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NBA Finals 2019, gara-2: Golden State si affida agli "Splash Brothers"

NBA

Mauro Bevacqua

Un nickname nato a fine 2012, un binomio sinonimo di canestri e vittorie. Il n°30 e il n°11 di Golden State si promettono amore eterno: "Non mi vedo giocare con nessuna altra point guard", le parole di Thompson

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TORONTO — E nella partita forse più importante degli ultimi anni della storia dii Golden State — sotto 0-1, come mai era successo con Steve Kerr in panchina, in una finale NBA — Kevin Durant non può essere in campo. Gli Warriors tornano al 2015, a guidarli due fenomeni di nome Steph Curry e Klay Thompson, ovvero “The Splash Brothers”, da nickname inventato per loro da Brian Witt (allora responsabile dei social della squadra) il 21 dicembre 2012, nel corso di una gara contro gli Charlotte Hornets (7/11 combinato da tre punti per i due tiratori). “Il soprannome è sicuramente bello”, ammette oggi Thompson. “Verra con ogni probabilità ricordato nel tempo — concorda Curry — e vale anche per la previsione di Mark Jackson, che al tempo ci definì ‘il backcourt più forte di tutti i tempi’: ora stiamo lavorando per far apparire coach Jackson un profeta”, scherza il n°30 dei californiani. Che definisce “un privilegio poter giocare con qualcuno che tira con costanza nel modo in cui lo fa Klay, e che non smette mai di provare a migliorarsi”. Parole di ammirazione verso il suo compagno n°11 addirittura superata da quelle di Thompson verso Curry, un’autentica dichiarazione d’amore cestistica: “Steph è stato un grandissimo compagno di squadra per 8 anni e un amico ancora migliore. Non si può che fare il tifo per uno come lui, perché non prende mai una scorciatoia ma accetta sempre di lavorare duro, più di tutti. Uomo di famiglia, esempio di quello che dovrebbe essere un leader, fantastico ambasciatore per tutta la comunità. Il fatto di aver giocato assieme ha portato vantaggi a entrambi e se saremo bravi magari verremo davvero ricordati come la coppia di guardie più forte di tutti i tempi”. Parole al miele, seguite da una dichiarazione che — con la free agency alle porte dal 1 luglio — assume un significato speciale: “Non posso immaginarmi di giocare al fianco di nessuna altra point guard — dice Thompson — per via della chimica perfetta che abbiamo sviluppato in questi anni: ognuno di noi sa i posti preferiti in campo dell’altro, sappiamo dove vogliamo ricevere il pallone. Sono onorato di poter dividere il campo con lui perché è un giocatore altruista, un ottimo compagno e un vero amante della competizione”.

Competizione e fiducia

Un rapporto davvero speciale, sottolineato anche dalle parole pronunciate con il sorriso da Steph Curry quando parla delle motivazioni continue che ognuno dei due giocatori trova nell’altro: “Cerchiamo in continuazione un modo di migliorare, di essere il più forti possibile. Se stiamo tirando in palestra, durante qualsiasi allenamento, anche se siamo su canestri diversi ognuno di noi tiene sempre d’occhio l’altro, conta quanti canestri in fila sta facendo e poi se la gode quando l’altro sbaglia. Ci divertiamo così, forse è l’unica cosa un po’ strana del nostro rapporto”, ammette Curry. “Dalle imprese dell’altro prendiamo motivazioni per noi, ogni volta che scendiamo in campo: se lui entra in the zone, voglio entrarci anch’io, e viceversa”. Sempre Curry tocca anche un punto importante, quello della fiducia verso Thompson (e verso gli altri suoi compagni): “Il fatto che quando sono in campo di sapere che alla mia destra e alla mia sinistra ho compagno che sentono di poter vincere ogni partita è davvero importante. So che se scelgo di passare il pallone a Klay, lui non ha problemi a prendersi il tiro e io sono convinto che lo segni: una fiducia del genere è contagiosa”. “Sì, la fiducia è fondamentale — gli fa eco Klay Thompson — e parte tutta dal nostro leader, Steph Curry, che può tirare anche da 10 metri e segnare senza problemi”.

Steve Kerr: "L'importanza di avere tanti playmaker"

Talento, fiducia, ma anche un sistema di gioco pensato apposta per valorizzare le loro caratteristiche. Steve Kerr lo sa bene: “Tutta la squadra permette a Steph e Klay di fare quello che fanno: ci vogliono compagni disposti a bloccare per te, capaci di riconoscere certe situazioni, anche senza chiamare schemi o giocate fisse. Non si tratta solo di correre all’impazzata in avanti, ma di sapere dove e quando piazzare un blocco e noi in squadra abbiamo giocatori intelligentissimi da questo punto di vista, che sanno quando fare un passaggio o quando fare un blocco. Quello che negli anni ha reso così difficile fermare il nostro attacco — mi hanno detto tanti allenatori avversari — non è solo il fatto di avere Steph o Klay o KD ma il fatto di poter contare su così tanti playmaker, nel senso di creatori di gioco, in squadra, da Andre [Iguodala] a Draymond [Green] e Shaun [Livingston], da Bogut a David Lee quand’era con noi”. Poi però anche coach Kerr non può che rendere omaggio alla grandezza del suo n°30: “L’ho detto molte volte: è unico nella sua capacità di poterti battere dal palleggio ma anche lontano dalla palla. Di solito un giocatore o sa fare una cosa o sa fare l’altra, invece lui è pericoloso allo stesso modo se gioca un pick and roll palla in mano o se sfrutta un blocco pin down alla Reggie Miller, e questo lo rende immarcabile”. Ce ne sarà bisogno in gara-2, una partita che potrebbe contribuire ulteriormente a costruire la leggenda ormai indelebile degli “Splash Brothers”.