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NBA, Melli a Sky: "Favorite al titolo? Le due squadre di L.A. e i Bucks"

#CASASKYSPORT
©Getty

Ospite a #CasaSkySport con in studio Carlo Vanzini e Massimo Marianella, il giocatore dei Pelicans ha risposto alle mille domande dei tifosi, curiosi di conoscere tutto sulla sua avventura NBA ma anche di saperne di più sul futuro azzurro

Un grande tifoso di Premier League e di Massimo Marianella, chiamato a fargli compagnia in studio (“Soprattutto di lui, la Premier veniva in secondo piano…”): viene presentato così Nicolò Melli, ospite di #CasaSkySport in diretta da New Orleans, dove anche la matricola dei Pelicans è costretto a restare chiuso tra le quattro mura di casa. Interista dichiarato (“Che sofferenza nell’anno del triplete il ritorno in Spagna contro il Barcellona”, racconta), l’azzurro passa subito a rispondere alle domande che riguardano la sua avventura oltreoceano, iniziando con una dovuta introduzione: “La NBA per me è il sogno che si realizza. Un privilegio e un onore giocarci, soprattutto contro i grandi campioni, ma le emozioni si azzerano al momento della palla a due”. Poi iniziano le domande, da studio o da casa, con un vocale su WhatsApp. 

 

La situazione oggi a New Orleans.

“Stamattina abbiamo fatto una riunione di squadra. Il campo di allenamento da oggi è chiuso, per cui ci è vietato accedere alle palestre e allenarci. D’ora in poi quindi la quarantena è davvero quarantena, anche per noi, ma non sono convinto che qui negli Stati Uniti tutti abbiano sviluppato la giusta consapevolezza sulla gravità dell’epidemia”.

 

La favorita per il titolo NBA?

“Le due squadre di Los Angeles e i Milwaukee Bucks mi sembrano le squadre più attrezzate”.

 

Com’è stato l’impatto di Zion Williamson ai Pelicans e che tipo di influenza ha avuto sul suo stesso rendimento?

“Ha cambiato la fisionomia della squadra: è una forza della natura, un ragazzo con doti sicuramente speciali. Ovviamente ne ho beneficiato anch’io: quest’estate quando il front office aveva immaginato la squadra aveva pensato proprio alla nostra combinazione in campo assieme. Stavamo iniziando a far bene, eravamo a caccia di un posto ai playoff: peccato per questa sosta, ora”. 

 

Da Istanbul a New Orleans: le differenze.

“In Turchia tutto frenetico, tutti sempre di corsa, un delirio ovunque. Arrivo qui e il soprannome di New Orleans è ‘The Big Easy’, perché qui tutti tranquilli, pacifici, ci mettono 20 minuti a uscire dal un parcheggio…”

 

Essere stranieri nella NBA: c’è ancora un pregiudizio?

“Per me è stato un po’ difficile all’inizio capire cosa fare o cosa non fare in campo: le spaziature sono diverse, gli spazi sono diversi, il basket è proprio un’altra cosa rispetto all’Europa. In più venivo da un infortunio, all’inizio fisicamente non ero al top — e qui l’aspetto fisico/atletico è fondamentale — ma pian piano, tornando in forma e calandomi di più nella realtà NBA, le cose hanno iniziato ad andare bene”.

 

La più grande difficoltà nel giocare in NBA.

“Una su tutte, dal punto di vista tattico: le spaziature. In Europa ero abituato a creare giochi con blocchi e tagli lontani dalla palla, mentre qui facevo solo una gran confusione. Ora infatti sto un po’ più fermo, sono più disciplinato all’interno del nostro attacco”. 

 

Qual è il consiglio che daresti a un giovane giocatore?

“Allenarsi. Questo è l’unico, davvero. Qualcuno ha detto: il peggior giocatore da guardare per un giovane cestista è Steph Curry, perché dà l’idea che certe cose gli vengano naturali. Invece dietro c’è un lavoro enorme, tecnico e fisico, ore e ore di palestra. L’allenamento costante e le giuste priorità sono fondamentali”

 

Tra le maglie dei Pelicans, qual è la tua preferita?

“Quella che mi piace di più è quella ispirata al Mardi Gras, che trovo un po’ più caratteristica delle altre”.

Nicolò Melli con la maglia "Mardi Gras"

Un soprannome?
“Finora non me ne hanno affibbiato neppure uno: né nickname strani, né handshake [le strette di mano complicate, alla presentazione, ndr] particolari, non sono fatti per me — io da questo punto di vista sono più noioso!”. 

 

L’esordio NBA.

“A Toronto la serata in cui i Raptors ricevevano i loro anelli da campioni: una serie di emozioni indimenticabili”. 

 

Un Dream Team personale, tra giocatori di sempre e attuali.

“Facciamo così, non metto giocatori attuali così non creo gelosie. Vado con i grandi del passato: Magic Johnson, Michael Jordan, Scottie Pippen, Larry Bird da 4 e da 5 Shaquille O’Neal. Questi sono cinque, ma avrei potuto sceglierne altri 30-40…”.

 

Un ricordo dell’ultimo anno a Milano, all’Olimpia.

“Indubbiamente un anno complicato, difficile, con poche soddisfazioni e con un’eliminazione dai playoff particolare… Non è sicuramente l’anno che ricordo con più soddisfazione nella mia carriera”. 

 

Un parere sulla nazionale italiana.

“Non è un argomento facile: ci sono prospetti importanti per il futuro, ma guardando all’oggi non ci sono certezze: ci sarà il pre-Olimpico? Ci saranno le Olimpiadi a Tokyo, poi? Per me la nazionale è sempre stato un po’ il mio tallone d’Achille: convinto che avessimo grande potenziale, poi non siamo mai riusciti a esprimerlo appieno. Speriamo di poterci togliere qualche soddisfazione. Cos’è mancato al nostro gruppo azzurro rispetto a quelli del passato, capaci di vincere qualcosa? I paragoni tra epoche diverse non reggono, impossibile mettere a confronto ere diverse. Forse il fatto di non aver vinto subito — magari quand’eravamo ancora giovanissimi — ci ha tolto un po’ di sicurezza. È mancato anche un pizzico di fortuna, ma ovviamente abbiamo le nostre responsabilità”.

 

Un luogo dove finire la carriera.

“Non lo so. Ho imparato a dire ‘mai dire mai’ per cui davvero non voglio precludermi nulla: può essere l’Italia, l’Europa, può essere qui negli Stati Uniti. Chissà”.