Ora o mai più: per i Miami Dolphins è l'ultima occasione

È uscito ‘Seventeen and Oh!’, il 5° libro sul trionfo dei Miami Dolphins del 1972, che vinsero da imbattuti in tutta la stagione il Super Bowl numero 7. Ancora un prodotto editoriale su quella stagione e quel gruppo di giocatori. Csonka, Buoniconti, Fernandez, Griese, Warfield, Little, Kiick e Shula restano delle leggende, quel risultato mai pareggiato nella storia della NFL, ma i Dolphins rimangono ancorati lì. Un successo di quasi cinquant’anni fa per una franchigia che nonostante Dan Marino , i tanti soldi investiti dall’attuale proprietà di Stephen Ross e la passione del pubblico, è arrivata a giocare un solo altro Super Bowl, perso nel 1983, poi nulla. Una fan base appassionata, ma stanca di dover sempre tornare agli anni 70. Stagioni di speranze diventate illusioni, di 27 quartebacks partiti titolari, ma con nessuno che è mai davvero riuscito a sostituire Dan Marino. Le ‘bufale’ peggiori Jay Fiedler, Chad Henne e Ryan Tannehill che hanno sprecato ricevitori fantastici come Chris Chambers, Brendon Marshall, Jarvis Landry e DeVante Parker. Straordinari difensori come Jason Taylor e Zach Thomas che sono entrati nella Hall of Fame, ma senza coronare il sogno dell’anello. Nel nuovo millennio, a parte il 2007, una sola vittoria, mai anni mediocri, ma neanche stagioni da evidenziare. Nella primavera del 2022 la decisione della proprietà è stata di provarci seriamente con investimenti e scelte mirate. Si cambia tutto. Innanzitutto, come Head Coach, seguendo il trend dei capo allenatori giovani, è stato scelto Mike McDaniel, poi il pesante contratto dato al ricevitore Tyreek Hill e fiducia al giovane QB Tua Tagovailoa, origini hawaiane, forgiato in una delle Università più vincenti nella storia del Football Alabama, seguendo anche qui la moda di quarterbacks giovani e mobili. Ma finora non ha funzionato. Tre volte secondi nella Division, due apparizioni ai playoffs con due immediate sconfitte alla Wild Card, rispettivamente contro Buffalo e Kansas City. Certo, sconfitte contro due squadre fantastiche, ma senza mai avere davvero la sensazione di poter competere con loro. Troppi infortuni a Tua, troppi errori di McDaniel, troppe parole di Hill accolte lo scorso anno malissimo dallo spogliatoio. I Dolphins quest’anno ci riprovano, ma questa volta circondati da meno ottimismo. Nelle previsioni dei Media nazionali sono da 3° posto nella Division dopo Bills e Jets, il numero di abbonamenti per la stagione non è cresciuto e le presenze dei tifosi agli allenamenti aperti del training camp sono diminuite. Di Dolphins in tv si parla meno anche a livello locale perché i Panthers di hockey hanno appena vinto la seconda Stanley Cup consecutiva e perché i Marlins di baseball sono una squadra divertente che sta stupendo tutti anche lontano dalla Florida. I Dolphins nel cuore sportivo degli appassionati di Miami saranno sempre al primo posto, ma adesso devono dimostrare qualcosa. La stagione è questa e senza appello. A parte forse il rischio di dare ancora fiducia a McDaniel, la proprietà il suo lo ha fatto ampiamente, tutti gli altri non ancora. Proprio il capo allenatore per primo deve dimostrare, in generale, di avere finalmente in mano lo spogliatoio, il carisma di saper imporre disciplina e, durante le partite, di disegnare, chiamare o approvare giochi offensivi che non prevedano come terminale unico, corsa o ricezione fuori dal back field, il running back De’Von Achane. Tua, anche per come ha pubblicamente preso posizione nella ‘faccenda Hill’, si sta prendendo i panni di leader, ma non basta. Deve rimanere lontano dagli infortuni , ma anche dimostrare di poter essere vincente nelle partite che contano e soprattutto in quelle in trasferta al freddo. Durante le assenze per i vari infortuni è stato ampiamente rimpianto perché chiunque lo abbia sostituito non è stato neanche lontanamente al suo livello. È stato dimostrato che questa è la sua squadra, disegnata anche su di lui, ma è sempre lui che deve portarla fare il passo successivo. Il grande punto interrogativo come sempre è Tyreek Hill. Il ricevitore - per distacco - più