LA MAGIA DELL'ALL-STAR GAME NBA

Tre giorni di basket spettacolo su Sky Sport

Michael Jordan (Getty Images)

Michael Jordan (Getty Images)

Il primo è stato giocato a Boston, nel lontano 1951. Quest'anno a Charlotte va in scena l'edizione numero 68.

Quasi 70 anni di grande pallacanestro, emozioni e spettacolo, un viaggio nel mondo del basket USA condensato nel video qui sotto, 120 secondi di autentica adrenalina.

La storia dell'All-Star Game NBA è anche una una storia dell'evoluzione del costume della società americana stessa. Per questo motivo le divise speciali disegnate appositamente per la partita delle stelle sono uno specchio del gusto e delle mode sempre in evoluzione nel corso degli anni. Scopriamo come.

Per i tifosi di tutto il mondo la tre giorni dell'All-Star Weekend è un momento magico, perché la lega riunisce in un'unica città, su un unico parquet, il meglio del meglio del proprio spettacolo, sia in campo che fuori. Dodici giocatori per squadra (quest'anno sono 13, con gli inviti speciali recapitati a Dwyane Wade e Dirk Nowitzki, veterani all'ultimo giro di giostra), storicamente suddivisi in Est vs. Ovest fino a due anni fa, da quando cioè l'appartenenza geografica, pur restando determinante nel processo di scelta delle 24 superstar chiamate in campo la domenica, scompare al momento del Draft. In questa occasione infatti i due capitani (ovvero i giocatori più votati dal pubblico, uno per conference) sono liberi di scegliere, alternativamente, i propri compagni di serata, mentre a guidare dalla panchina le due selezioni ci pensano i coaching staff delle squadre più vincenti al break di metà stagione, tanto a Est quanto a Ovest.

La parola d'ordine è "spettacolo", ma negli anni non sono mancate anche grandissime partite che sono rimaste nella storia del gioco. Partendo da una serie di curiosità relative alla storia dell'All-Star Weekend, ripercorriamo assieme i migliori All-Star Game e i personaggi più importanti emersi negli anni dalle gare da tre punti e da quelle delle schiacciate.

Le curiosità dell'ASG

1

Khris Middleton, convocato dagli allenatori tra le riserve, è il primo giocatore di sempre ad approdare all’All-Star Game dopo aver giocato nella G League, la lega di sviluppo collegata alla NBA.

2

Si tratta della seconda volta che Charlotte ospita la partita delle stelle NBA. La prima volta è stata nel 1991, si impose di soli due punti l’Est, guidato da un Charles Barkley in doppia doppia con 17 punti e 22 rimbalzi, nominato MVP della gara. Il top scorer della serata fu però Michael Jordan, a quota 26.

3

Già selezionate le tre prossime destinazioni dove si svolgerà l’All-Star Game NBA: si tratta di Chicago (2020), Indianapolis (2021) e Cleveland (2022).

4

Kobe Bryant e Bob Pettit condividono l’onore del maggior numero di trofei di MVP della partita delle stelle vinti in carriera: il primo l’ha vinto nel 2002, 2007, 2009 (in condivisione con Shaquille O’Neal) e nel 2011, mentre il secondo nel 1956, 1958, 1959 (in condivisione con Elgin Baylor) e nel 1962.

5

Gli esordienti all’All-Star Game di Charlotte. Uno debutta nelle fila di Team LeBron (Ben Simmons, oggetto della trade televisiva orchestrata dalla superstar dei Lakers con Giannis Antetokounmpo) mentre gli altri quattro si trovano tutti a roster con Team Giannis, che ha dichiarato di volere in squadra “l’entusiasmo di chi si ritrova alla partita delle stelle per la prima volta” (e sono: Nikola Jokic, Khris Middleton, D’Angelo Russell e Nikola Vucevic).

