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NBA Finals 2017, i temi tattici di Cavaliers-Warriors

NBA

Stefano Salerno

Miglior attacco contro la miglior difesa; isolamenti contro condivisione del pallone; pick&roll contro blocchi sul lato debole, penetrazioni al ferro contro tagli back-door: semplicemente Cleveland contro Golden State, una sfida piena di sfaccettature

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Passare attraverso i dati per provare a raccontare la sfida tra Cleveland e Golden State è impresa ardua, oltre che inevitabilmente parziale, visto l’enorme numero di spunti offerti da un incrocio del genere. Ricorrere in maniera ossessiva al termine “migliore” sembra quindi essere l’unica chance linguistica che una sfida di così alto livello ci concede nel tentativo di sviscerare alcuni dei temi principali. L’occhio cade sulle cifre e a guardare punti realizzati e concessi vengono già le vertigini: il miglior attacco (Cleveland) contro la miglior difesa (Golden State). Il dato raccolto dai campioni NBA nelle 13 partite disputate da metà aprile in poi è impressionante: 120.7 di rating offensivo; roboante tanto quanto il 99.1 concesso da Draymond Green e compagni nei 12 match in cui finora hanno inanellato solo successi. Un’analisi certamente parziale, visto che i Cavaliers sono anche terzi in quanto a protezione del proprio ferro in questa post-season, mentre gli Warriors si fermano a un passo soltanto dai campioni NBA per produzione di punti su 100 possessi. Il risultato? Nessuno può neanche lontanamente avvicinare il Net Rating raccolto in questi playoff dalle due migliori squadre della lega (+16.8 Golden State, +16.1 Cleveland), quelle che per il terzo anno consecutivo anno meritato l'opportunità di battagliare sul palcoscenico più importante. Dati ed efficacia simili, mesis assieme però attraverso esecuzioni e idee tattiche profondamente diverse.

La caratteristica comune: il tiro da tre punti

Una delle scelte fatte dai campioni NBA in carica è quella di “sfruttare la matematica” a proprio favore, nell’equazione che compare sempre più di frequente sulle calcolatrici delle franchigie in giro per la lega. L’assunto è semplice: segnare dalla lunga distanza garantisce un punto in più rispetto ai tiri mandati a bersaglio da dentro l’arco. Gli Warriors sembravano averlo capito prima e meglio di tutti, ma in verità in questa stagione sono i Cavaliers, dopo i Rockets, a essere la squadra che prende il maggior volume di tiri da tre punti (il 41.9% sul totale), ben al di sopra anche della percentuale di conclusioni da quella distanza dei ragazzi di Oakland (il 36.4%). Non tentativi casuali, ma massimizzazione di una batteria di tiratori invidiabile, diventata letale in questi playoff in cui tutto il roster della squadra dell’Ohio sta mettendo a referto cifre da capogiro: Channing Frye viaggia con il 52.6%; Deron Williams al 50%; Kevin Love al 47.5%; Iman Shumpert al 47.1%; J.R. Smith al 44.9%; LeBron James al 42.1%; Kyle Korver al 41.5%; Richard Jefferson al 40%. Numeri impossibili da fronteggiare per qualsiasi difesa, a maggior ragione se si considera che l’unico al di sotto del par è Kyrie Irving; un giocatore contro il quale Golden State non ha di certo l’intenzione di scommettere. Merito della capacità di “riempire gli angoli”, di riuscire a essere complementari in un sistema in cui è forte il rischio di diventare monotoni e soprattutto della capacità di ruotare attorno a LeBron James, ideale (e non solo) fulcro di gioco in casa Cavaliers.

