Super Bowl 2020, gli allenatori: le storie di Andy Reid e Kyle Shanahan
Sport USA ©GettyDue generazioni a confronto per 2 menti decisamente offensive. Offensive coordinator entrambi prima di avere in mano la responsabilità totale. A seguire la storia dei 2 head coach San Francisco 49ers-Kansas City Chiefs dovrebbe essere una partita decisamente spettacolare
Due allenatori stimatissimi molto prima che persino cominciasse il percorso che quest’anno li ha portati a Miami. Due tecnici che hanno saputo farsi amare professionalmente e umanamente da tutta America anche se è convinzione generale dei media locali che i tifosi “neutrali” in tutto il Paese parteggino per Reid. Entrambi arrivano a questo straordinario appuntamento avendo, a livelli diversi, già giocato e perso un Super Bowl. Reid da capo allenatore dei Philadelphia Eagles, Shanahan da offensive coordinator degli Atlanta Falcons. Vittime entrambi, neanche a dirlo, della straordinaria epopea trionfale dei Patriots.
Andy Reid & il record non voluto
Curiosamente il più giovane, Shanahan, è quello che all’occorrenza sa rischiare di meno, che è più metodico, mentre il 61enne Reid inventa, sfrutta i giochi a sorpresa e lascia grande libertà di iniziativa al suo QB di cambiare la chiamata sulla linea di scrimmage. Il coach dei Chiefs torna al Super Bowl dopo 15 anni e col record (non necessariamente invidiabile) di essere l’allenatore con più vittorie in carriera 221 senza aver vinto l’anello: “Felice di essere qui, ma a questo tipo di statistiche non guardo. Sono passati 15 anni da quella notte a Jacksonville e questo vuol dire che so cosa aspettarmi dall’evento, credo di sapere come gestire meglio alcune situazioni extra campo e soprattutto vuol dire che sono più vecchio”. Molto amato dai suoi giocatori tanto che i Chiefs hanno deciso di scendere dall’aereo a Miami per questo SB tutti vestendo una camicia hawaiana, in fondo appropriata anche per la Florida, tipica dello stile fuori dal campo di Reid.
Bye bye sfortuna
Quando guiderà in campo all’ Hard Rock Stadium i suoi diventerà il settimo allenatore della storia a guidare squadre diverse al Super Bowl, ma vuole lasciare a Dan Reeves e John Fox il poco piacevole sapore di non aver mai sollevato il trofeo “San Francisco ha una grande squadra e non sono qua per caso. Tutti sottolineano il gioco di corsa, ma Garoppolo è uno straordinario QB anche sui passaggi. E’ verissimo che hanno anche un’ottima linea difensiva, ma quello che la nostra linea offensiva ha dimostrato in queste ultime settimane ci lascia molto tranquilli”. Reid in carriera non solo ha vinto più di 200 partite, ma anche il coach col record migliore dopo un bye (23 vinte e solo 4 perse), ossia quando come in questo caso ha una settimana in più per preparare la partita.
Se lui è una delle storie di questo Super Bowl ovviamente è anche per motivi umani. Nell’estate del 2012 Andy Reid, uomo anche profondamente religioso, ha perso Garrett, uno dei suoi 5 figli, morto nel campus della sua università per overdose di eroina dopo anni di tentativi di riabilitazione e di dentro e fuori dalle patrie galere per furti di vario genere. Un dolore fortissimo che si è trascinato con dignità per anni. Domenica però Reid potrebbe condividere la vittoria del Super Bowl con un altro dei suoi figli, Brett, che è uno dei suoi assistenti perché guida la linea dei linebackers.
Kyle Shanahan, nel nome del padre
Una storia familiare forte, ma senza per fortuna risvolti drammatici anche quella del suo avversario. Kyle Shanahan ha iniziato ad amare i colori rosso-oro e apprezzare la storia dei 49ers quando suo padre era l’offensive coordinator della squadra e lui andava al college di Sarasota in California. Un’unione fantastica quella col papà con cui è cresciuto in simbiosi, da cui ha ereditato la passione per allenare e la mentalità offensiva. Anzi con Reid sono due generazioni a confronto anagraficamente, ma come idee di football molto più ravvicinate perché Kyle ha ripreso tantissimo del playbook di suo padre due volte vincitore di un anello alla guida dei Denver Broncos con John Elway come QB.
Il mentore Belichick
Dei tanti consigli del genitore, uno torna sempre prima degli altri “Per avere un buon attacco bisogna studiare ogni movimento e reazione della difesa avversaria” ed è quello che Kyle nella settimana prima di arrivare a Miami ha fatto nel suo ufficio a Santa Clara in maniera quasi ossessiva con i suoi assistenti. Avere un padre allenatore è un vantaggio, avere quasi un secondo mentore nell’head coach più vincente di sempre una benedizione: “A parte papà, ho la fortuna di avere da anni un ottimo rapporto con Coach Belichick. Ho passato un po’ di tempo con lui nel Combine dell’NFL 2007 e in quel momento ho cercato di parlare pochissimo e ascoltare tanto”.
“Non sono un guru”
Tutto questo ha fatto di lui uno considerato un predestinato, uno che tutti hanno definito un guru della panchina anche quando era solo offensive coordinator dei Texans, dei Browns, dei Redskins e quindi dei Falcons “Io in realtà non mi considero affatto un guru, ma semplicemente un allenatore che lavora sodo con la convinzione che senza un buon gruppo di assistenti e di giocatori di talento non si va da nessuna parte. Un’altra delle cose che ho imparato dall’esperienza di mio padre e dalle parole di coach Belichick. Lui poi è stato molto carino a chiamarmi il giorno dopo il Super Bowl 51 dopo che ai miei Falcons aveva recuperato 25 punti cosa che per noi fu un’amarezza incredibile, ma soprattutto è stato motivo per me di grande orgoglio quando ha detto di aver accettato la trade per Garoppolo, tra le varie squadre pretendenti, con i 49ers perché era nel miglior interesse del ragazzo perché avrebbe lavorato con me. Il miglior complimento credo che io abbia mai ricevuto”.
Jimmy to Kyle
Il destino per altro aveva già creato un legame inatteso e decisamente curioso tra il giovane Kyle ed il bel Jimmy. Probabilmente una delle storie più incredibili di questo SB. Come fanno tutti College per i prospetti migliori, Eastern Illinois aveva organizzato un workout per mettere in mostra agli scout di tutte le franchigie NFL le qualità di Garoppolo. Il problema è che quel giorno erano a corto di ricevitori ed allora chiesero la cortesia a Shanahan, che era il più giovane e atletico di quel gruppo di scout, se si fosse prestato come ricevitore: “Non avevo i guanti chiaramente – ha raccontato in questi giorni il coach di San Francisco – e ho finito con le mani viola e anche la sensazione di non averlo troppo aiutato a far bella figura”. Adesso però dalla panchina lo ha portato al Super Bowl