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Mondiali Basket, la preview di Spagna-Argentina: una finale a ritmo latino

Basket

Ennio Terrasi Borghesan

Domenica a Pechino le due realtà extra-USA più belle del terzo millennio si contenderanno l’oro mondiale. Il racconto delle semifinali da Pechino e cosa aspettarsi per la finalissima.

SPAGNA CAMPIONE DEL MONDO, ARGENTINA KO

LA FRANCIA RIMONTA E SI PRENDE IL BRONZO

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Per la prima volta nella storia della FIBA World Cup, a giocarsi la finale saranno due squadre di lingua e area latina. Le due nazionali che, al di fuori degli Stati Uniti, hanno vinto e emozionato più di tutte nel corso del terzo millennio. Spagna-Argentina per certi versi è il culmine di un lunghissimo ciclo: non è impossibile pensare, infatti, che per alcuni protagonisti la sfida di Pechino possa rappresentare l’ultima grande chance di vittoria.

Sarebbe però scorretto pensare alla Roja e all’Albiceleste come due squadre a fine ciclo. Le uniche due nazionali imbattute nella prima FIBA World Cup a 32 squadre, infatti, sono nel pieno di un rinnovamento tecnico e generazionale, e le loro imprese in terra cinese fungeranno da enorme propulsore per questo cambiamento stesso. Imprese di cui le semifinali di ieri nel teatro che fu delle Olimpiadi 2008 sono state l’ultimo, meraviglioso, capitolo. Fino alla palla a due di domani, almeno.

Il dominio mentale dell’Argentina sulla Francia

Col vento in poppa per la vittoria sulla Francia, e la prima semifinale a livello mondiale raggiunta dal 2006, l’Argentina è scesa in campo determinata ad aggredire la partita sin dal primo momento, imponendo il suo piano partita su quello di una Francia poco reattiva a entrare mentalmente nella gara.

Sin dall’inizio il grande protagonista del match è stato Luis Scola, con due canestri in contropiede quasi consecutivi che hanno infiammato il pubblico di Pechino. Dopo avere chiuso con 28 punti e 13 rimbalzi la sfida (con una doppia-doppia già sicura a fine primo tempo), il veterano albiceleste si è detto sicuro e poco sorpreso degli exploit raggiunti dalla sua squadra: «Mi aspettavo di potere raggiungere risultati di questo tipo», ha detto Scola in mixed zone. «Sapevo che eravamo una squadra in grado di produrre questo livello di pallacanestro».

«Posso paragonare questa finale a quella del 2002, anche perché questa squadra mi ricorda quella a inizio della nostra generazione, a fine anni Novanta. All’inizio la gente dubitava di questa mia affermazione, mentre oggi siamo in finale di un Mondiale». Nicolas Laprovittola, invece, non lesina lodi per l’ex NBA, MVP del match: «È un giocatore molto competitivo, che ci spinge a dare il nostro meglio in ogni momento».

L’Argentina vista contro la Francia andrebbe analizzata sotto due profili: quello del gioco e quello della durezza mentale. Se l’apporto a livello tecnico ha visto le solite ottime prove di Scola e Campazzo,  un apporto più che valido - e che va oltre i numeri - è arrivato da lunghi un po’ bistrattati come Delià o Galizzi, oltre all’esplosività di Gabriel Deck. Gli argentini hanno soprattutti esercitato un controllo pressoché totale nel corso dei 4o minuti sotto il punto di vista mentale: tale caratteristica della squadra sudamericana dovrà raggiungere un ulteriore livello di qualità in finale, viste le caratteristiche ruvide e defense-first della Spagna di Sergio Scariolo.

C’è un momento, una fase della partita, che più di tutti simboleggia il marchio a fuoco che l’Argentina ha impresso sulla semifinale contro la Francia: a cavallo tra terzo e ultimo quarto, quando le energie offensive stavano per calare, i giocatori hanno notevolmente alzato il livello d’attenzione anche nelle piccole cose, come ad esempio l’intensità dei blocchi portati in aiuto al portatore di palla o al tagliante in backdoor.

La maggiore concentrazione argentina ha poi permesso, ad esempio, di stappare una serie di rimbalzi offensivi rivelatisi fondamentali, anche se poi non sono arrivati direttamente punti da seconde opportunità: tutto questo, infatti, ha impedito che la Francia potesse trovare ritmo offensivo al di fuori dell’apporto di Frank Ntilikina. 

