La conquista della NBA Cup rappresenta il primo trofeo di squadra sollevato in carriera da Damian Lillard, che fino a questo momento aveva solo ricevuto riconoscimenti individuali come il Rookie dell’Anno o l’inclusione tra i 75 più grandi di sempre. I suoi 23 punti in finale hanno aiutato i Bucks a vincere e la sua chimica con Giannis Antetokounmpo ora sempre funzionare: "Avevamo solo bisogno di tempo"
Nei suoi primi dodici anni di carriera non si può certo dire che Damian Lillard non abbia avuto successo: tra convocazioni all’All-Star Game (otto), inclusioni nei quintetti ideali della lega (sette), il premio di Rookie dell’Anno nel 2013 e l’MVP della partita delle stelle nel 2024, il suo palmares è già ricchissimo, tanto da essere incluso tra i 75 migliori nella storia della lega. Quello che gli mancava è però un trofeo di squadra, visto che coi Portland Trail Blazers è arrivato al massimo alle finali di conference nel 2019 e lo scorso anno coi Bucks si è fermato al primo turno dei playoff. Per questo la vittoria della NBA Cup ha un sapore speciale, come ha ammesso lui stesso dopo la finale vinta contro i Thunder: "Ho avuto molte esperienze individuali di riconoscimenti e cose del genere, ma vincere di squadra ed essere gli ultimi a rimanere in piedi è una sensazione fantastica" ha detto al termine di una prestazione da 23 punti con 5 triple a segno, quanto tutti i Thunder messi assieme (ma su 32 tentativi).
La chimica con Giannis: "Avevamo solo bisogno di tempo"
Nel corso della conferenza stampa Lillard ha anche parlato di come sia cambiata la squadra rispetto al pessimo inizio di stagione. "Non butterei completamente via le sconfitte che abbiamo avuto perché è importante non dare niente per scontato, ma anche all’inizio ci sono state quattro o cinque partite che avremmo dovuto vincere. Abbiamo dimostrato che la squadra che ha cominciato la stagione non è la squadra che siamo adesso, che non eravamo veramente noi. Semplicemente è iniziata male". Il suo rapporto e la sua chimica con Giannis Antetokounmpo, in particolare, sembra migliorare giorno dopo giorno: "Tutti pensavano che sarebbe stato tutto perfetto fin da subito perché siamo entrambi due grandi giocatori, ma c’era bisogno di tempo. Io arrivavo da una situazione in cui avevo sempre il pallone in mano, e lui aveva giocato per 10 anni con il pallone in mano e in una certa maniera. Avevamo bisogno di tempo per conoscerci dentro e fuori dal campo, di parlarci e di confrontarci, di provare in campo situazioni in cui possiamo mettere in crisi le difese avversarie. Con Vin Baker lo facciamo prima e dopo ogni allenamento, ma ci parliamo anche tanto via messaggi". Una cosa è certa: ora i Bucks hanno dimostrato di potersela giocare, e l’obiettivo non può che essere quello di alzare il Larry O’Brien Trophy a fine anno.