Un progetto di: Sara Cometti e Mauro Bevacqua
Editors: Luca Longo, Massimo Tralci | Graphics: Dario Radaelli

"L'eroe è un danzatore acrobatico
sul ritmo ipnotico di un palleggio"

14 settembre 2020
Festival della Bellezza

"The Voice" e "l'Avvocato"

Flavio Tranquillo e Federico Buffa

In una location unica,
l'Arena di Verona.

Come due gladiatori,
perché la citazione di un altro n°23
(LeBron James, che prende a prestito
le parole di Theodore Roosvelt),
ricorda come "non è il critico che conta,
né l’individuo che indica come l’uomo forte inciampi
o come avrebbe potuto compiere meglio un’azione.
L’onore spetta all’uomo
che realmente sta nell’arena,
il cui viso è segnato
dalla polvere, dal sudore, dal sangue".

"L'ossessione per la perfezione, l’estetica della vittoria.
La rappresentazione filmica di una squadra epica
alla sua ultima recita.
L’epopea di un’icona che sorvola la gloria,
lo sport tra settima e ottava arte"

Di queste e altre storie hanno conversato
Flavio Tranquillo (The Voice) e Federico Buffa (L'Avvocato) all'Arena di Verona, in occasione del Festival della Bellezza,
nel ricordo delle finali NBA 1998 ma non solo.
Un'esperienza straordinaria,
rivissuta di fronte a 3.800 spettatori.
O Maniacs.

Foto: Leonardo Ferri

Foto: Leonardo Ferri

Foto: Leonardo Ferri

"Quello che vi aspetta
è una sorta di intervista,
una conversazione,
un viaggio nella memoria"

FEDERICO BUFFA

Federico Buffa & Flavio Tranquillo in "Michael Jordan - The Last Air Dance" di International Music and Arts per il Festival della Bellezza.

Federico Buffa & Flavio Tranquillo in "Michael Jordan - The Last Air Dance" di International Music and Arts per il Festival della Bellezza.

A tu per tu con MJ:
la prima volta

FEDERICO BUFFA | Ricordo perfettamente che Virginio [Bernardi] mi ha detto: "Federi' ho un regalo per te” - “Dimmi, Virgì” - “Modestamente, il mio amico Mike Brown ci fa avere i biglietti a bordo campo, che tu te li saresti sognati proprio”. "Benissimo". Arriviamo lì e finalmente vediamo la partita dal campo. Sono 48 minuti di partita contro i Milwaukee Bucks, vinta dai Chicago Bulls — tra l’altro una bella partita, molto combattuta. Lui starà in campo 39 minuti. Visto dal campo, non c'è una singola giocata della partita, dove lui non sia sopra il ferro. All'inizio dici: “Beh, impressionante”. Però a metà del terzo quarto non lo hai mai visto sotto. Un'energia nel librarsi nell'aria, con delle caratteristiche del felino e sempre un senso estetico della giocata e una logica quasi mistica del sapere dov'è. Io non ho mai visto un atleta comportarsi in quel modo in un contesto collettivo. Il problema è che giocava sinceramente per vincere, ma non aveva grande percezione dei suoi compagni di squadra, ed è una cosa fondamentale.

Proprio durante “The Last Dance”, lui dice una cosa che a mio modo di vedere è la cosiddetta legacy, il legato, che viene trasmesso in ceralacca a Kobe Bryant e a LeBron James, che si sono comportati, a oggi, sempre nello stesso modo: 

"Hai preso tre ore del tuo tempo per vedermi,
magari hai speso dei soldi,
magari non sei di questa città
e sei venuto a vedermi:
io per te, chiunque tu sia,
giocherò al meglio delle mie possibilità"

FLAVIO TRANQUILLO | Il punto è sempre quello. Non è tanto se è stato il migliore o sarà il migliore o se deve per forza essere il migliore da qui all'eternità. È che è stato il primo. Prima non c'era questo.