Adesso, invece, la mente è rivolta alla storica finale di domani, la terza per l’Argentina nella storia del mondiale di basket. «Siamo contenti, ma nessuno è soddisfatto. Su tutti i palloni siamo stati lottatori, dimostrando di essere una squadra di carattere», ha detto Laprovittola. «Non c’è nessuno come noi in questo torneo, dobbiamo continuare così».

Dopo aver parlato della presenza di Manu Ginobili a bordocampo, immortalata in un abbraccio iconico che ha fatto il giro del mondo («Manu è un mio amico, mi ha fatto molto piacere vederlo a bordocampo anche perché non ci vedevamo da tanto tempo»), Luis Scola si è poi espresso sul suo ruolo all’interno della squadra e su quanto si senta “chioccia” del gruppo: «Mi piace poter condividere tutto questo con un nuovo gruppo di giocatori, ma il discorso dell’età mi dà un po’ fastidio», ha detto. «Sono qui per giocare, per stare in campo, dove voglio mettere tutto quello che posso portare».

Per la Francia invece, bisogna fare i conti con la possibilità mancata di centrare la prima finale mondiale in oltre mezzo secolo, dopo la sconfitta con la Serbia di cinque anni fa, arrivata dopo l’eliminazione prestigiosa della Spagna padrona di casa ai quarti di finale. In una partita mai incalanata nei binari che avevano invece condotto alla storica affermazione su Team USA, Nicolas Batum e Rudy Gobert sono stati sinceri nel riconoscere l’onore delle armi alle avversarie.

«Non siamo mai stati in grado di rispondere alla loro aggressività in campo, hanno strameritato la vittoria», ha detto il giocatore degli Hornets, che poi si è espresso sull’ipotesi che l’Argentina possa aver giovato di un giorno extra di riposo (cosa che ha potuto vantare anche la Spagna sull’Australia): «Nonostante questo, abbiamo preso lo stesso volo per Pechino e fatto il viaggio insieme a loro. Non abbiamo perso per questo, ma piuttosto perché abbiamo sbagliato molti tiri liberi e tiri aperti. Loro erano più pronti di noi».

Per il centro dei Jazz, invece, l’analisi della sconfitta è più netta: «L’hanno voluta più di noi», ha detto. «È stato come prendere un metaforico ceffone. Ci hanno totalmente dominati, difendendo su ogni linea di passaggio e impedendoci di operare aggiustamenti per migliorare e crescere lungo la partita». Per la Francia ora è tempo di concentrarsi sulla finale per il bronzo, per eguagliare il risultato dello scorso Mondiale: «Dobbiamo riprenderci e non lasciarci buttare giù: abbiamo davanti a noi una partita importante che vale una medaglia».

La rimonta della Spagna sull’Australia

Anche la prima semifinale di ieri ha avuto un’impronta simile alla partita tra Argentina e Francia. L’esito, però, è stato completamente diverso. Indietro nel punteggio per larga parte dei minuti regolamentari, la Spagna è stata in grado di forzare due tempi supplementari, grazie soprattutto a una prova leggendaria di Marc Gasol (20 dei 33 punti finali del centro dei Raptors sono arrivati negli ultimi 16 minuti), e conquistare la seconda finale della loro storia, dopo quella del titolo 2006 a Saitama.

Nella rimonta iberica contro l'Australia - nuovamente beffata dopo la sconfitta nella finale per il bronzo alle Olimpiadi di Rio - si è vista tutta la forza mentale e solidità tecnica della squadra di Scariolo, capace di girare la partita difensivamente con una box-and-one mutuata dal coach bresciano dal set di giocate dei Toronto Raptors, l’altra sua casa nell’ultima stagione.

«Abbiamo vinto di squadra, credendo nel nostro piano partita anche quando le nostre solite cose non ci riuscivano», ha detto dopo la partita Ricky Rubio, sempre più leader e condottiero di questa versione della Roja. «Sono molto felice che il lavoro duro di queste settimane abbia pagato i suoi dividendi. Sappiamo di avere lavorato tanto per raggiungere questi risultati: nonostante il talento sia inferiore a quello degli scorsi anni, il cuore è quello di sempre».