6

Los Angeles è la città che ha ospitato più volte l’All-Star Weekend, ben 6: è successo nel 1963, 1972, 1983, 2004, 2011 e ancora l’anno scorso, nel 2018.

17

I giocatori provenienti dal college di UCLA che hanno disputato l’All-Star Game, per un totale di 69 convocazioni. L’università losangelina è la più rappresentata in assoluto nella storia della partita delle stelle.

19

Il giocatore con il maggior numero di convocazioni all’All-Star Game è Kareem Abdul-Jabbar, con 19. Alle sue spalle, a quota 18, Kobe Bryant, mentre con la gara di Charlotte LeBron James sale a 16 e va a occupare il gradino più basso del podio.

19+169

Il più giovane giocatore di sempre a partecipare a un All-Star Game è stato Kobe Bryant, che nel 1998 ha fatto il suo debutto a soli 19 anni e 169 giorni.

41+302

Sempre di provenienza Lakers anche il giocatore più “vecchio” a scendere in campo in una partita delle stelle: si tratta di Kareem Abdul-Jabbar, ancora All-Star nel 1989, a 41 anni e 302 giorni.

56

La partita delle stelle si disputa a Charlotte e a farla da padrone di casa è il proprietario degli Hornets, Michael Jordan. Che il giorno dell’All-Star Game, il 17 febbraio, compie 56 anni.

108.713

Il numero di spettatori che ha seguito l’All-Star Game disputato a Dallas (all’AT&T Stadium di Arlington, Texas, casa dei Dallas Cowboys della NFL) il 14 febbraio 2010: si tratta della folla più numerosa nella storia della partita delle stelle.

4.620.809

Le preferenze ricevute da LeBron James, il giocatore più votato dai tifosi per l’All-Star Game 2019 di Charlotte.

Charles Barkley (Getty Images)

Charles Barkley (Getty Images)

Ben Simmons (Getty Images)

Ben Simmons (Getty Images)

Kareem Abdul-Jabbar (Getty Images)

Kareem Abdul-Jabbar (Getty Images)

LeBron James (Getty Images)

LeBron James (Getty Images)

I 5 ASG più memorabili

1972 | Los Angeles

Jerry West decide la gara sulla sirena

Il primo canestro decisivo nella partita delle stelle non poteva che realizzarlo "Mr. Clutch", Jerry West, diventato suo malgrado il simbolo (nel senso letterale del termine) della lega di pallacanestro più conosciuta in giro per il mondo. Un successo globale conquistato anche grazie alle sue prodezze. Una delle più famose arrivò allo scadere dell’All-Star Game del 1972, una sfida giocata al Forum di Inglewood, Los Angeles. Casa sua da oltre un decennio all’epoca, il palcoscenico ideale dove esibirsi nella sua stagione di grazia. Nel 1972 infatti West riuscì finalmente a conquistare il titolo NBA a lungo inseguito (e sempre negato in finale dai Boston Celtics), al termine di una stagione in cui i Lakers riuscirono a mettere in fila 33 vittorie – record ancora imbattuto a oltre 45 anni di distanza. La ciliegina sulla torta fu il titolo di MVP e il successo raccolto all’All-Star Game, in cui West segnò soltanto 13 punti: gli ultimi due però arrivarono a meno di un secondo dal termine della gara, fissando in definitiva il punteggio sul 112-110 con un jumper da oltre sei metri di distanza. Una pallacanestro d’altri tempi, senza tiro da tre punti e giocata a un ritmo ben diverso, con i pantaloncini alti in vita e i calzettoni tirati su a sfiorare il ginocchio. Il palcoscenico su cui per anni si è esibito West, che in quell’occasione aggiunse l’ennesimo riconoscimento a una carriera imperfetta entrata nella leggenda non solo grazie alle sue sconfitte. Ma anche perché all’occorrenza, come all’All-Star Game del 1972, era in grado di segnare il canestro decisivo.