Michael Jordan
nella bolla di Orlando

FEDERICO BUFFA | In “The Last Dance”, che ovviamente è fatto benissimo , la produzione può permettersi un lusso enorme. Si può muovere in più di 10 anni o 15 anni, addirittura. E se invece facessimo andare la DeLorean nell'altro senso, quello che non ci è consentito dal documentario? Se portassimo MJ oggi o anche ieri o l'altro ieri?

Che ne sarebbe di lui?

FLAVIO TRANQUILLO | Secondo me è più interessante portarlo oggi, perché purtroppo, viste le circostanze, oggi è oggi — già ieri conta quello che conta. Se lo portassimo oggi a Orlando dentro la bolla, per poter essere il Michael Jordan dei Michael Jordan non avrebbe una scelta diversa che non di aderire a un certo tipo di immagine, che è basato sulla percezione della tua coscienza civile o del tuo senso di ribellione rispetto alle ingiustizie sociali.

(Foto: Fabio Benato )

FLAVIO TRANQUILLO | Se oggi Michael Jordan dentro la bolla non facesse questo, non diventerebbe Michael Jordan, anche con l'ultimo tiro, anche con i 37 nel primo tempo dopo LaBradford Smith, anche dopo i titoli, l'MVP, i “capocannoniere”, eccetera, eccetera. Questo non è un giudizio di merito, questo non è un sospetto. Questo secondo me è un dato. Oggi gli atleti — e naturalmente è proporzionato a quanto sono importanti — hanno addosso anche questo. Io credo che noi dovremmo fare del nostro meglio per levargli un po' di questa pressione, perché tanto basta che dicano una parola e già hanno fatto il loro. Però costringerli a essere come abbiamo deciso noi secondo me è troppo, è pericoloso e va contro la causa. E Dio solo sa se in questo caso la causa della giustizia civile, della giustizia sociale per gli afroamericani è una causa da combattere e dobbiamo combatterla noi che siamo privilegiati.

(Foto: Fabio Benato)

FEDERICO BUFFA | Il padre è quello che gli dice: "Figliolo, guarda che se tu pensi di poter vivere ogni giorno in uno stato di ostilità nei confronti dell'ambiente che ti circonda, qui a Wilmington, North Carolina, tu duri poco. Quindi devi cominciare a pensare a un sistema che ti permetta di convivere con una realtà difficile, ma se hai qualcosa di tuo, fidati quel qualcosa uscirà fuori". Michael se l'è sempre ricordato questo particolare. Come dice Flavio però, oggi non potrebbe mantenere una distanza quasi neutrale dal mondo che lo circonda, proprio perché oggi non ti è più permesso di essere neutrale nella NBA.

FLAVIO TRANQUILLO | Non è una mia supposizione. Lo ha detto lui nel momento in cui è diventata ancora più forte questa tematica all'interno della NBA, lui ha scritto una lettera, chiamiamola una lettera aperta, esprimendo assolutamente il concetto nudo e crudo:

"Non posso più stare zitto" 

(Foto: Getty Images)

Foto: Fabio Benato
Foto Fabio Benato

Le facce del potere

La cover dell'articolo del NYT: Faces of Power

La cover dell'articolo del NYT: Faces of Power

FLAVIO TRANQUILLO | Il 9 settembre il The New York Times ha pubblicato un articolo in cui ha fatto vedere le fotografie di quelle che, a giudizio della testata, di solito piuttosto prestigiosa, sono le 922 persone che detengono veramente il potere e determinano le scelte negli Stati Uniti. Sono senatori, congressmen, grandi uomini d'azienda. L'idea del The New York Times è stata quella di far vedere in bianco e nero quelli che non sono di colore e virati in giallo quelli che sono di colore: 180 su 922.

Tra questi 922 ci sono - tanti, ma non tantissimi - tutti e 99 i proprietari delle squadre professionistiche degli sport principali. Sono solo 6 su 99 i proprietari di squadre di sport professionistiche non bianchi caucasici.

1 su 30 nella NBA

il cui nome, in linea di massima ha a che fare con la nostra conversazione ed è Michael Jeffrey Jordan.

