Oggi vedere una partita NBA è facile: basta accendere il telecomando e puoi ammirare le stelle della lega a ogni ora del giorno e della notte. Ma prima del 31 gennaio 1981 non era così.

Quaranta anni fa, oggi, veniva trasmessa la prima partita NBA su una televisione italiana. Anzi, a dirla tutta era la prima volta che una partita NBA veniva trasmessa al di fuori degli Stati Uniti. Si trattava — ovviamente — di una sfida tra i Boston Celtics e i Los Angeles Lakers, le due squadre più famose della lega e destinate, anche se ancora non lo sapevamo, a rinverdire i fasti degli anni ’60 per tutto il decennio che era appena cominciato. Ma non è la partita in sé che ci interessa raccontare - anche perché era stata disputata ben 13 giorni prima di quella messa in onda -, quanto piuttosto i protagonisti, anche se forse si potrebbero chiamare eroi, che hanno reso possibile quell’impresa. Perché ai tempi vedere la NBA dal proprio salotto di casa sembrava fantascienza, mentre oggi la si può guardare ovunque, dovunque, in qualsiasi momento si voglia. Sono passati 40 anni, è cambiato tutto quanto. Ma la meraviglia davanti a una partita di pallacanestro americana rimane sempre la stessa. E a raccontarcela nello speciale La Prima Volta, in onda e on demand su Sky Sport NBA, sono coloro che hanno reso il sogno realtà.

"Sul finire degli anni Settanta, acquisto tre bobine in pellicola da 40 minuti l’una. La prima contiene le immagini dell’All-Star Game del 1979; la seconda le finali dello stesso anno, tra Washington Bullets e Seattle Supersonics; la terza un riassunto delle Final Four universitarie del 1980, vinte da Louisville. Assieme fanno due ore di filmati, che decido di portare in giro per l’Italia alla guida della Cinquecento blu di mia madre, con l’idea di organizzare delle proiezioni nei cinema delle principali città di pallacanestro. Il biglietto costa mille lire, ogni sala è strapiena. Io racconto qualche aneddoto prima dell’inizio e poi, mentre scorrono le immagini con l’audio originale, faccio una sorta di commento live direttamente dal palco. Quella NBA era come il mostro di Lochness: se n’era sentito parlare ma nessuno l’aveva mai vista. Tornavo a casa con 800mila lire in biglietti da mille, neanche avessi svaligiato una banca. Al tempo erano soldi: la mia prima casa la comprai anche grazie a quegli insperati guadagni" - Guido Bagatta

"Il digiuno di immagini fino a quel 31 gennaio era pressoché totale: l’unica eccezione prima dell’arrivo delle partite sulla Televisione Svizzera Italiana era una sfida tra Boston Celtics e Cincinnati Royals del 1968, conservata alla USIS (United States Information Service) - la Biblioteca Americana di Milano di via Bigli. Per il resto quel che si sapeva arrivava dalla carta stampata, qualche articolo qua e là… c’era Superbasket, fondato il 7 novembre 1978, e già dall’autunno 1966 c’erano i Giganti del Basket" - Luca Chiabotti

"La RSI, che all’epoca era solo TSI, trasmise un All-Star Game della NBA e un eccezionale Stati Uniti contro Unione Sovietica, che al tempo faceva delle tournée contro le squadre universitarie americane. Ricordo che in quella partita giocata a San Diego c’era Bill Walton, ancora a UCLA: schiacciò quattro volte al volo su un lob che a noi oggi sembra tanto normale, ma per un ragazzo italiano all’inizio degli anni '70 sembrava una giocata ai limiti della regolarità. Per chi è cresciuto nel nord Italia la televisione svizzera-italiana ha avuto enorme impatto" - Federico Buffa

"Il 28 agosto 1982 inizio a lavorare per Guido Bogarelli, produttore televisivo. Neppure una settimana dopo mi chiede di accompagnarlo a New York, per un giro di incontri con tutte le leghe sportive americane. Ci riceve David Stern, che al tempo aveva dei baffi da far invidia a Clark Gable. Viaggiavo con un voucher che in pratica era un biglietto gratuito, a patto che ci fosse posto sul volo. Venerdì partenza da Milano, sabato ritorno da New York, ma due-tre volte feci arrivo e ripartenza in giornata. Mettevo le bobine in valigia; solitamente erano due, gigantesche, della marca Ampex, la più famosa: primo tempo su una, secondo sull’altra. Sbarcato a Malpensa, volavo di corsa a Milano 2 per il procedimento di transcodifica, che tramutava i nastri dal sistema NTSC americano a quello PAL da noi adottato. Con quelli in mano andavo agli Studi Telepro di via Giotto 36: qui iniziava la riduzione dell’intera partita a una versione accettabile per la tv, quasi senza pause, solo gioco e qualche time out per le pubblicità. Ci voleva almeno una settimana prima che il match – arricchito nel frattempo dal commento di Peterson – venisse trasmesso in tv" - Andrea Bassani