1992 | Orlando

L'ultimo All-Star Game di Magic Johnson

La partita delle stelle di Orlando del 1992 è rimasta nell’immaginario degli appassionati come l'happy ending della carriera di Magic Johnson, con cui dire addio a un campione che aveva dovuto dire stop in maniera improvvisa e controversa. Prima dell’inizio della stagione 1991-92 infatti, Magic aveva annunciato al mondo in una storica conferenza stampa di aver contratto l’HIV e di aver deciso di ritirarsi dopo 12 anni di carriera in maglia Lakers. Quella stagione i gialloviola si ritrovarono così senza uno dei migliori giocatori della storia del gioco ma, nonostante Magic non scese in campo neanche in un match di regular season, fu votato dal pubblico e selezionato nel quintetto titolare dell’Ovest. La NBA accettò la sua partecipazione e gli diede l’opportunità di godersi l’ultima partita delle stelle della sua carriera. Gli occhi di tutti nell'arco del weekend in Florida furono puntati su di lui, che non deluse le aspettative e regalò uno show spettacolare negli ultimi quattro minuti di partita: canestri dal palleggio contro chiunque, passaggi no-look e anche la difesa su Isiah Thomas e Michael Jordan - sfidati in maniera tanto evidente quanto provocatoria e fermati dal n°32 dei Lakers in successione nel finale. A conclusione di una prestazione da 25 punti e nove assist che portò Magic a vincere il titolo di MVP, ecco arrivare la tripla in isolamento sulla testa di Thomas, il colpo di grazia che fece impazzire il pubblico di Orlando. Non un canestro decisivo per il risultato - l’Ovest conquistò comodamente il successo in quella partita con il punteggio di 153-113 - ma uno dei momenti più emozionanti nella storia della gara delle stelle. L’inizio di una lunga standing ovation, di un mare di abbracci per un giocatore a lungo considerato e trattato come malato da parte dei suoi colleghi per la gioia di Earving Johnson Sr. e mamma Christine, i più commossi di tutti sugli spalti. Gli ultimi 14 secondi di gara diventarono l’occasione per un tributo a Magic, un tributo spontaneo entrato di diritto nella storia della NBA.

JERRY WEST (Los Angeles, 1972)
MAGIC JOHNSON (Orlando, 1992)

1997 | Cleveland

La NBA celebra i propri 50 anni

La partita delle stelle la vinse la squadra della Eastern Conference, con Glen Rice MVP e un giovane Kobe Bryant vincitore il giorno prima della gara delle schiacciate. La storia però si fece quando i giovani All-Star si misero da parte a fine primo tempo per lasciare spazio (e il centro del parquet) a chi aveva scritto le pagine più importanti dei cinque decenni precedenti. Per celebrare i 50 anni dalla nascita della lega infatti, la NBA aveva deciso di stilare la lista dei 50 migliori giocatori di tutti i tempi. Tutti presenti a Cleveland nel febbraio 1997, con l’unica eccezione di Pete Maravich - scomparso nel 1988 a soli 41 anni a causa di un infarto mentre stava disputando una partitella tra amici – e con Shaquille O’Neal e Jerry West assenti a malincuore, entrambi alle prese con i postumi di due operazioni. Gli altri 47 invece c’erano tutti, commossi come il pubblico dell’Ohio che poté così godersi una carrellata di talenti difficilmente replicabile (e mai più riunita in un’unica cerimonia). Una proclamazione da brividi, ruolo per ruolo (dalle guardie ai centri), in cui sul piccolo palchetto allestito salivano in sequenza prima Larry Bird e poi Julius Erving, prima Wilt Chamberlain e poi a seguire Bill Russell. Leggende, icone dello sport, tutte chiamate a indossare una giacca celebrativa personalizzata diventata da quel momento un vero e proprio oggetto di culto per gli appassionati. Undici dei selezionati al tempo erano ancora in attività, scelti come tutti gli altri da una particolare giuria composta da giocatori, dirigenti e giornalisti.
Un momento unico, irripetibile.

