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NBA Finals, Golden State non è solo Curry e KD: i protagonisti in casa Warriors

NBA

Il three-peat è un traguardo storico ormai a un passo per i ragazzi di coach Steve Kerr, che all'occorrenza hanno imparato a fare a meno di Kevin Durant - trascinatore nelle prime dieci sfide ai playoff - e in grado di garantirsi delle alternative anche a Steph Curry

Gara-1 Toronto-Golden State in diretta streaming su skysport.it nella notte tra il 30 e il 31 maggio alle 3.00 con il commento da Toronto di Flavio Tranquillo e Davide Pessina

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Avere due dei primi tre, cinque - o forse i primi due e basta – talenti dell’intera NBA a disposizione risolve un bel po’ di problemi. A prescindere da schemi, idee di gioco, visioni e indicazioni date da uno staff di primissimo livello, poter partire con Kevin Durant e Steph Curry insieme in quintetto è un lusso straordinario per i bi-campioni in carica. Parte tutto da lì, dal talento nel tiro dalla lunga distanza del figlio di Dell e dal gioco senza eguali in attacco dell’ex Thunder: loro due sono catalizzatori d’attenzioni e in via indiretta generatori di opportunità per gli altri. Senza questa premessa, sarebbe impossibile giustificare l’alto rendimento di tutti i talenti che hanno la fortuna di gravitare al fianco degli Hall of Famer già certi del loro ingresso a Springfield. Non solo lustrini e gioie, ma anche sacrificio difensivo e personale: l’emblema di questo approccio è Klay Thompson – giocatore da 30 punti di media in qualsiasi contesto, pronto a fare due passi indietro per lasciare spazio e tiri ad altri, senza lesinare energie e intensità a protezione del ferro. Il n°11 degli Warriors non ha mai saltato una partita di playoff – sempre presente, andando oltre qualsiasi infortunio, protagonista nei momenti più drammatici e complicati per Golden State vestendo spesso i panni del salvatore. I suoi canestri, le sue triple (resta storica la gara-6 nel 2016 a Oklahoma City) e le sue prestazioni sono spesso risultate provvidenziali per garantire continuità di risultati ai bi-campioni in carica. E questi ultimo mese e mezzo di playoff non ha fatto eccezione: i 32 punti in gara-4 a Los Angeles contro i Clippers pesano tanto quanto la sua difesa all’occorrenza su Lou Williams, James Harden, Chris Paul, Damian Lillard e CJ McCollum. Tutti passati per diversi possessi dalle due parti, tutti contenuti e limitati al meglio da un professionista unico nel suo genere: costante, decisivo, sempre ad alto livello. La fortuna e la resa degli Warriors è frutto anche dalle sue qualità.

Draymond Green, il simbolo della svolta playoff

Nervoso, falloso, appesantito, sazio. Per cinque mesi è stato complicato scegliere quale di questi aggettivi calzasse meglio al n°23 Warriors – sottotono e lontano parente della forza della natura a cui erano abituati a San Francisco. Dopo tre titoli in quattro anni, il record di 73 vittorie in regular season e decine di gare decisive giocate da protagonista, in molti avevano dubitato della tenuta mentale (prima ancora che tecnica) di un atleta indispensabile ad alimentare il meccanismo Warriors. Nel giro di sei settimane però il cambio di passo, prima di tutto fisico: 10 chilogrammi persi in vista dei playoff, il modo migliore per far capire a compagni e avversari l’intenzione di iniziare a fare sul serio. Sul parquet se possibile Green è riuscito a fare un ulteriore passo in avanti: le sue medie sono impressionati, a partire dai 13.6 punti di media, i dieci rimbalzi e gli 8.2 assist. Una tripla doppia da 16 gare a questa parte, senza tenere conto della difesa contro qualsiasi tipo d’avversario in ogni tipo di condizione. Con lui sul parquet 119 punti prodotti su 100 possessi, nessuno meglio di lui. Più di Steph (118.7), più di KD (117.4), nonostante a loro spettino copertine, record da battere e filotti di partite piene zeppe di canestri. Quando c’è da fare il lavoro sporco, anche in attacco, in casa Warriors sanno di poter fare affidamento su di lui. E anche in finale NBA toccherà a lui fare l’ennesimo passo in avanti.

Andre Iguodala, una costante (fondamentale) in questi cinque anni

Il titolo di MVP delle Finals 2015, quando Golden State andava a caccia di una vittoria tutt’altro che scontata, l’ha vinto lui. Quando serviva una partita da 20 punti (mai stata nelle sue corde da quando è sbarcato agli Warriors) ha sempre risposto presente. Quando c’era da prendersi cura del miglior talento offensivo avversario – alto o basso, grosso o esile che fosse – ci ha pensato lui, vincendo sempre la propria sfida personale. Sempre in campo quando più contava, anche nell’unico grande momento di difficoltà: Iguodala che vola al ferro e viene stoppata da LeBron James, il simbolo del successo degli altri, con la tua sagoma che entra nella Storia (con la esse maiuscola) del gioco, ma dalla parte sbagliata. Alla fine però si contano i trofei, gli anelli e l’ex Sixers sa ancora una volta di poter andare a caccia del quarto titolo in carriera. Manca l’ultima sfida, che nel suo caso ha un nome e cognome chiaro: Kawhi Leonard, l’ultimo talento da arginare dopo aver rovinato i sogni di gloria di Damian Lillard alla Oracle Arena – ogni riferimento all’ultimo possesso di gara-2 contro Portland non è puramente casuale. In molti avevano puntato la loro attenzione sul suo calo fisico – inevitabile, ma ampiamente arginato con allenamento e grande cura nel risparmio di energie – che tuttavia nell’ultimo mese non ha visto nessuno. Anzi, nei finali di partita sono state le sue sfuriate in difesa a cambiare in meglio le cose per i padroni di casa. Iguodala è il giocatore ad aver fatto più schiacciate dell’intera NBA in questi playoff: saper approfittare del talento di chi ti sta accanto è anche questo. I Raptors sono avvisati.