veloce di tutta la lega, ma anche quello con l’affidabilità professionale non esattamente esemplare. Più parole a vuoto che allenamenti puntuali. Troppi atteggiamenti da diva e pochi touchdown, in tre anni a Miami una media di poco superiore agli otto a stagione. Ma resta un giocatore straordinario. Dopo aver letteralmente abbandonato la squadra nell’ultima partita della scorsa stagione, si è ripresentato dicendo le cose giuste con propositi corretti, ma le parole, soprattutto quelle di Tyreek, le porta via il vento: ora deve produrre fatti. Anche l’altro ricevitore, Jaylen Waddle, ha un potenziale fantastico, ma problemi diversi. Il ‘Pinguino’ è un ragazzo serissimo, gentilissimo e super professionale, ma, soprattutto la passata stagione, anche un po’ troppo incline agli infortuni. Assieme formano una coppia fantastica, velocità e tratte sia sul profondo che interne, ma come sempre per i ricevitori, è fondamentale che il campo si apra con l’uso continuo del gioco di corsa. Achane, ormai RB titolarissimo, anche troppo utilizzato nella passata stagione, sarà un’arma affilata a cui i Dolphins dovrebbero affiancare, per farlo respirare e per le situazioni di corto, un giocatore di potenza come Alexander Mattison, arrivato dai Raiders dopo cinque stagioni a Minnesota coi Vikings. La difesa? Per analizzarla bisogna tagliarla in due. La linea è migliorata, i linebackers sono fantastici, ma la secondaria è diventata, tra mercato ed infortuni, il punto debole più evidente della squadra. Ramsey è stato spedito a Pittsburgh per il ritorno estremamente positivo di Fitzpatrick, ma gli infortuni hanno devasto il resto del reparto. Kohou ha perso la stagione col crociato rotto il secondo giorno del camp e Ashtyn Davis - potenziale Safety titolare – è stato fuori diverse settimane. Qualcuno arriverà ancora dal mercato degli svincolati, ma vedendo il training camp, l’idea dell’ottimo defensive coordinator Anthony Weaver sembra essere quella di cambiare un po’ atteggiamento di reparto ed affidarsi molto alla ‘Pass Rush’. Mettere pressione sul quarter back avversario. In tanti allenamenti si sono visti due linebackers, spesso proprio le superstar difensive Phillips e Chubb, salire alti e larghi sull’esterno della linea difensiva pronti ad aggredire il QB avversari con una safety più alta sulla linea proprio dei linebackers. Quello che è stato lo schema difensivo vincente dei Philadelphia Eagles nell’ultimo Super Bowl di New Orleans contro Mahomes, riproposto in questo caso anche un pochino per necessità. Manca pure un Tight End offensivo dopo che Jonnu Smith è entrato nello scambio di Ramsey con gli Steelers e questo riporta alla necessità che il gioco offensivo si debba svolgere in velocità sui ricevitori e che Tua sia protetto al massimo. Questa un’altra grande incognita. Il secondo ruolo chiave nel football NFL, dopo quello del quarteback, è il tackle di sinistra. Per i Dolphins in quella posizione, in primavera, ha annunciato il ritiro il bravissimo Terrence Armstead, che si è arreso agli infortuni, quindi questa enorme responsabilità andrà sulle spalle larghissime, ma giovani, di Patrick Paul, al secondo anno da professionista dopo un’ottima carriera all’Università di Houston, ma con sole tre partite da titolare nella NFL, Paul ha dato finora segnali estremamente incoraggianti anche per la personalità oltre che la fisicità, ma resta una delle grandi chiavi di volta della stagione dei Dolphins. Se saprà proteggere Tagovailoa e dargli tempo d’innescare la rapidità di Waddle, Hill e dello stesso Achene, allora la stagione di Miami potrebbe essere migliori delle previsioni. Dopo tanti anni di speranze andate in fumo e grandi delusioni, i Dolphins potrebbero trasformarsi in una sorpresa. Certo è che per questo gruppo di giocatori, e soprattutto per l’Head Coach, questa è l’ultima chiamata. Si giocano tutti tanto col pallone ovale all’ombra delle palme, ma se c’è una città che può rapidamente trasformare lo scetticismo in entusiasmo, Miami è il posto giusto.

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Ora o mai più: per i Miami Dolphins è l'ultima occasione

Massimo Marianella