1 su 30: c'è ancora un po' da scarpinare...

The 2016 Presidential
Medal of Freedom

Due acronimi, due sigle, che ormai quasi tutti conoscono.

POTUS
President Of The United States

e poi

GOAT
Greatest Of All Time

Quando si incontrano alla Casa Bianca, in una cerimonia che quel giorno premia anche Robert Redford e Robert De Niro, Diana Ross e Bruce Springsteen, Bill e Melinda Gates piuttosto che l’archistar Frank Gehry, ne esce qualcosa di speciale. Davvero speciale.

FEDERICO BUFFA | Un'altra cosa fondamentale è la vita di Michael. Se dovesse scegliere lui la sua onorificenza preferita probabilmente non sarebbe legata al basket bensì...

FLAVIO TRANQUILLO | Bensì 2016 - Presidential Medal of Freedom, la più alta onorificenza che può essere data a un cittadino americano dal Presidente degli Stati Uniti. Incredibilmente ci sono a riceverla in quella tornata due giocatori di basket, uno è Kareem Abdul-Jabbar, l'altro è Michael Jordan. [...] Il signore che dava la medaglia, idealmente, Barack di nome e Obama di cognome, è cresciuto a Chicago e diciamo non vedeva in Kareem Abdul-Jabbar, ma vedeva in Michael Jordan un concetto incarnato, tant'è vero che ha detto: "C'è un motivo per cui le persone vengono chiamate il Michael Jordan di qualcosa. Il Michael Jordan dei rabbini - attimo di gelo - il Michael Jordan della canoa polinesiana, il Michael Jordan dei chirurghi". Cioè: se tu sei il migliore a fare qualcosa, sei il Michael Jordan. Se te lo dice il Presidente degli Stati Uniti, che però non l'ha sentito dire, lo ha vissuto sulla propria pelle nella Chicago dell'epoca, secondo me un po' d'impressione te la fa, anche se sei il Michael Jordan dei Michael Jordan.

FEDERICO BUFFA | "Medal of Freedom". Freedom è una parola che leggiamo ogni sera in cui stiamo assistendo alle partite, da quando giocano nella bolla. Ed è comprensibile che sia così. Però i Boston Celtics hanno anche altre parole sulla loro schiena: ce n'è una che ti viene in mente, e c'è una spiegazione?

FLAVIO TRANQUILLO | Sì, ce n'è una che mi viene in mente e sta scritta secondo me sulla maglia numero 7 che è quella di Jaylen Brown. Sulla maglia di Jaylen Brown non c'è scritto freedom, che significa libertà, c'è scritto liberation e liberation sulla maglia di un afroamericano che fa 30 punti in una delle partite che hanno preceduto i playoff e che - quando gli chiedono: "Com'è stato fare 30 punti?" dice: "Dei 30 punti non mi interessa, mi interessa però che l'inno degli Stati Uniti è un inno a sfondo razzista, perché le parole sono state composte da uno che aveva degli schiavi" - intende liberation in un senso che a qualche concittadino di Michael Jordan secondo me era piuttosto chiaro. 

L'ossessione

FEDERICO BUFFA | C'è una cosa che accomuna tutti i fuoriclasse di tutti gli sport: la componente ossessiva. A 10, 12, 15 anni si accorgono di essere finiti in un luogo che ha un motore diverso dagli altri, a livello di coordinazione, a livello di intuizione, ma da lì in poi è quell'ossessione, quel desiderio di vincere, che fa la differenza. Nel suo caso è anche troppo evidente.

FLAVIO TRANQUILLO | Nel suo caso è anche troppo evidente. Secondo me quando dici ossessione, pensi pallacanestro e parli di Michael Jordan non puoi non fare immediatamente un collegamento, e dico purtroppo, perché in circostanze diverse non lo faremmo, ma in queste circostanze, come fai a non pensare al 26 di gennaio? Come fai a non pensare a Calabasas?

Come fai a non pensare
a Kobe Bryant?