2001 | Washington

"Where's my coach": Allen Iverson MVP

Il 2001 è stato l’anno di Allen Iverson: MVP della regular season e protagonista con una squadra dagli evidenti limiti in quanto a talento, trascinata di forza fino alle finali NBA con tanto di impresa allo Staples Center in gara-1 – prima di alzare bandiera bianca contro la corazzata Lakers. Un altro dei momenti epici della sua cavalcata di quell’anno è stata la grande rimonta all’All-Star Game, alla guida della squadra di stelle della Eastern Conference sprofondata sul -21 nella prima parte del match e abile a risalire e vincere in volata 111-110 grazie ai canestri del n°3 dei Sixers. Un saggio delle sue capacità atletiche e tecniche – “Il più piccolo in campo può diventare il più grande” - espresse in 25 punti totali di cui 15 firmati nell’ultimo quarto (quello della grande rimonta). Nel momento in cui tutti sul parquet hanno iniziato a fare sul serio, "The Answer" ha alzato il livello del suo gioco e dimostrato di avere più benzina e più voglia degli altri. Prodezze sul parquet seguite poi da un colpo di genio quando David Stern – l’allora commissioner NBA – gli consegnò il premio di MVP a fine partita. Ricevuto il riconoscimento davanti al pubblico di Washington che aveva occhi solo per lui, Iverson iniziò a guardarsi intorno domandandosi “Dov’è il mio allenatore? Dov’è finito coach Brown…”, mettendo da parte in uno dei momenti più importanti della sua carriera i tanti screzi con il suo storico allenatore (che sedeva sulla panchina della Eastern Conference all’All-Star Game) e dedicando a lui e ai suoi compagni quel riconoscimento. Il modo migliore per descrivere un talento controverso come Iverson.

2003 | Atlanta

L'ultimo All-Star Game di Michael Jordan

L’ultima grande esibizione di Michael Jordan, prima del ritiro. Non un momento qualsiasi per lui e per i suoi avversari, emozionati e motivati a fare bella figura e in alcuni casi anche a rovinargli la festa. Quel giorno ad Atlanta il titolo di MVP se lo portò a casa Kevin Garnett, autore di 37 punti e nove rimbalzi, ma la ragione per cui in molti ricordano quella sfida è un’altra. La gara infatti per una volta fu davvero combattuta: per 25 volte il vantaggio nel punteggio cambiò da una squadra all'altra, prima di arrivare all’overtime. A 20 secondi dalla sirena dei cinque minuti supplementari, tutto è apparecchiato per un finale da ricordare: 136-136, palla in mano agli All-Star della Eastern Conference, con Jason Kidd e gli altri tre che cercano in tutti i modi di servire Michael Jordan. È la sua ultima partita di fronte ad altri All-Star (a 39 anni) e la palla finalmente arriva nelle sue mani a nove secondi dal termine. Jordan palleggia contro Shawn Marion che difende forte, ma il n°23 più famoso della storia del Gioco trova lungo la linea di fondo un canestro cadendo all’indietro di una difficoltà unica. L’Ovest chiama timeout con tre secondi sul cronometro, mentre alla Philips Arena di Atlanta è l’apoteosi: tutti testimoni dell’ultimo acuto di una carriera infinita, piena di canestri decisivi che sono sempre coincisi con un successo. Non questa volta però, perché a metterci lo zampino ci pensa Kobe Bryant – guastafeste con il tarlo di essere migliore del suo idolo già all’epoca - che quell’ultimo tiro volle proprio prenderselo, scaraventandosi sul pallone e subendo un fallo (molto ingenuo) da parte di Jermaine O’Neal. Due su due a cronometro fermo, secondo overtime e successo della Western Conference, ma soprattutto festa rovinata a Jordan. Anche così si riesce a fare la storia.