"Una sera Bruno Bogarelli, imprenditore che gestiva i diritti NBA in Italia, mi chiede se voglio occuparmi delle telecronache. Mi offre centomila lire a partita, tre milioni e mezzo per quel primo anno intero. Ancora oggi lui imita benissimo – col mio accento, meglio di quanto possa farlo io – la mia risposta: «Bruno, vuoi che io sputi su tre milioni e mezzo di lire?!?». Iniziammo con Boston Celtics-Los Angeles Lakers, sullo storico parquet incrociato del Boston Garden.” - Dan Peterson

“Durante i primi viaggi negli USA entro in contatto con le persone giuste della Cbs, il network che deteneva i diritti tv delle gare. Chiedo senza tanti giri di parole se possono essere interessati a venderli in Italia. Mi dicono di sì. Da lì in poi è iniziato un rapporto speciale con tanti protagonisti NBA, a partire da Julius Erving che una volta, per il mio compleanno, mi ha regalato il suo paio di scarpe nello spogliatoio dei Sixers” - Giorgio Gandolfi

"Nel 1979 vennero gli All-Star della NBA a giocare in Italia per due partite di esibizione in piena off-season: c'erano Wes Unseld e Elvin Hayes, che avevano appena giocato le Finals con i Bullets, gli allenatori erano John Havlicek e Oscar Robertson. Ma non avevano assolutamente voglia, e noi non sapevamo come approcciarli, se applaudire oppure no quando facevano una giocata. Due giorni dopo la prima a Milano giocarono di nuovo a Bologna, e io all’epoca a 17 anni non ero autorizzato a fare Milano-Bologna per vederli. Per questo benedii un collegamento per la Domenica Sportiva di Aldo Giordani, che fece vedere 10 minuti di questa partita che già intera era quello che era, visto che per loro era off-season, figurati ripresa con i mezzi di allora. Il pubblico di Bologna condivideva le stesse cose che condividevamo noi, ma non osava dirselo: e per questo ogni tanto qualcuno applaudiva, come a teatro” — Flavio Tranquillo

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I GIORNALI CHE SEGUIVANO LA NBA

Come l'Iliade e l’Odissea erano soprattutto racconti orali ai tempi dell’antichità, anche le gesta degli eroi della NBA fino all’inizio degli anni ‘80 si tramandavano di persona in persona — non necessariamente a voce, ma soprattutto in forma scritta. Ai tempi la lega, più che guardarla, la si leggeva: c’era Giganti del Basket, la prima rivista di settore di cui Guido Bogarelli era editore; c’era il settimanale SuperBasket, che seguiva soprattutto la pallacanestro nostrana ma dava uno sguardo anche alla NBA; e c’era il "Guerin Basket" - "spinoff" voluto da Aldo Giordani del mitico Guerin Sportivo - appuntamento imprescindibile per ogni appassionato di sport in edicola. Solo lì si potevano vedere (e ritagliare!) le immagini dei giocatori NBA, che altrimenti erano solo raccontati a voce — fino a quando tutti non li hanno potuti vedere nel proprio salotto di casa dopo quel leggendario 31 gennaio 1981. Un ragazzo di Milano considerava "Giganti la Bibbia e il Guerino il Vangelo": si chiamava Federico Buffa e un giorno si presentò a Superbasket per proporre un suo pezzo...

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PRIMARETE INDIPENDENTE:
LA PRIMA TV NBA IN ITALIA

Un bulldog con in testa una bombetta e un fiore in bocca. Questo il simbolo di Pin - Primarete Indipendente, la prima emittente a trasmettere la NBA in Italia in quel lontano gennaio del 1981. Un consorzio di TV regionali - syndycation, nel gergo di settore - facente capo alla Rizzoli, nato nel 1980 e che dal 13 dicembre di quell’anno iniziò a trasmettere contemporaneamente in diverse TV locali gli stessi programmi, coprendo diverse zone del territorio nazionale attraverso il metodo della cassettizzazione - in onda in giro per l’Italia a orari diversi, in base ai tempi di spedizioni via etere delle cassette con le registrazioni dei programmi. Un espediente semplice, utilizzato anche da Silvio Berlusconi con Canale 5 - unica rete privata in grado di raggiungere tutto il Paese in quel periodo. Un'emittente ambiziosa, il cui punto di forza era il telegiornale intitolato "Contatto" e condotto da Maurizio Costanzo, anticipatore in parte della logica del talk show e primo tg di respiro nazionale trasmesso su una TV locale.

