lui, ma negli occhi di tutti è rimasta la sua giocata a sette minuti dalla sirena. Con una lunga lista di infortunati con cui era costretto a fare i conti (fuori sia Horford che Baynes sotto canestro, oltre a Irving e Hayward), coach Stevens ha deciso di concedere minuti importanti sul parquet proprio a Williams. Boston a quel punto della gara era in controllo e New Orleans stava provando a riportarsi in scia, affidandosi ovviamente a Davis spalle a canestro. Movimento classico spingendo indietro il rookie, prima di svitarsi su sé stesso per tirare cadendo all’indietro. Una conclusione virtualmente immarcabile per molti, presa ad altezze proibitive. Williams però si allunga come può, deviando la conclusione e recuperando il pallone in un solo movimento. La giocata in sostanza che ha sancito il successo dei Celtics, la seconda della sfida dopo che nel primo quarto ne era già arrivata un’altra, sempre su Davis. Il tabellino di Williams a fine partita diventa così davvero di tutto rispetto: sette punti, 11 rimbalzi e tre stoppate totali in oltre 25 minuti di utilizzo. Il giusto coronamento di una settimana da ricordare.

La G-League, la figlia Ava e la prima occasione con i Celtics

“Sapevo che avrebbero dato il pallone a Davis, ma l’ho vissuta come se fosse una giocata qualsiasi. Ho fatto soltanto il mio lavoro a protezione del ferro, nulla più”. Dopo i 32 minuti totali raccolti nelle prime 25 partite di Boston, ci si sarebbe aspettati uno slancio d’entusiasmo maggiore da parte del neo-papà Robert, soltanto cinque giorni fa in giro per gli USA assieme alla squadra di G-League. Williams infatti giovedì scorso è partito per il Maine, pronto a scendere in campo con i Red Claws (la squadra affiliata ai Celtics): durante la sessione di tiro però il suo smartphone ha iniziato a squillare ripetutamente, costringendolo a partire di corsa per il Texas dove la sua compagna stava partorendo. “Mia figlia si chiama Ava – racconta – mi assomiglia un sacco e non so se è una gran fortuna”, racconta commosso. Un imprevisto che lo ha tenuto lontano dalla squadra durante la trasferta di Chicago, in una gara in cui i Celtics hanno inflitto ai Bulls la peggior sconfitta della loro storia. Una sfida già priva di senso dopo 20 minuti, l’occasione ideale per scendere in campo e farsi notare: “Ero convinto non sarebbe più capitata un’opportunità del genere, ma i tempi sono stati questi e io non c’ero. Avevo paura di restare a lungo quello che non capisce le indicazioni di Stevens”. L’episodio a cui fa riferimento è quello della sfida contro Denver, una delle rare occasioni in cui è sceso sul parquet in una fase “calda” di partita e in cui l’allenatore dei Celtics gli aveva assegnato il compito di fare fallo su Mason Plumlee. Fallo, fallo, fallo e poi in panchina. Dopo un possesso però Stevens ha cambiato idea, urlando “solid” da bordocampo e invitando i suoi a contenere Paul Millsap. Williams però era convinto di aver sentito “fai fallo”, colpendo duro l’ex Atlanta Hawks (che viaggia con il 75% dalla lunetta e che ha portato a casa un comodo 2/2). Un lapsus che gli poteva restare incollato a lungo addosso, proprio come il suo soprannome “Lord Time”, figlio di altre coincidenze più o meno casuali.

Il soprannome “Lord Time” e la dimenticanza di giugno

Per sua stessa ammissione infatti, Williams aveva risposto a inizio stagione senza peli sulla lingua a chi gli aveva chiesto se aveva dato un occhio alla sua pagina su Basketball-Reference: “No, non amo quelle caz**te”. Nessuna allusione alle sue statistiche in realtà, ma soltanto un riferimento alla lista di soprannomi riportati: “Boo But” (nomignolo assegnato da sua madre sin dalla tenera età, per ragioni che restano ignote) e soprattutto “Time Lord”, il signore del tempo. “Boh, non so da dove diavolo venga fuori”, aveva risposto ai reporter che scavando su Twitter hanno scoperto la provenienza del  nickname. Una storia iniziata due anni fa, quando Williams dominava sotto canestro con Texas A&M al college. Un giocatore definito “ideale” come upgrade nel roster dei Celtics quando nessuno poteva neanche immaginare che sarebbe poi effettivamente finito a Boston. Una community di tifosi che spesso associa in maniera ironica nomignoli ai giocatori bianco-verde e che non si è lasciata scappare l’occasione poche ore dopo la chiamata al Draft, quando Williams è stato convocato per un conference call di presentazione ai reporter di Boston. La scelta n°27 non si è presentato, spiegando poi di essere rimasto a dormire perché non avvisato dell’appuntamento. “Dopo la lunga notte del Draft sono andato a casa di mia zia a riposare e nessuno mi ha detto di farmi trovare pronto per le 11 del giorno dopo. Ero distrutto dopo tutte quelle emozioni”. Alla fine lo hanno messo in vivavoce con il cellulare, provando in fretta a riparare al meglio al disguido. Un siparietto che ha scatenato la fantasia dei tifosi, secondo cui in realtà Williams “vive una situazione spazio-temporale diversa dagli altri umani: per quello ha fatto tardi, mica per altro!”. “Bene, lo accetto volentieri. So già che arriveranno altre decine di soprannomi: me ne ricorderò ogni volta che lo staff chiederà qualcosa a “Lord Time””. Dalla prossima sfida potrebbero magari indicargli con più frequenza la via del campo: dopo le stoppate contro Davis (e visti gli infortuni) potrebbe fare comodo anche in futuro.