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Keita & Inzaghi: i destini incrociati degli uomini derby

Serie A
Keita Balde e Simone Inzaghi, attaccante e allenatore della Lazio (Getty)

Il senegalese non rinnoverà il contratto ma decide il derby con 2 gol, talento ed esultanza polemica; mentre l'allenatore biancoceleste neanche doveva essere in panchina, Lotito aveva scelto Bielsa e "Simoncino" stava per fimare con la Salernitana. Due storie, due cammini che si intrecciano...

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Odi et amo. Così: perché se dovessimo riassumere la storia tra Keita e la Lazio prenderemmo spunto dal "carme" di Catullo. Breve ed efficace. Emblematico. Sgridato, poi perdonato. Incompreso, poi capito. Fuori rosa, poi reintegrato. Fino al derby di domenica deciso con una doppietta delle sue, talento e polemica (ps: visto l'esultanza? Sotto la tribuna di Tare e Lotito...). Col mercato sempre alla porta, pronto a bussare forte per chiamare quel '95 lì, che venne cacciato dal Barcellona per aver messo del giacchio nel letto di un compagno. Ora maturato e pronto al grande salto: Juve, Milan, l’estero (il Monaco ci aveva fatto un pensierino). Contratto in scadenza nel 2018, si scatenerà un'asta: tutti pazzi per Keita.

Protagonista in partenza

Diciamolo dai: il senegalese ti fa arrabbiare ma è impossibile farne a meno, vero Inzaghi? Tom&Jerry del pallone tra “screzi” e sorrisi. Protagonisti inattesi di una Lazio che corre veloce e non si ferma, che sale sempre più su. Vincendo il derby e puntando l’Europa, il quarto posto: “Pensiamo partita dopo partita”. Perché Inzaghi accompagna la corsa di Lulic ed esplode al gol di Keita, doppietta personale e13esimo gol in Serie A. Stagione da top player. E Inzaghi? Sorride, starring di stagione (anche) grazie a lui. Insomma, Keita Balde è così: è quell'alunno geniale che ne combina di tutti i colori e tu lo sgridi, lo rimproveri. Urli. Perdi un’ora del tuo tempo a spiegargli che così non si deve fare, che forse applicandosi di più potrebbe fare meglio; ma che alla fine, si sa, prendi sottobraccio a fine lezione, come ha fatto Inzaghi. Sorridendo. Una contraddizione chiamata Keita, che adesso dovrà decidere se restare o andare via. Dubbio amletico nel romanzo della Lazio. Sempre più coinvolgente.

Inzaghi e la Lazio, destini incrociati

Guardarli insieme ha dell'incredibile. Dell'inaspettato. Perché ad agosto, dopo la “fuga” di Keita prima dell’amichevole col Cardiff e le stilettate via comunicato, nessuno l’avrebbe immaginato. Senza dimenticare l’Atalanta, il “finto” infortunio e il volto di Inzaghi in sala stampa: “Sono basito dal suo comportamento”. Ora qualcosa è cambiato. Che non è il film con Jack Nicholson o una sceneggiatura nuova, soltanto la realtà. Prendiamo Inzaghi ad esempio, uno che al derby neanche ci doveva essere. Lotito aveva scelto Bielsa, “Simoncino” era in ciabatte a Milano Marittima in attesa di firmare con la Salernitana; risultato? El Loco non arriva neanche a Fiumicino e Inzaghi firma per un anno. Scetticismo, critiche, una conferenza stampa di (ri)presentazione in cui è felice soltanto lui. Ad Auronzo, poi, c’è chi disdice le prenotazioni delle camere: “Tanto dura 5 gare, poi va via…”. Profeti fallimentari.

Così Inzaghi si è preso la Lazio

Inzaghino ha conquistato la piazza col lavoro, l’umiltà e il sorriso. Quei modi gentili che l’hanno sempre contraddistinto fin da calciatore, quand'era soprannominato “Ciabattone” e conosceva a memoria le formazioni degli avversari. Già informatissimo. Come Pippo, fratellone di una vita fresco di promozione col Venezia. Rapporto splendido tra i due: “Quando finisce le partite riceve sempre sempre due chiamate, una del padre e l’altra di Filippo”. Questi i racconti di chi lo conosce bene. Pragmatico, ma sanguigno. Scaramantico fino al midollo: ai tempi della Primavera biancoceleste, tra successi e giovani lanciati, beveva sempre una bottiglia di vino col suo staff prima di ogni gara. "Una tradizione!". E oggi quelle persone sono accanto a lui in prima squadra: Fabio Ripert (preparatore atletico), Ferruccio Cerasaro (match analyst) e Massimiliano Farris (vice-allenatore). Non si sente un filosofo, ha la testa sulle spalle, non ha paura di lanciare i "suoi ragazzi" avuti nelle giovanili (Lombardi, Crecco, Murgia, Strakosha). E se gli dicessero che è un "predestinato" probabilmente non sarebbe d'accordo: "Senza il mio gruppo non sarei qui", risponderebbe. Umile. Era in ciabatte a Milano Marittima, Inzaghi. Ora vince il suo secondo derby stagionale ed è finale di Coppa Italia. Sì, qualcosa è cambiato.