Nell'ottobre del 1980 il pretore della prima sezione civile di Roma, Michele Aiello, accogliendo il ricorso presentato dalla Rai, impedì a Pin la diffusione dei programmi via etere su scala nazionale (una battaglia replicata poi nel 1984 proprio con Mediaset). E qualche mese dopo, il 14 luglio 1981, la Corte Costituzionale accolse il ricorso della Rai e ribadì che, in mancanza di una legge di regolamentazione dell’emittenza privata, la tv di Rizzoli poteva trasmettere solo in ambito locale. "Contatto", il tg di Costanzo, che andava in onda in diretta solo nel Lazio alle 19.30 e veniva trasmesso in differita (nel corso della stessa serata) in Lombardia e in Toscana, fu costretto alla chiusura - anche a seguito dello scandalo P2 che coinvolse il giornalista in quei mesi. L’esperienza di Rizzoli con Pin si concluse sul finire del 1981. Un anno di vita o poco più, giusto in tempo per regalarsi una prima volta con il basket NBA e con un Celtics-Lakers diventato una sfida storica.

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LA NBA DI INIZI ANNI '80:
"IL TROFEO BIRRA MORETTI"

Oggi siamo abituati a vedere sui nostri schermi tutte e trenta le franchigie della NBA, qualcuna più spesso e altre un po’ di meno. Ma ai tempi la lega non-ancora-di-David-Stern (ma lo zampino era già ben presente) poteva contare su 23 squadre, solo che da questa parte dell’oceano ne arrivavano quasi esclusivamente tre - Los Angeles Lakers, Boston Celtics e Philadelphia 76ers, le uniche in grado di fare breccia nell'immaginario degli appassionati italiani. E sempre quelle tre arrivavano a vincere il titolo, visto che dal 1980 al 1988 li hanno portati a casa tutti e nove affrontandosi spesso tra di loro, con giusto un paio di apparizioni degli Houston Rockets a sparigliare le carte. Una sorta di perenne Trofeo Birra Moretti, come il triangolare calcistico tra Inter, Milan e Juventus nel più classico degli appuntamenti del calcio di agosto. Le altre 20 squadre sarebbero arrivate dopo, piano piano, così come l’allargamento delle franchigie alle trenta che conosciamo oggi - e che tutti possono tifare guardando, se lo vogliono, anche tutte le loro partite in diretta e on demand. Ma ai tempi non si scappava: Lakers, Celtics o Sixers, quartum non datur.

LA PARTITA E LA RIVALITÀ
CELTICS vs. LAKERS

PERCHÉ MAGIC JOHNSON NON ERA IN CAMPO

Il grande assente della sfida del 18 gennaio 1981 tra Celtics e Lakers - andata poi in onda in Italia 13 giorni dopo, una differita durante la quale gli Stati Uniti fecero in tempo a cambiare Presidente, passando da Jimmy Carter a Ronald Reagan - è Magic Johnson, protagonista pochi mesi prima durante le Finali NBA in cui da rookie riuscì a sostituire una leggenda come Kareem Abdul-Jabbar - simbolo e riferimento di quella versione dei Lakers - nella decisiva gara-6 in cui il miglior realizzatore della storia NBA fu costretto a restare fuori a causa di un infortunio alla caviglia. Kareem non partì neanche per Philadelphia e la squadra di Los Angeles, avanti sul 3-2 nella serie, decise di lasciare anche lo champagne a casa, convinta com’era di non poter conquistare l’ultima e decisiva vittoria. Magic invece riuscì a ribaltare ogni pronostico, giocando da centro, sfidando un campione come Julius Erving e mettendo a referto una prestazione da 42 punti, 15 rimbalzi e 7 assist rimasta nella storia delle finali NBA e che gli permise di vincere il titolo di MVP dell’ultima serie della stagione. 

