Un libro appena uscito per add editore racconta le storie più belle del playground più famoso al mondo, dove in oltre sette decenni sono passati decine e decine di superstar NBA, chiamate a difendere la propria reputazione contro le leggende dell'asfalto newyorchese. Un passaggio obbligato per Wilt Chamberlain e Julius Erving, per Kobe Bryant e Kevin Durant
"Se non fosse per Holcombe Rucker, la NBA che conosciamo oggi non sarebbe la stessa". Le parole sono di "Pee Wee" Kirkland, Holcombe Rucker è l'uomo che ha voluto - e dà il nome - al playground forse più famoso e conosciuto di tutti gli Stati Uniti, il Rucker Park, su ad Harlem (tra la 155^ Strada e l'Ottava Avenue). Lì, fin dagli anni '50, sono passati alcuni tra i migliori talenti mai visti su un campo da basket, molti di loro già famosi, altri che famosi lo sarebbero diventati, altri ancora che invece hanno trovato solo in quei pomeriggio sull'asfalto, sotto il sole cocente di un'estate newyorchese, le loro briciole di fama. "Quella del Rucker è sempre stata un'esperienza da far tremare le vene", assicura Julius "Dr. J" Erving, campione NBA nel 1983 con la maglia dei Philadelphia 76ers. E di superstar NBA che hanno calcato nei decenni l'asfalto del Rucker ce ne sono state decine e decine (da Wilt Chamberlain a Connie Hawkins, da Kobe Bryant a Kevin Durant) ma una delle apparizioni più incredibili rimane quella di un altro giocatore che poi avrebbe legato il suo nome ai Philadelphia 76ers: Allen "The Answer" Iverson. Perché nel giugno 1996, pochi giorni prima di diventare la prima scelta assoluta al Draft NBA in uscita da Georgetown, Iverson sbarcò al Rucker, e lo fece in grande stile: in coppia con quella che, nello stesso Draft, sarebbe diventata la scelta n°4, Stephon "The Handler" Marbury. Il racconto di quel pomeriggio - insieme ad altre mille affascinanti storie - è narrato dal giornalista del New York Times Vincent M. Mallozzi e contenuto nel libro edito da add editore "Gli dei dell'asfalto - La storia del Rucker Park" (tradotto da Michele Pettene e Pietro Scibetta) uscito da pochissimi giorni in Italia. Questo l'estratto che vi proponiamo.
"The Answer"
Provate a immaginare se Larry Bird e Magic Johnson avessero fatto coppia nel reparto esterni della stessa squadra e sullo stesso playground solo pochi giorni prima di essere selezionati al primo giro del draft nba. Una cosa molto simile avvenne quando una coppia dal talento e dal carisma paragonabili si presentò al Rucker nel giugno del 1996: Allen Iverson, la fortissima guardia dell’università di Georgetown, e Stephon Marbury, il prodigio di Brooklyn che aveva giocato prima alla Lincoln High School e poi a Georgia Tech diventando una potenziale prima scelta assoluta dello stesso draft di Iverson.
«Come fossero una jazz band al completo», scrisse David Cummings sul «New York Daily News» del giorno successivo, «Marbury e Iverson si sono dati il turno per interpretare superbi assoli sul campo, ma la performance è sembrata molto più un concerto hip-hop che jazz classico.»
Con stelle dello showbiz come Queen Latifah e giocatori nba come Malik “The Freak” Sealy – all’epoca ai Clippers – a godersi lo spettacolo da bordocampo insieme al privilegiato e al solito troppo numeroso pubblico a stento trattenuto dalle righe laterali bianche, Iverson e Marbury diedero vita a uno show che regalò un enorme sorriso a Sean “Puff Daddy” Combs, l’organizzatore dell’evento che aveva convinto le due star a giocare insieme per la sua squadra, i Bad Boys, contro la Sugar Hill, gli storici avversari guidati dal solito “Best-Kept-Secret”, Kareem Reid.
