E' stato il settimo presidente della Ferrari e succeduto a Montezemolo che durante la sua gestione (23 anni) aveva vinto 14 titoli tra piloti e costruttori, ha risollevato le sorti di un team che adesso punta sul talento soprattutto italiano. Gli è mancata solo una cosa: diventare campione del mondo
Il 13 ottobre del 2014, Segio Marchionne, diventa il settimo presidente della Ferrari, succedendo, dopo anche burrascosi botta e risposta, in occasione del gran premio d'Italia, a Montezemolo. Un'eredità pesante, considerando, i 14 titoli, tra piloti e costruttori, conquistati in 23 anni, dal suo predecessore. Una sfida titanica per far risorgere la scuderia crollata nelle prestazioni, 0 vittorie quell'anno, ma non nelle ambizioni, di tornare, quanto prima, ad essere protagonista.
Una salita verticale che di certo non poteva spaventare chi, con le sue idee e iniziative, spesso attaccate, ma efficaci, ha rimesso in piedi un gruppo che era finito nel baratro. Sconosciuto al mondo dello sport, ma appassionato tifoso di calcio e motori, ha subito imposto il suo stile e le sue scelte. "Non ci interessa cercare fenomeni al di fuori e all’estero, vogliamo far crescere i nostri talenti nascosti e non valorizzati fino a oggi". Una delle frasi, tra le sue prime parole da presidente. Tutti a cercare Adrian Newey o possibili colpi di mercato tra i tecnici in grado di far rialzare la rossa, e invece lui, con Maurizio Arrivabene, sua prima scelta della rivoluzione, ha firmato la crescita di Mattia Binotto e il passaggio di personale dalle aree GT o produzione alla GES, la gestione sportiva della Ferrari. In molti hanno criticato queste mosse, in tanti hanno sottolineato che senza gli inglesi al comando, in F1, non si vince e invece l'imposizione del talento made in Italy e la gratificazione delle risorse interne, ha pagato e paga.
Un personaggio temuto ma quanto mai alla mano negli incontri annuali con la stampa e in quelle chiacchierate da retro box che ci concedeva in pista. Abbiamo così scoperto un personaggio pronto alla battuta, un duro, ma giusto con chi gli ripaga la fiducia e un appassionato e innamorato dello sport e delle corse. Spettatore sempre, anche dall'ufficio o da casa, di tutto quanto succedeva nei week end di gara. Attento a tutto, anche troppo, nel voler sapere tutto fino all’ultimo bullone di macchine e prestazioni, trasferendo grande pressione a un team che di quella pressione si è fatto forte per cercare la rinascita contro la Mercedes.
"Vettel è focoso come un meridionale", ci ha detto all'ultima cena di Natale, parlando dell'episodio di Baku, tra il suo pilota e Hamilton, evidenziando anche in quella occasione, tra battute e sorrisi, il lato umano e accattivante di uno degli industriali più potenti della terra, capace di mantenere il suo abbigliamento casual anche quando si è seduto alla sinistra del presidente degli Stati Uniti. La cravatta l'ha indossata come promessa nel giorno in cui il debito FCA è stato risanato. Come se non bastasse si è caricato sulle spalle altre due missioni, apparentemente impossibili, riportare Alfa Romeo in Formula 1, missione compiuta e riscoprire il talento dei nostri piloti italiani, puntando su Giovinazzi, missione in corso.
Attivo e presente nei consigli mondiali della F1, per nulla timoroso nel minacciare l'uscita di Ferrari a fronte delle proposte, poco gradite, della nuova proprietà americana. Apprezzato, temuto e stimato da tutti gli avversari, assediato da tutti i giornalisti e disponibile a ogni suo ingresso nel paddock. Sempre a pretendere il massimo da se stesso e di conseguenza dai suoi collaboratori, sempre a metterci la faccia nelle vittorie e nelle sconfitte, a tuonare tra le stanze di Maranello a esultare con i suoi uomini nei successi che per il percorso, da lui imposto, stanno arrivando. Non abbiamo avuto il tempo per consacrarlo come presidente campione del mondo, ma la sua energia continuerà a spingere ancor di più un gruppo creato a sua immagine e somiglianza, dedito a una missione: VINCERE!