FLAVIO TRANQUILLO | Tutti e due hanno vissuto un'esperienza in cui hanno trovato — o se lo sono costruito, il confine è sempre molto tenue — qualcuno contro cui giocare. Qualcuno, come posso dire, che giustificasse quell'ossessione, che giustificasse le conseguenze personali, sociali, psicologiche, pratiche di quella ossessione. E questo è quasi magico, perché parliamo di due contesti diversi, di due epoche diverse. È veramente quasi magico.

Quella volta a Parigi...

FEDERICO BUFFA | Nel 1997 Michael Jordan è a Parigi per giocare una partita che è la sua consacrazione europea. Parigi generalmente è una città difficilina, però è praticamente ferma per lui ed è una cosa quasi irreale per quanto lui sia in grado di attrarre l'attenzione su se stesso e non avere nessun problema a gestire questa pressione — quasi che si alimenti con la pressione che riceve, anziché doverla allontanare da sé. Flavio ti ricordi immagino quel periodo.

FLAVIO TRANQUILLO | Per essere il 1997 è molto, molto significativo che, uno che viene letteralmente da un altro mondo, non possiamo dire blocchi, però impressioni Parigi. Parigi tende ad avere diciamo un concetto della propria noblesse piuttosto alto e quindi, prima di farti vedere che è impressionata da quello che fai tu, normalmente ce ne mette. In più, questo viene da un altro mondo e fa una cosa che non è normalmente quella che appassiona i Parigini, che rispetto ai pick and roll e alle doppie uscite prediligono altri argomenti di conversazione e svaghi. Eppure, camminando per Parigi in quei giorni, a me sembrava — è infantile, però ve lo dico per quello che è — mi sembrava di essere protagonista di un qualche cosa. Camminando per Londra alle Olimpiadi 2012, che sono di gran lunga l'evento sportivo che mi abbia più impressionato al mondo, non mi sentivo di essere protagonista. Londra diceva: "belle le Olimpiadi, ma questa è Londra, ricordatevelo sempre, e sarà Londra anche dopo le Olimpiadi". Michael Jordan invece...

FEDERICO BUFFA | ... Tiene in ostaggio...

FLAVIO TRANQUILLO | Ha tenuto in ostaggio una città. È come se avessero schiacciato pausa e per quei tre giorni era la Parigi anche — non dico solo perché sarebbe esagerato, ma anche — di Michael Jordan. Nel 1997 è fantascientifico.

L'inedito: "The Worm"

FEDERICO BUFFA | Io, personalmente, ho una passione per Dennis Rodman. Si parla tanto delle sue doti come rimbalzista, che sono incredibili. Ma la realtà è un'altra

Rodman è uno scienziato del gioco

In nove minuti il racconto inedito
di Federico Buffa e Flavio Tranquillo
sulla personalità più incredibile
dei Bulls di Michael Jordan e Phil Jackson


Courtesy of Alessandro Lonati per il Festival della Bellezza

Arena di Verona, 14 settembre 2020Fotografie di Leonardo Ferri e Fabio Benato

FLAVIO TRANQUILLO | In greco ci sono due Eros: uno con l'epsilon, che è quello del Festival e uno con l'eta, che è quello di Michael Jordan, che a seconda della gradazione è: un signore, un essere un po' superiore , un semidio.

Da lì viene eroe, che è a scelta: uno che da lassù è sceso e si è abbassato a venire sulla Terra, o più probabilmente nel caso di Michael Jordan, uno che dalla Terra tende verso lassù. Anche in senso letterale.

FEDERICO BUFFA | Quante maglie col numero 23 sono state ritirate, una?

FLAVIO TRANQUILLO | No, due.

FEDERICO BUFFA | No, i Washington Wizards non l'hanno ritirata. Chi è che ha ritirato la sua maglia senza averlo mai avuto?

FLAVIO TRANQUILLO | I Miami Heat: bastonati, ri-bastonati e stra-bastonati da Michael Jordan hanno ritirato la numero 23.