Liberati dalle catene di sistemi di gioco voluti da allenatori di college o di liceo, i talenti sconfinati di Allen Iverson, conosciuto da tutti come “The Answer”, e Marbury, soprannominato “The Handler”, si alternarono sul palcoscenico deliziando i presenti con i loro personali spettacoli di magia cestistica, mescolandoli alla calda aria estiva di Harlem.
Iverson, che aveva già distribuito assist da far strabuzzare gli occhi nella prima parte della partita aggiungendo alcune penetrazioni mozzafiato verso il ferro dopo aver distrutto il proprio avversario con palleggi ubriacanti, sigillò il suo nome tra le leggende del Rucker verso la fine del primo tempo.
“The Answer” afferrò un passaggio da “The Handler” a metà campo, involandosi verso il canestro e decollando pressappoco dal centro dell’area. Mentre era in aria Iverson trattenne la palla con la mano destra, se la portò verso il petto come un running back di football e, grazie ai suoi polpacci piccoli ma così potenti da tenerlo ancora in volo, alzò la palla di nuovo verso l’alto finendo il movimento con un’incredibile schiacciata.
I tifosi, in preda a un delirio collettivo, erano talmente vicini al fondo del campo che Iverson inciampò su alcuni di loro mentre ritrovava l’equilibrio a terra al termine della sua conclusione. Altri ancora lo abbracciarono al volo, prima di consentirgli di tornare a giocare la partita.
«Prima di quella gara pensavo che Iverson fosse uno di quelli buoni solo a fare canestro», racconta Cummings, «ma quel giorno capii che quel ragazzo era un talento completo, superiore, in grado di fare qualunque cosa volesse su un campo da basket.»
Pochi possessi dopo arrivò il turno di “The Handler”.
Questa volta fu Marbury a ricevere un passaggio da “The Answer”. Con un mucchio di difensori attorno, “The Handler” si fece strada nell’intenso traffico generato dai corpi e dalle braccia avversarie superandoli con gran numeri dal palleggio, spingendo così forte la palla sul cemento da ammutolire per un attimo il pubblico, prima di imboccare la traiettoria finale verso il canestro sempre con la palla ben ancorata alla mano destra. “The Handler” aveva superato l’ultimo, povero difensore saltando verso il ferro come se avesse dovuto rispondere alla precedente prodezza di “The Answer” con una schiacciata ancor più potente, ma decise invece di accontentarsi di un comodo appoggio al tabellone dopo l’ovvio effetto impresso alla palla con i polpastrelli.
«Non ho mai avuto la fortuna di veder giocare “Doctor J.” e gli altri grandi del passato», continua Cummings, «ma posso dire che di tutte le partite cui ho assistito al Rucker Park quella con Iverson e Marbury è stata la più bella, senza ombra di dubbio.»
Quando lo show sul campo finì il tabellino delle statistiche recitava 40 punti per “The Answer” e 20 per “The Handler”, ma solo sull’incredibile palcoscenico pieno di talento creato da Holcombe Rucker quei 60 punti di due future superstar nba non sarebbero stati sufficienti per vincere la partita.
Abbastanza assurdo a dirsi, ma i Bad Boys quella sera persero a causa di un tiro dalla media di “Best-Kept-Secret”, un tiro che si sarebbe rivelato essere l’ultimo della partita perché sugli spalti era scoppiata una rissa mentre l’ultimo quarto doveva ancora volgere al termine. Nessuno si fece male, ma di certo “The Answer” non sarebbe rimasto lì a fare l’infermiere o a interagire con i fan: la funambolica guardia, ancora indenne, si dileguò in men che non si dica dal parco saltando in una Mercedes dorata con la targa della Virginia che lo aspettava al di là della rete metallica, sprintando verso sud e il Benjamin Franklin Bridge con tutta la sua cricca.