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NBA Finals 2019, la favola di Pascal Siakam, tra il maestro Ibaka e l’esempio Leonard

NBA

Mauro Bevacqua

Dal primo Basketball Without Borders dell'estate 2012 sotto la guida di Serge Ibaka (oggi compagno ai Raptors in finale NBA) all'ammirazione per Kawhi Leonard, l'ala camerunense si racconta a Sky Sport

KEVIN DURANT GIA' OPERATO: GOLDEN STATE LO SAPEVA?

OAKLAND — Di Pascal Siakam hanno parlato tutti dopo gara-1, quando a sorpresa è diventato il primo protagonista di una serie di finale NBA che poteva contare su Steph Curry e Kawhi Leonard, su Klay Thompson e Kyle Lowry. Lui ha rubato il palcoscenico a tutti grazie a una prestazione da 32 punti con un incredibile 14/17 al tiro che ha fatto immediatamente capire ai Golden State Warriors la portata della sfida messa sul piatto dai Toronto Raptors, esordienti alle Finals ma non per questo meno ambiziosi. Poi i riflettori della serie hanno illuminato altri —Andre Iguodala autore del canestro della vittoria in gara-2, Kawhi Leonard strapotente nelle due gare della Oracle (con Danny Green protagonista con 6/10 da tre nella terza e Serge Ibaka a quota 20 nella quarta), ovviamente Kevin Durant nella quinta — ma Pascal Siakam ha continuato a macinare gioco, a dare punti e rimbalzi, a fornire energia e fisicità per i suoi Raptors. Viaggia sopra i 18 punti a sera con più del 48% dal campo, ci aggiunge 7 rimbalzi, per un giocatore che l’anno scorso ai playoff stava in campo meno di 18 minuti a sera, producendo 6.6 punti. Ci sono state partite super (come l’irreplicabile gara-1 ma anche una gara-3 chiusa con +25.2 di net rating) e altre meno positive (11/33 al tiro combinato in gara-2 e 5, con l’ultima partita chiusa con -9.1 di net rating), ma è tutto normale nel processo di un giocatore giovanissimo e soprattutto dalla recentissima scolarizzazione NBA. Nell’estate del 2012 — non 20 anni fa, solo 7 — Pascal Siakam veniva scoperto in un Basketball Without Borders organizzato dalla lega in Africa. Oggi si ritrova a giocare, da protagonista, una finale NBA: “Me la sto godendo, è bellissimo, perché è il palcoscenico più importante in assoluto — e ci sono tanti giocatori che sognano di poter giocare a questo livello, un livello che anche per me è nuovo”, dice lui. Che da questa novità però non ha intenzione di farsi spaventare: “Per me giocare è divertente, non è che vado in campo terrorizzato pensando ‘Oh mio Dio, ci siamo, sono in finale NBA’. Forse la prima partita [peraltro la sua migliore, chiusa con 32 punti, ndr] un po’ è successo, ma ora ho realizzato di essere qui, a giocarmi le finali NBA e alla fine non c’è altro da fare che scendere in campo e fare come sempre tutto il possibile per aiutare la squadra a vincere”.

"Ibaka stoppa meglio di me, Leonard gioca sempre sotto controllo"

Accanto ai due All-Star dei Raptors — Kawhi Leonard e Kyle Lowry — Pascal Siakam è diventato il terzo giocatore più importante del roster, a volte addirittura il secondo per il peso tattico e l’impatto atletico che il camerunense mette in campo. Scoperto da Luc Mbah a Moute, poi preso sotto la propria ala protettrice da Serge Ibaka al camp di Basketball Without Borders che ha segnato l’inizio del suo sogno NBA, Siakam oggi riconosce al compagno congolese un ruolo speciale anche all’interno dello spogliatoio dei canadesi: “Le nostre origini e il fatto di rappresentare entrambi un intero continente sicuramente ci unisce maggiormente, così come il fatto di poter parlare francese tra di noi. Il fatto di conoscerlo fin da quel camp del 2012 e oggi poter essere qui a condividere questo palcoscenico assieme significata sicuramente molto”, afferma Siakam. Che del suo maestro analizza le caratteristiche che ne fanno un giocatore in parte complementare — e quindi perfetto nell’alternanza pensata da coach Nurse — alle proprie caratteristiche. “In comune abbiamo ovviamente il nostro focus difensivo, anche se lui stoppa meglio di quanto faccia io. Da parte mia, però, io provo a creare gioco, agire da playmaker aggiunto in campo per fare la differenza, così come lui ha una grande abilità nel finire al ferro e allargare il campo col tiro da fuori”. L’altro giocatore a cui un talento in crescita come Siakam cerca continuamente di ispirarsi è ovviamente Kawhi Leonard, che le finali 2019 hanno consacrato come uno dei 3-5 giocatori più forti di tutta la lega. “Non so neppure come descriverlo”, dice il n°43 di Toronto. “Kawhi è una bestia, le cose che fa in campo sono assolutamente incredibili. Un giocatore così lo vuoi sempre in squadra, è facile andare in battaglia ogni sera al suo fianco”. Dell’ex Spurs ci sono alcune caratteristiche che il camerunense vuol provare a fare sue: “Mi piacerebbe riuscire a essere sempre calmo e sotto controllo in qualsiasi situazione proprio come fa lui. Non importa il momento o il contesto, Kawhi ogni singola sera porta in campo la sua pallacanestro. Spero di poter imparare da lui”.

Un titolo NBA a portata di mano, un futuro in nazionale?

Definitivamente esploso in questa stagione 2018-19 (per la quale è il favorito n°1 a vincere il premio di Most Improved Player, giocatore più migliorato), Siakam vive con apparente distacco la vigilia di quello che potrebbe essere il risultato più importante della sua carriera. “Ci siamo andati vicini in gara-5 e non ce l’abbiamo fatto ma se c’è una cosa che questa squadra ha imparato in questi playoff è quella di saper voltare pagina e concentrasi subito sulla partita successiva. Che sia stato perdere gara-1 contro Orlando o essere sotto 0-2 nella serie contro Milwaukee siamo sempre riusciti a resistere a tutto e concentrarsi sulle partite che sono ancora da giocare. In gara-6 abbiamo un’opportunità per farlo ancora, e raggiungere il nostro obiettivo”. Obiettivo che per Siakam non è l’unico che si è prefissato per il prosieguo della sua carriera: “Ho sempre detto che se ne avessi avuto l’opportunità — e tutti gli impegni me l’avessero consentito — mi sarebbe piaciuto poter indossare la maglia della mia nazionale e rappresentare in campo il mio Paese. Non ne ho mai parlato con Joel Embiid, tra noi non c’è nessun tipo di accordo, ma la mia volontà c’è”. Per trascinare un intero Paese — stavolta non il Canada, ma il suo Camerun — a livelli mai raggiunti prima.