Durante la regular season successiva però, quella 1980-81, le cose non andarono per il verso giusto per Johnson, tornato improvvisamente mortale dopo il duro colpo subito al ginocchio sinistro da parte di Tom Burleson - gigante di 218 centimetri per oltre 110 chili, franato sulla sua gamba sinistra a seguito di uno scontro di gioco. Un infortunio subito durante il match contro gli Atlanta Hawks dell’11 novembre 1980 e diventato un problema cronico soltanto a una settimana di distanza nel corso della sfida contro Kansas City. Magic a quel punto è costretto a fermarsi e a operarsi per rimuovere un pezzo di cartilagine dal ginocchio. Un’assenza pesante da gestire, ma i Lakers riuscirono in qualche modo a reggere anche senza di lui - 28-17 di record, tra cui anche quella partita persa a Boston a gennaio. La sua indisponibilità segnò il gruppo guidato da coach Westhead: la stampa, i tifosi e gli appassionati continuavano incessantemente a domandarsi quando avrebbero rivisto il giovane 21enne in campo, senza dare merito ai Lakers di essere riusciti a restare in corsa per un posto ai playoff anche senza il loro miglior talento.

"Lui è soltanto uno, noi siamo una squadra", il commento lapidario di Abdul-Jabbar nel giorno del ritorno in campo di Johnson al Forum il 27 febbraio contro i New Jersey Nets dopo 100 giorni d’assenza - con 17.505 cartelli sventolati dal pubblico gialloviola con la scritta "The Magic is Back" a riempire le tribune della storica arena di Los Angeles. Magic era rientrato in gruppo già dal 2 febbraio, rinfrancando il morale dello spogliatoio ma senza poter dare un contributo fattivo in campo. La questione nel corso delle settimane continuò a montare, mentre una domanda continuava a rimbalzare tra i cronisti: la squadra si sarebbe nuovamente adattata a lui o avrebbe proseguito lungo la propria strada? Alla fine le cose a livello tecnico in quei mesi non funzionarono e aprirono in qualche modo la strada alla promozione da head coach dell'assistente allenatore Pat Riley. La forma fisica di Magic tornò in breve tempo a essere quella dei giorni migliori nella primavera del 1981, ma nonostante i 17 punti, 13.7 rimbalzi e 7 assist di media messi a referto nella prima serie playoff contro gli Houston Rockets, i Lakers persero 2-1 rinunciando all’obiettivo di portare a termine uno storico back-to-back da campioni NBA, aprendo la strada ai loro storici rivali.

LA VITTORIA DEI CELTICS
CAMPIONI NBA NEL 1981

Per una franchigia normale, cinque anni senza vincere sono la normalità. Per alcune, poi, si può anche aggiungere uno zero dopo il cinque e passare 50 anni, o la propria intera esistenza, senza neanche andare vicini a vincere. Se ti chiami Boston Celtics, però, cinque anni senza vincere sono un’eternità: i biancoverdi nel 1981 erano reduci da quattro stagioni a secco di titoli, visto che l’ultimo risaliva al 1976 con Dave Cowens MVP delle Finals. Proprio quel Dave Cowens che, appena 31enne e comunque All-Star nella stagione precedente, alla fine del training camp aveva dovuto alzare bandiera bianca per i tanti infortuni e annunciare il ritiro.

Le grandi squadre e le grandi dirigenze, però, si vedono da come sanno reagire alle avversità. Il deus ex machina dei biancoverdi, Red Auerbach, si era già assicurato un discreto biondino da French Lick, Indiana, tale Larry Joe Bird al Draft del 1978 — aspettandolo per un anno prima di poterlo vedere in squadra, trasformandola immediatamente in una contender con un primo anno da 21.3 punti, 10.4 rimbalzi e 4.5 assist di media culminato non solo con il premio di Rookie dell’Anno, ma anche con l’All-Star Game. Posta la pietra angolare della franchigia, è però nell’estate del 1980 - dopo una sconfitta in finale di conference contro Philadelphia - che Auerbach costruisce una dinastia con uno degli scambi più memorabili (per i Celtics) nella storia della NBA. Avendo a disposizione la prima scelta assoluta al Draft, invece di scegliere Joe Barry Carroll i Celtics scambiarono quella pick ai Golden State Warriors prendendo in cambio Robert Parish e la terza scelta al Draft, con la quale presero Kevin McHale. E senza saperlo, o forse sapendolo benissimo, era nato il frontcourt più forte nella storia della NBA, tre Hall of Famer sui quali i biancoverdi costruirono le proprie fortune.

