Quando in Inghilterra lo sport è Reale

Il cavallo è nel dna dei Reali, soprattutto di quelli britannici. Parate, carrozze, cavalcate di caccia, anche se ormai è un’attività da nascondere, di cui vergognarsi, all’insegna del politicamente corretto, scampagnate… Ma anche e soprattutto ippica ed equitazione. Il galoppo è stato la grande passione di Elisabetta II, la sua scuderia, giubba viola con alamari dorati, maniche rosse e cap nero, già del padre Giorgio VII e del bisnonno Edoardo VII, ha calcato le piste del galoppo in giro per il mondo, senza mai riuscire tuttavia a vincere la corsa più ambita, il derby di Epsom, il derby di casa. Elisabetta ha montato cavalli da ragazza, poi nelle cerimonie. Sempre presente e immortalata dalle dirette al Royal Ascot, la settimana per eccellenza del galoppo. Sua figlia Anna invece è stata una atleta olimpica, ha partecipato alle Olimpiadi di Montreal nel 1976, naturalmente nell’equitazione. È da più di quarant’annni presidente del Comitato Olimpico britannico, il CONI inglese per capirci, e, soprattutto, è membro del CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, l’organizzatore delle Olimpiadi sempre per essere sintetici. È stata campionessa europea nel 1971, individuale, ovviamente equitazione, ma meglio di lei ha fatto sua figlia Zara Phillips, 21esima nella linea di successione dinastica, argento a Londra 2012 con la squadra britannica nel concorso completo, in sella ad High Kingdom, c’è tutto nel nome, traduzione letterale “Alto Regno”. Zara, un po’ ribelle, con un giovanile piercing sulla lingua, si è messa in casa uno sportivone, visto che si è sposata, nel 2011, con l’ex capitano della nazionale inglese di rugby a XV, quello del Sei Nazioni, sempre per essere chiari, Mike Tindall, campione del mondo nel 2003 nella Rugby World Cup vinta sull’Australia a Sydney col famoso drop di Jonny Wilkinson nei tempi supplementari. A proposito di rugby: la principessa Anna, figlia di Elisabetta II, è anche la madrina del rugby scozzese, presidente onorario della federazione. Quando è presente a Murrayfield, il campo casalingo a Edimburgo, si srotola il tappeto ufficiale previsto dal protocollo per la sua “rivista”. Anna, con regolare kilt nel suo tartan, accompagnata dal chairman della squadra avversaria e dai capitani delle 2 squadre incontra i giocatori, scambiando qualche parola con loro, in attesa di “Flower of Scotland”, inno profondamente anti-inglese, che rievoca la battaglia di Bannockburn del 1314, cantata dalla fine degli anni sessanta in modo clandestino, e oggi ufficialmente. William futuro re, e suo padre Carlo, attuale re, prima di lui, si sono presi cura del Galles, parlando di palla ovale. Il reietto Harry è stato l’uomo reale della red rose, cioè dell’Inghilterra, anche negli sfortunati mondiali casalinghi del 2015, con ruolo potenziato da prim’attore lettore del discorso di apertura della Rugby World Cup a Twickenham. Uno scacchiere completo, con sangue blue sparso fra le varie squadre di rugby. A Wimbledon si aggira ormai la Principessa Kate, “patronessa” del club dove Elisabetta II si è presentata 4 volte, nel 1957, premiando tra l’altro l’americana di colore Althea Gibson, nel 1962, anno di uno dei successi di Rod Laver, nel 1977, edizione con l’inglese Virginia Wade vincitrice, e quindi nel 2010, Nadal e Serena Williams. Ha mancato il successo inglese di Fred Perry, che non è solo un marchio di magliette, nel 1936 perché aveva soltanto 10 anni. Da bambina, da quando aveva 6 anni, ha sempre cavalcato, a cominciare dal pony Peggy regalatole dal nonno Re Giorgio V. Appunto, cavalli e reali, di tutti i tipi, da sempre…

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