Tortu tra sudore, lacrime e mare

"La cura per ogni cosa è l'acqua salata: sudore, lacrime o il mare". Alla vigilia di Ferragosto ho chiesto a Filippo Tortu di fare una chiacchierata partendo da questa teoria di Karen Blixen. Reduce dai Giochi di Parigi, Pippo ha raggiunto la famiglia che, come da tradizione, in estate "cambia costa" trasferendosi da Costa Lambro a Golfo Aranci, in Costa Smeralda. Pippo, che la Sardegna ce l'ha tatuata sul fianco del torace, al mare stacca la spina. Più mentalmente che fisicamente, visto che per un atleta professionista l'allenamento è una costante e il corpo non può mai permettersi di andare in vacanza. Si tratta di un'estate particolare per Filippo. Quelle di Parigi non sono state le Olimpiadi dei suoi sogni come lui stesso non fa fatica ad ammettere, e in questi casi è inevitabile prendersi un momento di riflessione. Torniamo indietro di 3 anni, all'oro nella 4x100 di Tokyo: forse non tutti hanno colto la straordinaria reazione mentale che Filippo Tortu ebbe in quell'occasione, visto che veniva da una mancata finale nella gara individuale a cui teneva tantissimo. L'oro di Tokyo in quella staffetta, con il suo sorpasso agli inglesi sul traguardo, è diventato il manifesto di Filippo Tortu. Perché con un testimone in mano Pippo diventa come Re Artù quando impugna Excalibur: quanto ci siamo goduti le sue cavalcate nell'ultimo anno tra Mondiali di Budapest ed Europei di Roma ! Così siamo arrivati a Parigi associando l'immagine di Pippo Tortu nella staffetta azzurra a festeggiamenti, mai lacrime. Questa volta, però, al traguardo ci siamo resi conto che il quarto posto per noi rappresenta una delusione. Un quarto posto velocissimo, dati alla mano. Il Canada si prende l'oro olimpico con lo stesso tempo con cui gli azzurri trionfarono in Giappone, 37"50. Noi chiudiamo alle spalle di Sudafrica e Gran Bretagna e siamo fuori dal podio con un ottimo 37"68. Per intenderci, l'oro europeo dello scorso 12 giugno, a Roma, arrivò con il tempo di 37"82. Impossibile recriminare sul verdetto del cronometro e sulla prestazione dello Stade de France, ma per i tifosi il rammarico c'è. Quando coglie il mio dispiacere per quella che poteva essere una grande gioia, Pippo mi spiega in modo convincente di non avere rimpianti: "Quando hai dato tutto te stesso e hai la coscienza a posto, perché sai che hai fatto tutto quello che era nelle tue possibilità in quel momento, non devi rimproverarti nulla. In quel momento bisogna fare i complimenti a chi è andato più forte e riconoscerlo, poi è giusto analizzare e capire dove lavorare per migliorarsi". C'è una cosa che mi colpisce: la sua lucidità nell'analisi è accompagnata da un'umanità che ha anche palesato versando qualche lacrima: "Le lacrime arrivano raramente però quando arrivano si fanno sentire - mi racconta -. Finito il turbinio di emozioni che ho vissuto immediatamente dopo la gara sono seguiti diversi momenti felici con i miei compagni". Ora, la corsa di Filippo Tortu riparte dal quarto gradino del podio di Parigi, un piazzamento a tutti gli effetti ormai sdoganato anche dal Quirinale. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sarebbe capace di preparare delle autentiche medaglie di legno in occasione dell'invito agli azzurri che si sono classificati quarti ai Giochi: non sarebbe male come trovata per l'appuntamento fissato il 23 settembre. Scherzi a parte, Pippo dà molto valore a queste attenzioni: "Avrei preferito andarci da medagliato, però vado molto orgoglioso di questo invito perché riconosce il lavoro di noi atleti, esaltando il significato vero dello sport, che va oltre la medaglia". Io invece c'è una cosa che faccio fatica ad accettare. E non riguarda la staffetta. Lunedì 5 agosto ero allo Stade de France, ho assistito dal vivo allo storico record del mondo di Armand Duplantis nel salto con l'asta, una gara contro sé stesso. L'evoluzione di "Mondo", che si migliora di centimetro in centimetro anno dopo anno, non può che far rimbalzare nella mia testolina pensieri su Filippo, che conosco personalmente dal 2017 quando ci incontrammo a Cagliari in occasione di una premiazione. Io conosco quel Filippo che nel maggio del 2018, non ancora