La gara da tre punti

Sono state disputate 33 edizioni del "3-Point Contest", la sfida dalla lunga distanza che incorona il miglior tiratore NBA.

Le prime tre edizioni vedono un vincitore leggendario, LARRY BIRD, che passa alla storia per l'ultima delle tre, quella del 1988 disputata a Chicago. Contro il suo compagno di squadra ai Celtics Danny Ainge e contro tiratori del calibro di Dale Ellis, Craig Hodges, Mark Price, Detlef Schrempf, Byron Scott e Trent Tucker, il n°33 dei Celtics è sicuro delle sue chance già all'arrivo allo Chicago Stadium.

“Chi arriva secondo oggi?”

Bird provoca così i suoi avversari di giornata in spogliatoio. Poi scende sul parquet e - senza neppure togliersi la giacca d'allenamento - mantiene la promessa fatta in allenamento: chiude la finale con 17 punti (e quel dito alzato al cielo prima ancora che l'ultimo pallone gonfi la retina) che gli sono sufficienti per assicurarsi il "threepeat" e l'ennesima corona di miglior tiratore della lega.

L'unico altro giocatore ad aver vinto per tre volte (anche lui consecutivamente) la gara del tiro da tre punti è lo specialista dei Chicago Bulls del primo three-peat di anni '90 CRAIG HODGES, che si aggiudica le edizioni del 1991, 1992 e 1993. Proprio in quella del 1991, Hodges stabilisce due record che resistono ancora oggi: quello per il più alto numero di tiri dall'arco messi a segno in un singolo turno (21) e anche il numero di tiri consecutivi mandati a bersaglio (19).

Per noi italiani però il ricordo più bello legato alla gara del tiro da tre punti è ovviamente quello della vittoria di MARCO BELINELLI in maglia San Antonio Spurs nel 2014, l'annata poi conclusa anche con il titolo NBA. Una prestazione spettacolare del tiratore azzurro, che dopo aver superato gli avversari della Western Conference (Steph Curry, Damian Lillard e Kevin Love) si è giocato il titolo contro Bradley Beal. Dopo aver pareggiato la finale per 19-19 con una clamorosa rimonta del suo avversario, Belinelli ha avuto la forza mentale di mettere 24 punti nello spareggio, portandosi a casa il meritatissimo trofeo del "3-Point Contest".

L'ultimo campione del tiro da tre punti - che si ripresenta a Charlotte per difendere la sua corona - è DEVIN BOOKER, la stella dei Phoenix Suns, che nell'edizione dello scorso anno allo Staples Center ha stabilito un record all-time collezionando un punteggio record, 28 punti, il totale più alto mai registrato (primato su cui influisce il maggior peso di un carrello di sole "money ball" che in passato non esisteva).

La gara delle schiacciate

Nasce nella ABA, e ha in JULIUS ERVING il primo, vero grande interprete. Dal 1986 sbarca nella NBA, ed il primo ad aggiudicarsi lo Slam Dunk Contest è LARRY NANCE (padre). Negli anni immediatamente successivi, la competizione vive forse il suo periodo d'oro, grazie ai voli di due giocatori degli Atlanta Hawks diversissimi per caratteristiche ma ugualmente spettacolari - DOMINIQUE WILKINS (campione nel 1985 e poi ancora nel 1990) e SPUD WEBB (che vince nel 1986 scioccando tutti, dal "basso" del suo 1.68). Ovviamente però un nome su tutti entra nell'immaginario collettivo - quello di MICHAEL "AIR" JORDAN - che va a vincere la gara delle schiacciate sia nel 1987 a Seattle che l'anno successivo a Chicago, davanti al suo pubblico in una indimenticabile sfida proprio contro "The Human Highlight Film", Dominique Wilkins.

