Speciale ginnastica artistica. La forza di Vanessa Ferrari: "Voglio la quarta Olimpiade"

Olimpiadi

Lia Capizzi

A 29 anni Vanessa Ferrari lotta per andare alle Olimpiadi di Tokyo. Sarebbe un record, diventerebbe la prima ginnasta italiana a partecipare a quattro Olimpiadi. Ma più che la longevità alla campionessa azzurra interessa la competitività. La sua è una grande storia di tenacia, dai molti infortuni si è sempre rialzata. Lo fa anche questa volta. Insieme a Lia Capizzi si racconta tra dolori, paure, sorrisi e convinzioni granitiche

Una motivazione di ferro dentro un corpo di appena 1 metro e 46 centimetri. La dolcezza di una donna di 29 anni che si sente completa ma pure le lacrime che ha spesso dovuto versare a causa dei tanti infortuni. I successi e pure il dolore. Il ritratto di Vanessa Ferrari è un gioco di alternanza tra chiaro e scuro. La luce l’ha illuminata fin da quel pomeriggio danese del 2006 quando, a 16 anni riuscì a guardare tutte dall’alto al basso conquistando la medaglia d’oro ai Mondiali di Aarhus. Lo sconforto l’ha provato su una pedana di Montreal, ai Mondiali del 2017, quando ha fatto crack il tendine d’Achille del piede sinistro, lo stesso piede operato appena un anno prima, uno degli ultimi interventi chirurgici a cui si è sottoposta in 13 anni di carriera. Si, con il dolore fisico Vanessa ha dovuto convivere, un’ombra fastidiosa che le si è presentata davanti quando meno se l’aspettava. Ma ha pure dovuto subire la delusione atroce di due quarti posti consecutivi alle Olimpiadi, soprattutto quello di Londra 2012.

 

Iniziamo da qui, le famose medaglie di legno che hanno popolato di fantasmi le notti di molti atleti. Sono state un incubo anche per te?

No, non direi.  I miei due quarti posti alle Olimpiadi di Londra 2012 e di Rio 2016 non sono stati un incubo. Io quello che potevo e dovevo fare l’avevo fatto, quindi comunque ho sempre pensato di aver chiuso quelle gare con la coscienza a posto. Certo, il fastidio c’è quando per due volte di fila vedi sfumare di pochissimo il podio olimpico. La delusione più atroce è stata ai Giochi di Londra perché ero arrivata terza ma per regolamento sono poi finita sotto al podio”.

Nel 2012 la Ferrari, tesserata per il gruppo sportivo dell’Esercito, ha chiuso la finale individuale del corpo libero al terzo posto a pari merito con la russa Alyna Mustafina. Nelle gare olimpiche non sono previste medaglie ex-aequo quindi per regolamento i giudici hanno dovuto valutare anche l’esecuzione, premiando per tre decimi la russa.

Non riuscivo a fermare le lacrime…E oltre al quarto posto ho pure subito una ulteriore beffa, avendo comunque ottenuto il terzo punteggio mi sono beccata il controllo antidoping, che è sempre una cosa lunga. Quella giornata sembrava non voler finire più”.

 

La determinazione con la quale ti stai allenando in questi mesi è dovuta proprio all’ossessione di volere una medaglia olimpica a Tokyo 2020, l’unica  che non hai mai vinto?

Non la vedo come una ossessione. Se avessi a casa mia una medaglia a cinque cerchi onestamente non so se, ora come ora, starei lottando per partecipare alla mia quarta Olimpiade. Probabilmente lo starei facendo lo stesso, indipendentemente dal fatto di avere già in tasca una medaglia”.

 

Hai usato il verbo lottare non a caso. La tua qualificazione olimpica non è affatto scontata, devi cercare di ottenerla a livello individuale con le gare di Coppa del Mondo. Il pass per Tokyo l’hanno invece appena conquistato, come squadra le Fate grazie allo storico bronzo mondiale dello scorso ottobre a Stoccarda: Giorgia Villa, le gemelle Asia e Alice D’Amato, Elisa Iorio, Desiree Carofiglio. Sono tutte giovanissime, sono cresciute nel tuo mito, e tu stessa le hai viste crescere perché ti alleni quotidianamente con loro sotto la guida di Enrico Casella. C’è un effetto traino reciproco?

Ho gioito per il loro bronzo iridato, arrivato a 69 anni di distanza. Dopo l’Olimpiade di Rio, quando stavo pensando di ritirarmi, le ho anche allenate per qualche settimana. Hanno creato un bel gruppo, sono tutte legate tra di loro, vivono qui nella foresteria della palestra, sono come sorelle. È questa la loro forza: riuscire ad aiutarsi, a portare tutto il gruppo avanti, Loro sono uno stimolo, vedere la loro grinta aiuta anche me a cercare di migliorarmi ancora”

 

Tu alla loro età vincevi, prima italiana di sempre, l’oro mondiale nel 2006. Rivedendoti adesso provi più tenerezza o nostalgia?