Cleveland, penetrazioni e isolamenti

Già, perché a fare la differenza (più di tutto il resto) è la genesi del vantaggio offensivo adottata dalle due squadre. La costruzione dell’attacco di Cleveland infatti, passa prima di tutto dal centro di gravità permanente rappresentato da LeBron, catalizzatore di attenzioni e miss match potenziale in ogni tipo di situazione di gioco. Il coaching staff degli Warriors starà già da tempo immaginando quale uomo dedicare in marcatura al numero 23 (in pole ovviamente c’è l’ormai solito Iguodala), potendo contare in questa stagione all’occorrenza anche di Kevin Durant, fattore decisivo non solo e non tanto in attacco, ma anche a protezione del ferro: quando tiri contro di lui in questi playoff infatti, vedi mediamente peggiorare le tue percentuali del 7.2% rispetto alla media con cui abitualmente realizzeresti quelle conclusioni. Indicativo in particolare il dato in marcatura su giocatori a meno di due metri dal ferro: in quel caso, conclusioni che verrebbero realizzate con il 61.7%, vengono in realtà convertite con il 48.7%. Un problema in più da affrontare per i Cavaliers che proveranno spesso e volentieri ad arrivare fino in fondo in penetrazione. Le 27.7 tentate dai campioni NBA infatti, sono di gran lunga superiori alle 19.8 degli Warriors – ultimi tra tutte le squadre ai playoff. Aspetto che garantisce la riapertura sul perimetro per foraggiare il tiro dall’arco, ma che allo stesso tempo vede i Cavaliers andare a segno nel 77.2% dei casi (gli assist arrivano solo nel 5%, ultimi tra le 16 squadre che hanno partecipato ai playoff). Tiro da tre o penetrazioni dunque - neanche Daryl Morey avesse preso di nascosto il posto di David Griffin in Ohio -, spesso frutto di isolamenti, la vera arma dell’attacco di Cleveland. I Cavs infatti ne abusano, ma con cognizione di causa. Il 15.2% di situazioni di gioco sfruttate in isolamento sono un dato enorme, soprattutto se paragonato al 6.4% messo a referto da Golden State, ma ampliamente giustificato dalla redditività di queste giocate: i 116 punti su 100 possessi portati a casa sono ben al di sopra di quanto lucrato dagli Warriors che si fermano “solo” a 94 punti (dato in linea con la media NBA). Per intenderci: Cleveland in isolamento è con margine il miglior attacco NBA. Perché mai coach Lue dovrebbe decidere di cambiare lo spartito nella metà campo avversaria?

Golden State, passaggi e tocchi in post

Come contraltare invece in casa Warriors a farla da padrone sono il ritmo e soprattutto la capacità di muovere il pallone, come dimostra oltre alla prova visiva anche il numero di tocchi: 423 in media quelli di Golden State (secondi di un soffio alle spalle dei Celtics), 383 per Cleveland. Una distanza siderale, sottolineata ancora meglio dal numero di palloni che transitano in post nello sviluppo dell’attacco degli Warriors: ben 20.1 a partita, quasi il doppio degli 11.5 portati fin lì da James e compagni. Ma come, la squadra dello small ball e del “giocare piccoli a tutti i costi”, è quella che transita più spesso dalla confort zone dei lunghi e del gioco spalle a canestro? Sì, proprio perché quella è una tappa necessaria all’interno dell’attacco. Non il traguardo, ma parte del percorso. Da lì infatti nessuno generà così tanti assist diretti (11.2% dei casi), né così tanti punti (18.1). A questo poi si aggiunge un’anomalia tutta Warriors, dettata dal giocare pochi pick&roll in cui vengono coinvolti il palleggiatore e/o il rollante come diretti protagonisti dell’azione. Anche il blocco in quel caso diventa un mezzo e non il fine dell’attacco, visto che soltanto nel 12.8% dei casi si chiude con una conclusione dell’uomo in possesso di palla (ultimi in NBA, così come per il 3.9% di casi in cui viene coinvolto il lungo in fase di finalizzazione).

L'ago della bilancia: blocchi e tagli lontano dalla palla

L’ossessione infatti è quella di giocare dei blocchi lontano dal pallone, l’arma letale che aveva letteralmente tagliato a fette la difesa dei Cavaliers nei primi quattro episodi della serie della scorsa stagione. E il verbo tagliare torna utile anche nel descrivere il movimento continuo fatto senza palla dai ragazzi di Steve Kerr: l’11.3% dei possessi Warriors si conclude così, generando 1.31 punti ogni volta che accade. Una miniera d’oro, così come quel 10.4% di attacco che arriva off-screen, sfruttando gli oltre 14 blocchi a partita portati sul lato debole, record tra tutte le squadre le lega. Quella potrebbe riverlarsi una delle situazioni di gioco più delicate per la disattenta difesa di Cleveland, costretta a fare i conti con la guardia che ha portato il maggior numero di blocchi in regular season; quello Steph Curry (di gran lunga il più utilizzato in questo ruolo, visto che a fronte dei suoi 108 blocchi, Dellavedova secondo si ferma a quota 65), che sfruttando questa opzione può cogliere di sorpresa gli avversari liberando un compagno e allo stesso tempo potendo in alternativa uscire libero sull’arco dopo un eventuale lavoro di screen the screener: Chi di blocchi ferisce però, di blocchi perisce, visto che il ritornello più ricorrente nella sinfonia che suonerà l’attacco dei Cavs sarà quello di coinvolgere il numero 30 nel maggior numero di pick&roll, in una tanto antica quanto efficace versione offensiva in cui leggere ciò che la difesa di Golden State deciderà di concedere quando Curry si ritroverà coinvolto nella propria metà campo. Anche in quel caso cambiare, passare dietro o raddoppiare servirà a poco per limitare l'impatto di un attacco da 63.4% di True Shooting. Ci fosse coach Popovich risponderebbe che l'unica soluzione è pregare, ma come hanno dimostrato tutte le squadre finite sulla loro strada fino a oggi, neanche quell'ipotesi sembra funzionare.