Quel 31 gennaio 1981 - o per meglio dire il 18, visto che la gara è arrivata da noi con 13 giorni di differita - in campo c’erano tutti e tre, anche se McHale era ancora un rookie e quel giorno usciva dalla panchina. Bird in compenso era già capitano della squadra e, pur chiudendo con soli 11 punti tirando 4/13 dal campo, spinse i suoi alla vittoria per 98-96 grazie ai 22 punti a testa di Parish, Tiny Archibald e Cedric Maxwell per superare i 32 di Jabbar e i 29 di Jamaal Wilkes con un ultimo quarto da 22-14 per i padroni di casa. I biancoverdi avrebbero poi concluso la regular season con un record di 62 vittorie e 20 sconfitte, spazzando via i Chicago Bulls in quattro partite al primo turno dei playoff e superando i Sixers per 4-3 nelle finali di conference, rimontando da 1-3 nella serie grazie a un Bird da 26.7 punti e 13.4 rimbalzi di media nella serie. In finale, poi, avrebbero conquistato il 14° titolo della loro storia vincendo 4-2 nelle finali contro i Rockets, con Cedric Maxwell nominato MVP della serie finale nonostante un Bird da 15 punti, 15 rimbalzi e 7 assist di media nella serie, complice un brutto 42% al tiro. Era il suo primo titolo NBA, pareggiando quello vinto l’anno prima da Magic, anche se sarebbero passati altri due anni prima dei loro tre duelli in quattro anni in finale NBA tra il 1984 e il 1987. Un’altra storia: ma i semi di quella rivalità erano già ben presenti il 31 gennaio 1981.

RED AUERBACH: 9 titoli NBA da allenatore e 7 da Executive vinti con i Boston Celtics

BILL RUSSELL: 11 titoli NBA da giocatore e 2 da allenatore vinti con i Boston Celtics

JOHN HAVLICEK: 8 titoli NBA da giocatore vinti con i Boston Celtics

LARRY BIRD: 3 titoli NBA da giocatore vinti con i Boston Celtics

PAUL PIERCE: 1 titolo NBA da giocatore vinto con i Boston Celtics

PAT RILEY: 1 titolo NBA da giocatore, 1 da assistente e 4 da allenatore vinti con i Los Angeles Lakers

JERRY WEST: 1 titolo NBA da giocatore e 6 da Executive vinti con i Los Angeles Lakers

KAREEM ABDUL-JABBAR: 5 titoli NBA da giocatore e 2 da assistente allenatore vinti con i Los Angeles Lakers

MAGIC JOHNSON: 5 titoli NBA da giocatore vinti con i Los Angeles Lakers

KOBE BRYANT: 5 titoli NBA da giocatore vinti con i Los Angeles Lakers

GLI "OUTTAKES" DELLO SPECIALE

IL RACCONTO DEI PROVINI DI FEDERICO BUFFA

Ai tempi la NBA era soprattutto narrazione, ma spesso capitava che i protagonisti della lega passassero dalle nostre parti per farsi vedere anche in Europa, facendo un piacere ai loro agenti. Federico Buffa ne ricorda in particolare due: Lonnie Shelton, ala forte con una carriera decennale in NBA a cavallo tra anni ‘70 e ‘80, e Swen Nater, centrone olandese della stessa epoca, doppia doppia di media nella sua carriera da professionista. "Giocatori così non vengono assolutamente più", dice l'Avvocato.

BASSANI E IL SUO PARTICOLARE ALL-STAR GAME DEL 1983

Il 33° All-Star Game della NBA è uno dei più memorabili di sempre. Innanzitutto per la cornice del Great Western Forum di Inglewood, in una Los Angeles che un anno dopo avrebbe ospitato le Olimpiadi vinte da un certo Michael Jordan. Un po’ per i protagonisti in campo, con un Julius Erving nominato MVP a 33 anni già compiuti dopo aver guidato la Eastern Conference alla vittoria con 25 punti. Ma soprattutto per l’indimenticabile inno nazionale di Marvin Gaye prima della palla a due, da molti considerato il più bello di sempre. Sarebbe stato bellissimo essere presenti, vero? Andrea Bassani avrebbe dovuto, ma qualcosa è andato storto

PETERSON E LE FINALI NBA DEL 1984

Nel 1984 Lakers e Celtics si affrontano per la prima volta in Finale dopo essersi spartite tre dei precedenti quattro titoli, pur senza mai incontrarsi. È la prima finale di Magic contro Bird ed è piena di episodi memorabili, dalla rubata di Gerald Henderson a James Worthy in gara-2 al "sissies" di Larry Bird parlando della prestazione dei suoi compagni in gara-3 fino al famoso fallo di McHale su Rambis in gara-4 e la torrida gara-5 con 36 gradi nel palazzetto (e Jabbar con la bombola di ossigeno). A seguire le Finali quell’anno c’è però anche Dan Peterson, che da gara-4 in poi realizza il commento direttamente dal palazzetto. Solo che qualcosa già nel primo quarto non va come sperato, ma grazie all’intervento di David Stern si capisce quanto sia importante per la NBA avere degli europei in loco.