Di tutti i grandi nomi transitati dallo Slam Dunk Contest, quello di Michael Jordan è quello che resta maggiormente nella memoria di tutti, perché le sue evoluzioni aeree hanno davvero dato una dimensione verticale allo sport come mai successo prima. D'altronde, già nel suo video più famoso - "Come Fly With Me", uscito nel 1989 - MJ rivelava un segreto che lui ammetteva di conoscere già da diversi anni:

"L'uomo è davvero destinato a volare"

Dopo i fasti degli anni '80, la gara delle schiacciate vive un momento di calo, tanto che - dopo aver visto l'affermazione di un giovanissimo Kobe Bryant a Cleveland nel 1997 - dall'anno successivo viene addirittura eliminata dal programma del weekend. A riportarla in vita - e renderla nuovamente uno degli appuntamenti più attesi della tre giorni degli All-Star - ci pensa VINCE CARTER, che a Oakland nel 2000 scrive una pagina indelebile della storia dello Slam Dunk Contest: cinque schiacciate una più bella dell'altra, superando l'opposizione del cugino e compagno di squadra Tracy McGrady e di Steve Francis. Una dimostrazione di forza, atletismo ed esplosività senza pari, tanto da portare Carter a guardare in telecamera e dichiarare "It's over" in uno dei momenti più iconici della storia dell'All-Star Weekend. Da lì in poi, nulla sarebbe stato più lo stesso.

Negli anni 2000 è il piccolo-grande NATE ROBINSON a fare la storia: tre vittorie in cinque anni, nel 2006, 2009 e 2010, diventando il primo di sempre a vincere tre titoli di campione (nel suo palmares anche un secondo posto nel 2007). Il tutto alla mirabile quota di 175 centimetri scarsi, come solamente Spud Webb prima di lui nella storia della gara delle schiacciate.

L'edizione più memorabile in epoca recente è di sicuro quella andata in scena a Toronto nel 2016, dove ZACH LAVINE e AARON GORDON sfoderano schiacciate una più spettacolare dell'altra. Dopo essere avanzati al primo turno con i punteggi rispettivamente di 99 e 94, nel secondo turno piazzano entrambi un doppio 50 che costringe la contesa a protrarsi di un ulteriore tentativo. Peccato che i due producano di nuovo schiacciate da massimo dei voti, rimandando al secondo "overtime" il verdetto definitivo. A spuntarla è Zach LaVine, che si conferma campione dopo aver già vinto nel 2015 con una schiacciata in mezzo alle gambe partendo dalla linea del tiro libero. Ma tutto il mondo è in piedi per una sfida leggendaria.

Nel corso degli anni sono stati tantissimi i "50" (tutti 10 da parte dei cinque giudici) dati agli schiacciatori nello Slam Dunk Contest: in questo video li trovate tutti.

ASG vuol dire spettacolo

MARVIN GAYE (Los Angeles, 1983)

MARIAH CAREY (Atlanta, 2003)

DESTINY'S CHILD (Denver, 2005)

RIHANNA (Los Angeles, 2011)

PHARRELL WILLIAMS, DIDDY, BUSTA RHYMES (New Orleans, 2014)

ARIANA GRANDE (New York, 2015)

CHRISTINA AGUILERA (New York, 2015)

JOHN LEGEND (New Orleans, 2017)

PHARRELL WILLIAMS (Los Angeles, 2018)

FERGIE (Los Angeles, 2018)

MARVIN GAYE (Los Angeles, 1983)

MARIAH CAREY (Atlanta, 2003)

DESTINY'S CHILD (Denver, 2005)

RIHANNA (Los Angeles, 2011)

PHARRELL WILLIAMS, DIDDY, BUSTA RHYMES (New Orleans, 2014)

ARIANA GRANDE (New York, 2015)

CHRISTINA AGUILERA (New York, 2015)

JOHN LEGEND (New Orleans, 2017)

PHARRELL WILLIAMS (Los Angeles, 2018)

FERGIE (Los Angeles, 2018)

All-Star Game 2018

Nella 67^ partita delle stelle, disputata nella splendida cornice dello Staples Center di Los Angeles, si è visto davvero di tutto. E a vincere la prima edizione con le squadre decise dai capitani è stato Team LeBron per 148-145, con capitan James giustamente votato come MVP dopo una prestazione da 29 punti, 10 rimbalzi e 8 assist mettendo la firma su tutte le giocate decisive nel finale.

