Il nuovo fenomeno dell’atletica azzurra si racconta passeggiando lungo la pista dello Stadio Olimpico di Roma, la perfetta sintesi tra il suo amore per l’atletica e la grande passione per il calcio. Insieme a Lia Capizzi il 19enne velocista brianzolo di origini sarde confessa di non subire la pressione del paragone con Pietro Mennea. “Vivo un po’ nel mondo delle nuvole, sono un giovane vecchio…"
Due vistose cicatrici sugli avambracci come eredità di uno degli infortuni più strani della storia dell’atletica. Tortu è particolare anche nell’'arte di farsi male. Alle Olimpiadi Giovanili di Nanchino, in Cina nel 2014, corre la semifinale dei 100 metri, al traguardo si sbilancia, cade e si procura la doppia frattura di ulna e radio di entrambe le braccia. Roba da Guinness del Mondo. Era stanco, ricorda, ma forse c’entra anche la particolarità caratteriale di chi vive in un mondo tutto proprio. Filippo ammette di vivere un po' tra le nuvole, non una debolezza ma una forza per rispedire al mittente una eccessiva pressione. Mica facile a 19 anni essere un velocista e sentirsi tirare per la giacchetta, additato con paragoni pesanti.
Il grande Pietro Mennea lui lo ha conosciuto, da piccolo in spiaggia in Sardegna, così come il suo mito Livio Berruti le cui gare ha visto e rivisto davanti alla tv. La televisione ha avuto un ruolo speciale nell'infanzia di Tortu, le ore trascorse a vedere documentari di ogni genere ne hanno sviluppato una smisurata cultura per qualsiasi sport. Chiedetegli le formazioni di tutte le passate edizioni dei Mondiali di Calcio o le medaglie conquistate nell'ippica alle Olimpiadi di Roma 1960, vi risponderà. Il merito è soprattutto di papà Salvino, un tempo sprinter in pista, poi avvocato e manager, e attualmente suo allenatore. Un padre consapevole di avere tra le mani un atleta gioiello ma ancor più determinato nello spronare il figlio a studiare.
Diventare il terzo bianco di sempre ad infrangere la barriera dei 10 secondi, Sacro Graal dei 100 metri, e pure riuscire a laurearsi. Non li cita apertamente, per scaramanzia e per rispetto, ma sono questi i due sogni dell’azzurro tesserato per le Fiamme Gialle. Intanto frequenta il primo anno di Economia alla Luiss di Roma, niente obbligo di frequenza e quindi la libertà di potersi allenare a casa tra Carate, Monza e Giussano. Brianzolo ma pure sardo. Si, "orgogliosamente sardo al 100%". In Sardegna è nato il papà, lui ci ha trascorso le sue estati e la bandiera con i Quattro Mori la vuole sempre ben in vista sugli spalti quando gareggia. A patto che non si offenda nonna Titta che nella cucina di Carate Brianza lo ha costantemente coccolato tra un risotto e una lasagna.
Un'intervista lungo la pista dello Stadio Olimpico lo rende particolarmente felice, è la perfetta sintesi tra il suo amore per l’atletica e la grande passione per il calcio. Tifoso sfegatato della Juventus, una cameretta con mille cimeli bianconeri, alla Roma invidia l’inno e alla Lazio la canzone "I giardini di marzo" intonata dai tifosi durante i match dei biancocelesti. No, niente musica rap o reggaeton, Filippo ama la musica di Lucio Battisti e Patty Pravo, la passione che lo lega a mamma Paola. Un giovane-vecchio, lo provoco, lui conferma. La sua anima adolescenziale ritorna fuori quando da appassionato di cinema elenca i titoli della commedia italiana le cui battute sa a memoria: ride come un matto dichiarando il suo film del cuore "Natale in India". Determinato in pista ma sempre sorridente fuori. C’è una persona che vorrebbe incontrare per potergli stringere la mano: Richard Fosbury, il campione americano che rivoluzionò la tecnica del salto in alto. Un velocista che trae ispirazione da un saltatore non te lo aspetti. In apparenza suona pure strano. Non lo è. E’ la conferma della personalità di Filippo Tortu, ragazzo empatico e per nulla scontato. Una testa non banale.