FLAVIO TRANQUILLO | Io non so tu, ma io di certo nel '97 e nel '98 tutto mi immaginavo, tranne che di vivere una cosa di cui avrei parlato 22 anni dopo. Figuriamoci all'Arena di Verona...

FEDERICO BUFFA | Fino ad allora ero solamente il telecronista del college basket. Mi ricordo quando entrammo nella cosiddetta speaker e Flavio mi disse:

"Scordati di fare quello che hai fatto durante le telecronache del college basket... E scordati di dire le cazzate che dicevi lì: qui è un'altra cosa".

FEDERICO BUFFA | Io ho risposto: "Guarda, ho detto una parola? No, no"....

The Game

14 giugno 1998, Salt Lake City. Gara-6
Utah Jazz vs. Chicago Bulls
Finali NBA

Nelle parole di chi, quella sera, nello Utah c'era.
E lo racconta così.

The Last Shot

FEDERICO BUFFA | Ma tu Fla' cosa stavi pensando mentre lui...?

FLAVIO TRANQUILLO | Non ne ho la più pallida idea.
Sono sicuro che non stavo pensando: tra 22 anni parleremo all'Arena di quello di cui sto pensando in questo momento...
A parte gli scherzi, no, onestamente non lo so. Però mi rendo conto risentendolo che: a) la consideravo, per l'ennesima volta, una partita normale; ma anche che b) ci era stata già trasmessa, in parte, la spina dorsale, la sinossi di "The Last Dance". Tutto tranne l'ultimo tiro.

Perché io in telecronaca ho detto:

"Può essere l'ultimo tiro"

Oggettivamente non era né molto razionale, né molto sensato. Mancavano ancora dieci secondi quando l'ho detto, sarebbero potuto succedere mille cose. Avrebbe potuto sbagliare, avrebbero potuto vincere gli Utah Jazz, sarebbe potuto tornare a giocare ai Chicago Bulls. Per un miliardo di motivi non sarebbe prudente dire: "Può essere l'ultimo tiro".

FEDERICO BUFFA | Per chi non l'avesse visto: isolamento al gomito sinistro per Michael Jordan e scelta di Jerry Sloan, allenatore degli Utah Jazz, di tenerlo uno contro uno contro Bryon Russell.

FLAVIO TRANQUILLO | Qui però mi devi far intervenire. Giusto: sottolineo la descrizione, la comprendo e la condivido. Isolamento al gomito. Jordan contro Bryon Russell, quindi tu cosa dici: ultimo possesso dei Bulls, non lascio Michael Jordan. Raddoppio. Giusto? Che è quello che chiasmicamente noi abbiamo detto mille volte dopo l'ultimo canestro nel '98. Io quasi tutta la sera dopo il canestro nel '98 l'ho passata a ragionare su questo. Sicuramente te lo ricordi, siamo andati in un ristorante, c'era Greg Foster, panchinaro degli Utah Jazz e gli abbiamo detto: "Ma Greg, dovevate raddoppiare!". E Greg Foster, che non aveva giocato un minuto, come tutti i giocatori che non vengono visti dall'allenatore ha detto: "Sì, il nostro allenatore è un incompetente. Dovevamo raddoppiare". Però: Greg Foster è giustificato, perché aveva dei motivi professionali di malanimo; io ero meno giustificato a dire "Bastava raddoppiare", perché mi ero scordato che in un'altra gara-6 di finale, solo un anno prima, Sloan raddoppia e così tira da solo Steve Kerr, e ce ne andiamo tutti a casa.

La realtà è un'altra. È come se quella sceneggiatura che continua a tornare l'avessero già scritta. Però non l'hanno scritta, lui è andato semplicemente seguendo il suo istinto.

In quel momento lì c'è una forza
anche superiore a Michael Jordan.

Su questo non transigo.

Federico Buffa & Flavio Tranquillo in "Michael Jordan - The Last Air Dance" di International Music and Arts per il Festival della Bellezza.

Federico Buffa & Flavio Tranquillo in "Michael Jordan - The Last Air Dance" di International Music and Arts per il Festival della Bellezza.