Concetto dimostrato nella rimonta dell’ultimo quarto, dove una Spagna glaciale dalla lunetta è stata in grado di approfittare di qualche errore di troppo dell’Australia, che ha recriminato su alcuni fischi contestati nel finale di partita: all’uscita dal campo, Andrew Bogut si è lasciato andare ad un lungo sfogo in zona mista, lanciando improperi rivolti alla Cina (i cui tifosi lo fischiano in massa dal primo giorno a causa di alcune sue dichiarazioni sul controverso nuotatore Sun Yang), agli arbitri e alla FIBA.

Rubio è poi tornato su un concetto largamente espresso anche da Marc Gasol dopo le partite con Serbia e Polonia, quello della legacy di un gruppo che continua a superarsi manifestazione dopo manifestazione, riscrivendo la storia sportiva spagnola: «È un lavoro che dura da tanti anni. A volte non emerge così, come nell’ultimo mondiale con l’eliminazione ai quarti di finale, ma da lì abbiamo continuato a lottare a testa alta».

Anche Sergio Scariolo non esita a riconoscere i meriti del nuovo giocatore dei Phoenix Suns, protagonista sin qui di un Mondiale che potrebbe valergli l’inserimento nel primo quintetto della manifestazione: «Oggi lui è uno scorer migliore, cresciuto nei fondamentali» ha detto in sala stampa dopo la partita. «Senza i tanti giocatori assenti o ritirati, i nostri leader devono essere in grado di fare un passo in avanti. La capacità di scoring di Ricky è migliorata, anche perché riesce a essere funzionale a quelle che sono le necessità della squadra».

Da parte sua Rubio coglie invece l’occasione per elogiare la prova straordinaria di Marc Gasol, che domenica potrebbe diventare il secondo giocatore della storia dopo Lamar Odom a vincere il titolo NBA e l’oro Mondiale nello stesso anno, cementificando una volta di più il suo status di Hall of Famer in pectore: «Marc non mi ha sorpreso, conosco il suo livello» ha detto Rubio. «Non stava giocando un Mondiale con numeri eccezionali prima di stasera, ma in difesa ci ha sempre aiutato moltissimo con la sua leadership e le sue caratteristiche».

Diario da Pechino: l’impronta di Kobe

La giornata delle semifinali mondiali a Pechino è stata segnata anche dalla presenza in prima fila, alla Cadillac/Wukesong Arena di Kobe Bryant, uno dei tre testimonial - insieme a Yao Ming e Dirk Nowitzki - scelto nei mesi scorsi per promuovere e pubblicizzare il primo Mondiale a 32 squadre della storia.

Applauditissimo ogni qual volta che il maxischermo dell’impianto l’ha inquadrato al fianco di Manu Ginobili, Stephon Marbury e Chris Bosh, in un incontro con la stampa l’ex leggendario giocatore dei Lakers ha condiviso a lungo le sue impressioni sul Mondiale svoltosi sono ad oggi e sulle squadre partecipanti, soddisfacendo le curiosità dei giornalisti dei diversi paesi: «È stato un gran bel mondiale sinora, le squadre hanno giocato bene con una bella circolazione di palla e un gioco davvero interessante» ha esordito Bryant, poi interpellato da noi sul significato e sull’importanza che il ruolo di ambassador ha avuto e sta avendo nel post-ritiro.

«Per me è un grande onore avere la possibilità di essere un ambasciatore del mondiale e del gioco» ha detto. «Lo è anche a livello personale, avendo imparato a giocare a basket in Italia. I primi allenatori che ho avuto sono stati italiani, e a quei tempi il basket non era uno sport globale come lo è oggi. Per me quindi svolgere questo ruolo è come se fosse un cerchio che si chiude».

Oltre a considerazioni più o meno approfondite sul rendimento di alcune singole squadre, Bryant ha condiviso con i media il suo pensiero sul flop degli Stati Uniti, in campo oggi per l’ininfluente finale per il 7º posto contro la Polonia: «Penso che il basket a livello mondiale abbia raggiunto il livello degli Stati Uniti» ha detto. «Ad esempio, in paesi come Francia, Serbia, Argentina, Spagna si gioca molto bene: per il prossimo Dream Team non sarà affatto facile imporsi come nel passato, come a Barcellona nel 1992».

«Perfino noi del Redeem Team del 2008 abbiamo dovuto giocare un quarto periodo straordinario per avere la meglio di una grande squadra come la Spagna. Il resto del mondo in realtà ci ha raggiunto da tempo, siamo al punto dove gli Stati Uniti ne vinceranno alcune e ne perderanno alcune: il basket è a un ottimo livello ovunque. Non sarà facile in futuro».