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Finali NBA, Goran Dragic non si dà pace per l’infortunio: “Chiedo a Dio, perché?”

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©Getty

Il miglior realizzatore degli Heat in questi playoff - almeno prima dell’inizio delle Finals - sta perdendo l’opportunità (della sua vita?) di disputare la serie più importante della stagione da protagonista: “Ho lavorato 12 anni per arrivare a questo punto, mi chiedo perché sia successo proprio a me”

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Non c’è nessuna indicazione precisa, nessuna tabella che delinei il ritorno sul parquet di Goran Dragic. Il disappunto nella sua voce però è evidente, visto che, nonostante i ripetuti trattamenti al piede infortunato, un possibile rientro in campo nella prossima settimana appare quantomeno complicato: “Per me non è certo la cosa più facile del mondo starmene a bordocampo, a guardare la mia squadra giocare - racconta il diretto interessato - È ovvio che il mio desiderio sia quello di scendere in campo con loro. Passo il tempo a chiedermi, a invocare il Signore che sta lassù e a domandargli: “Perché è dovuto succedere proprio adesso?”. È davvero dura da accettare. Provo a ragionare in questo modo: tutto quello che succede ha una ragione, ha un senso, per questo vedremo come andranno le cose”. Il tempo medio perso dai giocatori che subiscono questo tipo di infortunio è di 13 partite, stando ai dati raccolti da alcuni database NBA. Insomma, complicato immaginare di rivederlo sul parquet a distanza di 5-6 giorni: “Vorrei essere in campo al loro fianco, non è un segreto. È la ragione per cui ho lavorato la mia intera carriera, l’obiettivo che avevo finalmente raggiunto dopo 12 anni di NBA”.

Difficile quindi trovare anche a livello emotivo il giusto stimolo, riuscire a dare conforto a un giocatore che nel giro di tre giorni ha prima conquistato il più grande obiettivo della sua carriera e poi lo ha visto disgregarsi davanti ai propri occhi. La sua assenza pesa, non poco, sulla serie e coach Spoelstra ha più volte sottolineato come si sia ritrovato a dover vestire i panni del padre che deve consolare il proprio figlio: “Prima di tutto, non posso fare altro che empatizzare con Goran e Bam per quello che stanno attraversando in questi giorni. Posso guardare attraverso i loro occhi e vedere le loro anime sofferenti, si intuisce subito in quello sguardo la voglia di tornare in campo. Non dipende da loro, non dipende da me. È importante che continuino a sentirsi parte del gruppo, a prendere parte alle riunioni e soprattutto a stringersi attorno ai compagni quando c’è da lottare, da dare conforto o spinta a chi sta per scendere in campo. C’è dell’energia che non riesco a spiegare in tutto questo. La speranza è che esista davvero un karma che permetta a loro di avere una spinta in più nel recupero. Vedremo come evolveranno le cose nei prossimi giorni”.

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