Suo il canestro del pareggio a quota 144 a un minuto e mezzo dalla fine; sua la difesa su Joel Embiid provocando una palla persa non ravvisata dagli arbitri (ci sono state perfino delle proteste, per far capire quanto è stata competitiva la questione); suo il canestro del definitivo sorpasso a 34.5 dalla fine; suo l’assist per Russell Westbrook per il +3 a 10.7 secondi dalla sirena. Ancora suo, in collaborazione con Kevin Durant, il possesso difensivo per vincerla definitivamente, chiudendo ogni spiraglio a Steph Curry che non è nemmeno riuscito a tentare una delle sue caratteristiche triple per forzare il supplementare, scaricando in emergenza su DeMar DeRozan impossibilitato però a tirare in tempo.

Una gara divertente al netto di un punteggio complessivo più basso rispetto agli ultimi anni (293 punti combinati, il più basso dal 2013 e ben 81 in meno rispetto a dodici mesi prima), giocata ad alti ritmi con il tiro da tre a farla da padrone (19/58 per Team LeBron, 17/65 per Team Steph) ma in cui non sono mancate le giocate spettacolari al ferro da una parte e dall’altra, con la squadra di Curry avanti per quasi tutta la partita ma incapace di fermare James e compagni nel finale.

E ora, archiviato lo spettacolo andato in scena sul parquet dello Staples Center, è tempo di proiettarsi a Charlotte, North Carolina, per l'edizione 2019, che si annuncia come ogni anno da non perdere.

All-Star Game 2019

I titolari della partita delle stelle

L'edizione del 2019, la 68^ nella storia della NBA, torna a Charlotte a 18 anni di distanza da quella del 1991, la prima e unica nella "Queen City". Per la seconda volta in fila le squadre in campo non rispecchiano le due conference, ma sono i capitani votati dal pubblico - LEBRON JAMES e GIANNIS ANTETOKOUNMPO - a dividersi i 24 All-Star (con le aggiunte di Dwyane Wade e Dirk Nowitzki in onore delle rispettive carriere) in un divertentissimo show andato in onda in diretta televisiva.

Ecco le formazioni complete delle due squadre che scenderanno in campo domenica 17 febbraio in diretta su Sky Sport Uno e Sky Sport NBA.


TEAM LEBRON | LeBron James, Kevin Durant, James Harden, Kyrie Irving, Kawhi Leonard, LaMarcus Aldridge, Bradley Beal, Anthony Davis, Damian Lillard, Ben Simmons, Klay Thompson, Karl-Anthony Towns e Dwyane Wade.

TEAM GIANNIS | Giannis Antetokounmpo, Steph Curry, Joel Embiid, Paul George, Kemba Walker, Blake Griffin, Nikola Jokic, Kyle Lowry, Khris Middleton, Dirk Nowitzki, Victor Oladipo (infortunato, sostituito da D'Angelo Russell), Nikola Vucevic e Russell Westbrook

LEBRON JAMES, Los Angeles Lakers (Getty Images)

KEVIN DURANT, Golden State Warriors (Getty Images)

KYRIE IRVING, Boston Celtics (Getty Images)

KAWHI LEONARD, Toronto Raptors (Getty Images)

JAMES HARDEN, Houston Rockets (Getty Images)

GIANNIS ANTETOKOUNMPO, Milwaukee Bucks (Getty Images)

STEPH CURRY, Golden State Warriors (Getty Images)

JOEL EMBIID, Philadelphia 76ers (Getty Images)

PAUL GEORGE, Oklahoma City Thunder (Getty Images)

