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NBA, Kanter di nuovo sotto attacco: "Ha lasciato la Turchia per supportare un terrorista"

NBA

La doppia intervista di ESPN al n°00 dei Blazers e a Hedo Turkoglu ha riacceso la polemica riguardo una questione ancora lontana dalla sua risoluzione: "Non mando messaggi a un terrorista e ai miei amici americani consiglio di stare attenti"

KANTER: "NON VADO A LONDRA, POTREBBERO UCCIDERMI"

L'ATTACCO: "HEDO È IL CAGNOLINO DI ERDOGAN"

Che sia Oklahoma City, New York o adesso Portland, poco importa per Enes Kanter. I suoi fantasmi continuano a inseguirlo in giro per gli Stati Uniti, riproponendo ciclicamente lo scontro tra il lungo dei Blazers e la Turchia; la nazione che ormai lo ha disconosciuto e messo al bando da mesi. La polemica è rispuntata fuori dopo la doppia intervista fatta da ESPN al n°00 di Portland e a Hedo Turkoglu; storico giocatore NBA, diventato adesso un alto rappresentante (a livello sportivo e non) del governo turco. Per la prima volta un media americano ospita delle dichiarazioni esclusive riguardo la situazione di Kanter, confermando la scelta fatta dal lungo ex Knicks definita come “aperto supporto nei confronti del terrorista Fethullah Gulen”. Un atteggiamento inaccettabile secondo Turkoglu, che ricorda come il leader politico in esilio negli USA dal 1999, sia stato uno degli artefici del tentativo di colpo di stato dell’estate 2016 (una teoria portata avanti dal governo Erdogan, senza aver mai mostrato prove a favore di questa ricostruzione). Un’accusa respinta più volte al mittente da Guler, sulla cui testa grava un mandato di cattura e di estradizione più volte respinto e che gli permette di vivere come libero cittadino in Pennsylvania. Turkoglu evita di proposito di pronunciare il nome del giocatore dei Blazers (la parola “Kanter” viene fuori soltanto una volta nei 32 minuti di intervista), rifiutando l’invito di mandare qualsiasi tipo di messaggio: “Non ho nulla da dire a un supporter di un’associazione terroristica”, aggiungendo poi rivolto a tutti gli amici conosciuti nei suoi 15 anni in NBA: “Tutto ciò che posso dire ai miei compagni statunitensi è di stare attenti”. A chi, a cosa, perché, in ragione di quali preoccupazioni però, non è dato saperlo.

Kanter: "Le mie parole danno fastidio, sanno di non potermi comprare"

Una serie di polemiche e provocazioni che tuttavia non impensieriscono il diretto interessato, che il suo impatto sul parquet continua sempre a garantirlo; autore di 12 punti e otto rimbalzi nei 17 minuti trascorsi in campo in uscita dalla panchina nel successo contro Phoenix. Ma da oltre due anni a questa parte, per Kanter i veri problemi non sono mai stati una questione meramente cestistica (nonostante a New York non abbia mai trovato una giusta collocazione, mentre adesso a Portland spera di poter incidere a gara in corso anche ai playoff): “Ogni volta che apro bocca, che scrivo qualcosa su Twitter o faccio sentire la mia voce riguardo le questioni governative del mio Paese, sanno che sono in grado di raggiungere un sacco di persone in giro per il mondo. In Turchia odiano questa cosa, anche perché si rendono conto che non c’è alcun modo di comprare il mio silenzio”. Una battaglia che Kanter vuole continuare a combattere, consapevole per sua stessa ammissione che un eventuale ritorno in Turchia ne metterebbe in serio pericolo la vita. Una situazione tutt’altro che facile: “È la mia nazione, è la bandiera per cui ho giocato e lottato a lungo. È il Paese in cui sono cresciuto… la mia famiglia è ancora tutta lì. Questo è il motivo principale per cui continua a essere difficile accettare tutto questo. Quando le persone mi chiedono ‘Da dove vieni?’, cosa dovrei rispondere? Turchia? No, non posso più. Non posso dire di appartenere a una nazione che ha deciso di sbattermi fuori”. Una condizione surreale, per stessa ammissione di Kanter che non ricorda neanche quale sia stata l’ultima volta che ha parlato con i suoi parenti, ormai risucchiati nella morsa del regime autoritario turco e costretti a mettere al bando il proprio figlio.

Turkoglu: "Kanter usa la NBA per fare propaganda al terrorismo"

Un muro contro muro che non sembra poter trovare una soluzione nel breve, come confermato da Turkoglu: “Kanter sta usando la sua posizione e la notorietà derivante dall’essere un giocatore NBA come una piattaforma per continuare a fare propaganda in favore di un leader terroristico. Questo fa aumentare le preoccupazioni turche rispetto alla situazione. Il nostro lavoro è quello di parlare in maniera chiara e diretta, informando tutti su quale sia la reale situazione”, chiosa l’ex giocatore di Magic e Kings. I contorni della questione restano ancora molto nebulosi e in parte sfuocati. Il regime turco infatti continua imperterrito a perseguire Kanter e la sua famiglia - il padre, finito in prigione nel giugno 2017 e poi liberato, è stato allontanato dall’università dove lavorava come professore di genetica, costretto a dichiarare pubblicamente attraverso una lettera pubblicata sui giornali di “vergognarsi di suo figlio e di chiedere scusa a tutti per averlo messo al mondo”. Uno dei tanti capitoli di una storia che ha portato la Turchia a chiedere all’Interpol di emettere un mandato di cattura internazionale nei suoi confronti. Il governo ha più volte declinato l’invito a mostrare le prove e le ragioni di tale richiesta (una “Red Notice” di solito viene raccomandata in casi di particolare gravità e pericolosità), mentre lo staff giornalistico di E:60 – la trasmissione che manderà in onda la doppia intervista – è riuscita a mettere le mani sul documento ufficiale inoltrato dalla Turchia all’Interpol: l’accusa è di aver collaborato con il movimento di Gulen, a tutti gli effetti un’organizzazione terroristica. Qualora fosse confermata la sua colpevolezza, Kanter rischia dai sette ai 15 anni di reclusione. Non una condanna di poco conto.