“Un pochino di nostalgia, perché sarebbe bello rivivere quei momenti. Ma ero anche molto piccola, incosciente, non sapevo godermi le medaglie come invece ho imparato nel tempo. Adesso se faccio un risultato so che è stato sudato, programmato, il frutto di un lavoro di squadra tra medici, fisioterapisti, il mio allenatore di sempre Enrico Casella e ora anche l’allenatrice Anna Samadello”.

 

Mentre parliamo con Vanessa il fisioterapista Alessandro è al lavoro sui suoi muscoli. Sta utilizzando la Tecar, il macchinario che sprigiona una forma di termoterapia endogena. Ben visibile la lunga cicatrice sul piede sinistro.

È quella del mio ultimo infortunio ai Mondiali di Montreal del 2017, durante la finale del corpo libero. Ho capito subito di essermi rotta il tendine d’Achille. In momenti come quelli è difficile trovare un minimo di lucidità nel caos della disperazione”.

 

In molti allora dissero: è finita. Una ginnasta di 27 anni da un infortunio del genere non può risollevarsi. Questa volta Vanessa non ce la farà.

Si, lo so. Ho avuto paura anch’io, i dubbi di non sapere se sarei riuscita a tornare. Questa volta è stata più dura. In teoria dovrei essere abitata al dolore, alla rieducazione, alla difficoltà di cadere e rialzarmi. Nessuno meglio di me lo sa.  Ti posso fare l’elenco dei miei infortuni. Mi sono operata da piccola nel 2005 alla mano, nel 2007 ho subito la microfrattura dello scafoide del piede sinistro, nel 2008 - proprio l’anno delle Olimpiadi di Pechino- avevo come compagna di vita una fastidiosa tendinite, nel 2009 sono stata operata la piede destro. Dopo le Olimpiadi di Rio nel 2016 mi sono sottoposta alla scarificazione del tendine del piede sinistro e poi nel 2017, proprio durante la finale dei Mondiali di Montreal,, c’è stata appunto la rottura del tendine d’Achille dello stesso piede, mi è stato ricostruito. Nei giorni successivi ho sentito davvero l’affetto enorme della gente, quasi come se tutti avessero pianto insieme a me.”

 

Sei tornata sotto i ferri anche lo scorso aprile per limare un pezzo di tibia dalla caviglia destra e un pezzettino d’osso dalla caviglia sinistra. Proprio questo stupisce, alla sfortuna che si è accanita su di te hai sempre risposto con altrettanta convinzione.

“All’inizio è molto difficile, lo confesso.. Torni in palestra ma non sai cosa aspettarti, successivamente inizi a fare alcuni esercizi e quindi ti torna l’entusiasmo, dentro di te dici: allora ce la posso fare! Con l’età il corpo ha bisogno di più ore di riposo, di lunghe giornate di fisioterapia”.

 

Al tuo fianco c’è sempre Enrico Casella, l’allenatore che ti segue da quando avevi 7 anni, il tecnico che ha creato la realtà della Brixia a Brescia ed è il CT della Nazionale. Com’è cambiato il vostro rapporto negli anni?

È cambiato molto rispetto a quando ero bimba. Quando si è piccoli si ha bisogno di un maestro severo, che ti tenga al top della concentrazione: facciamo esercizi difficili e l’infortunio è sempre dietro l’angolo, bisogna fare attenzione. Enrico mi definisce una rompiballe, io lo so di non rendergli la vita facile per poter raggiungere il mio obiettivo, quello che voglio”.

 

E tu cosa vuoi?

“Io voglio riuscire a qualificarmi per l’Olimpiade di Tokyo e soprattutto voglio poter andare là per giocarmi qualcosa”.

 

Dovessi riuscire a qualificarti stabiliresti un record. Diventeresti la prima in assoluto, nella storia della ginnastica artistica italiana, a disputare quattro Olimpiadi. Intuisco che più della longevità a te interessi la competitività.

“Esatto. Non mi va di andare a Tokyo solo per partecipare. Poi in gara può succedere qualsiasi cosa, a me o alle mie avversarie, ma io voglio avere la possibilità di stare bene, di andare lì e potermi giocare le mie carte”.

 

A 29 anni chi te lo fa fare di gareggiare ancora? In un’età matura per la ginnastica artistica, intendo.

“Eh, sapessi quante volte mi sono fatta anch’io questa domanda. Sai cosa mi rispondo? Che vince più la mia voglia di non avere rimpianti in futuro. Voglio provarci ancora una volta perché l’Olimpiade è la gara più ambita da tutti gli sportivi”.

 

Da baby campionessa era di poche parole, quando si presentava davanti ai microfoni parlava a monosillabi (e un po’ con il broncio). La Vanessa stagione 2019 è una donna matura, consapevole e con una parlantina bella sciolta. Più forte del dolore, più forte della sfortuna. La forza di volontà di un cannibale nel corpo di uno scricciolo.

Ah, per farla sorridere davvero regalatele una scatola di cioccolatini. Ne va matta.