KEMBA WALKER, Charlotte Hornets (Getty Images)

LEBRON JAMES, Los Angeles Lakers (Getty Images)

KEVIN DURANT, Golden State Warriors (Getty Images)

KYRIE IRVING, Boston Celtics (Getty Images)

KAWHI LEONARD, Toronto Raptors (Getty Images)

JAMES HARDEN, Houston Rockets (Getty Images)

GIANNIS ANTETOKOUNMPO, Milwaukee Bucks (Getty Images)

STEPH CURRY, Golden State Warriors (Getty Images)

JOEL EMBIID, Philadelphia 76ers (Getty Images)

PAUL GEORGE, Oklahoma City Thunder (Getty Images)

KEMBA WALKER, Charlotte Hornets (Getty Images)

La gara da tre: i partecipanti

Sono ben dieci i partecipanti alla gara del tiro da tre punti di Charlotte, tra cui spiccano i due "ragazzi di casa" Steph e Seth Curry. Entrambi infatti sono cresciuti nel North Carolina dove papà Dell ha fatto la storia degli Hornets e dove la famiglia ha continuato a vivere nonostante entrambi i ragazzi oggi giochino sulla costa ovest, rispettivamente a Oakland e Portland. Devin Booker proverà a difendere il titolo conquistato lo scorso anno dall'assalto di alcuni dei migliori tiratori della NBA, a cui si aggiunge ad honorem anche Dirk Nowitzki al suo ultimo weekend delle stelle.

STEPH CURRY, Golden State Warriors (Getty Images)

SETH CURRY, Portland Trail Blazers

DEVIN BOOKER, Phoenix Suns (Getty Images)

BUDDY HIELD, Sacramento Kings (Getty Images)

JOE HARRIS, Brooklyn Nets (Getty Images)

DANNY GREEN, Toronto Raptors (Getty Images)

KRHIS MIDDLETON, Milwaukee Bucks (Getty Images)

DAMIAN LILLARD, Portland Trail Blazers (Getty Images)

KEMBA WALKER, Charlotte Hornets (Getty Images)

DIRK NOWITZKI, Dallas Mavericks (Getty Images)

STEPH CURRY, Golden State Warriors (Getty Images)

SETH CURRY, Portland Trail Blazers

DEVIN BOOKER, Phoenix Suns (Getty Images)

BUDDY HIELD, Sacramento Kings (Getty Images)

JOE HARRIS, Brooklyn Nets (Getty Images)

DANNY GREEN, Toronto Raptors (Getty Images)

KRHIS MIDDLETON, Milwaukee Bucks (Getty Images)

DAMIAN LILLARD, Portland Trail Blazers (Getty Images)

KEMBA WALKER, Charlotte Hornets (Getty Images)

DIRK NOWITZKI, Dallas Mavericks (Getty Images)

Slam Dunk Contest: i partecipanti

Non ci sono grandi nomi e non c'è il campione dello scorso anno Donovan Mitchell, ma di sicuro non manca l'atletismo e l'esplosività ai quattro partecipanti della gara delle schiacciate. Sul parquet si esibiranno il rookie di casa MILES BRIDGES, il sophomore degli Atlanta Hawks JOHN COLLINS, la guardia degli Oklahoma City Thunder HAMIDOU DIALLO e la nuova point guard dei New York Knicks DENNIS SMITH JR.

MILES BRIDGES, Charlotte Hornets (Getty Images)

JOHN COLLINS, Atlanta Hawks (Getty Images)

HAMIDOU DIALLO, Oklahoma City Thunder (Getty Images)

DENNIS SMITH JR., New York Knicks (Getty Images)

MILES BRIDGES, Charlotte Hornets (Getty Images)

JOHN COLLINS, Atlanta Hawks (Getty Images)

HAMIDOU DIALLO, Oklahoma City Thunder (Getty Images)

DENNIS SMITH JR., New York Knicks (Getty Images)