ventenne, si piazzava terzo al Golden Gala, correndo i 100 metri in 10.04 lasciandosi alle spalle il futuro campione olimpico Marcell Jacobs. Quel Filippo che il 22 giugno 2018 andai a seguire a Madrid in un meeting passato alla storia perché lì divenne il primo italiano ad abbattere il muro dei 10 secondi nella gara regina dell'atletica. Superata una leggenda come Mennea, io - che sicuramente pecco di lucidità ma ho negli occhi l'evoluzione di Duplantis - faccio fatica ad accettare che il talento innato di Filippo non lo abbia portato ad abbattere nuovi record. Quel 9.99 di Madrid è rimasto il suo personale, mentre nel mezzo giro di pista - agli occhi del pubblico - sembra ancora lontana la barriera dei 20 secondi, sotto la quale si può ambire a un podio di una manifestazione mondiale . Lasciando da parte il discorso legato alle medaglie, la cosa che un po' destabilizza i tifosi di Filippo Tortu è l'imprevedibilità nelle sue gare individuali. "Quando corre senza testimone" - ormai possiamo identificarlo così - qual è il suo potenziale? Correre i 200 metri sotto i 20 secondi, rispondo io. Il suo personale è di 20"10, stabilito ai Mondiali di Eugene del 2022 e quindi in una gara decisiva. Due mesi fa l'ho visto correre all'Olimpico senza forzare nei metri finali, dominando la semifinale degli Europei di Roma: 20"14, un tempo che gli sarebbe valso l'oro in finale . Un argento europeo è sempre un argento, peraltro un upgrade rispetto al bronzo europeo di Monaco 2022, ma per usare le stesse parole di Pippo alla vigilia di Roma 2024 "un europeo in casa è l'occasione della vita, non dev'essere sprecata". Non può non far male correre la finale in 20"41 a quarantott'ore da un 20"14 segnato sulla stessa pista. Non può non far male il 20"54 di Parigi - che gli ha negato l'accesso alla finale - a quarantott'ore da un non sensazionale 20"29 corso in batteria che comunque sarebbe bastato a entrare tra gli 8 finalisti olimpici. Troppi se e troppi ma, forse. Poi c'è da dire che Filippo non ricorre mai a scuse: sarebbe più facile provare a capire cosa c'è dietro a questi tempi ballerini se dichiarasse un dolore fisico o se si attaccasse a qualche fattore a proprio sfavore, come può essere una corsia interna . No, Pippo non cerca mai scuse. Però fa male vederlo in involuzione: anche nel corso della stessa manifestazione, la sua prima uscita è spesso migliore rispetto al tempo del turno successivo, per il quale in genere “ci si è tenuti” per dare il meglio. A tratti è imperscrutabile, ma si ha l'impressione che tenga qualcosa dentro, nella convinzione di riuscire a uscirne da solo, con il sudore. Il sudore, cura raccomandata non solo da Karen Blixen ma anche da Pietro Mennea, che nel corso di una convention nel 2011 dichiarò: "Io mi allenavo 5-6 ore al giorno per 365 giorni l'anno: ho vinto spesso, perso raramente. Ma se potessi tornare indietro invece di 5-6 ore al giorno mi allenerei 8 ore al giorno o anche di più". Allenarsi 8 ore al giorno può essere la soluzione, è vero. A un patto, perché ricordiamoci che gli atleti sono esseri umani: l'allenamento non vale solo per il corpo. Va allenata anche la mente. Lo sport ad alti livelli richiede allenamento mentale. Sarebbe un peccato realizzarlo a carriera finita. Sinceramente mi spiace che Filippo non sia affiancato da un mental coach e sono sicuro che svuotandosi del peso che si porta appresso per 200 metri anche il cronometro gliene darebbe atto. A 26 anni fisico e testa si vengono incontro, non c’è età migliore per misurarsi con i propri limiti e superarli. Filippo Tortu lo può fare, ma prima deve capire come far correre il Pippo delle gare individuali allo stesso modo del Pippo delle staffette. Sono tanti gli atleti professionisti che hanno fatto questo passo godendo dei benefici che la forza della mente può trasmettere al fisico. La mia convinzione è che quello che abbiamo visto di Pippo finora sia nulla rispetto a quello che può darci: per uscire dalle sabbie mobili e prendere a morsi la pista lo vorrei vedere lavorare sulla testa, naturalmente scegliendo bene a chi affidarsi. Ma il primo passo è scegliere di volerlo fare. È una sfida mentale, una spada nella roccia da estrarre.