L'atletica italiana brilla come un diamante

Se qualcuno aveva fatto lo schizzinoso di fronte alle tre medaglie olimpiche di Parigi pensando allo straordinario bottino dei cinque ori di Tokyo, ci ha pensato la notte di Bruxelles a ribadire lo straordinario momento dell’atletica italiana. La finale di Diamond, Champions League di piste e pedane, frutta il raccolto di tre trofei conquistati proprio da chi era uscito con il muso lungo dai Giochi sotto la Torre Eiffell. Fabbri, Tamberi e Iapichino servono un tris senza precedenti, portando a casa il Diamante vinto sinora soltanto da Gimbo ed Andy Diaz, quest’ultimo quando però per l’atletica era ancora cubano. Il memorial Van Damme, già illustrato nella prima serata di finali dal secondo posto di Lollo Simonelli sui 110 ostacoli, si colora subito di azzurro grazie a Leonardo Fabbri, che dimentica la pedana intrisa di pioggia che lo aveva tradito al Saint Denis e al primo tentativo spara la boccia da 16 libbre del peso a 22.98, primato italiano ancora ritoccato, quinta misura di sempre ad appena otto centimetri dal record europeo del tedesco est Ulf Timmermann. Stavolta si inchina persino l’immenso Ryan Crouser, il più grande di ogni tempo della specialità, che insegue il fiorentino per sei lanci ma alla fine resta 17 centimetri dietro. Vittoria straordinaria, in una stagione che ha visto Leo toppare solo nell’appuntamento olimpico, ma che gli lascia in eredità il titolo europeo, il bronzo mondiale indoor, il successo nella tappa londinese della Diamond e adesso un trofeo a dire che il meglio deve ancora venire per il ragazzo di 27 anni che alterna il getto del peso al tifo calcistico per i viola. A proposito di fiorentini, applausi in piedi per Larissa Iapichino, rimasta ai piedi del podio ai Giochi, che a Bruxelles azzecca subito due salti con pedane di stacco centrate con la precisione del suo concittadino Giotto, vola prima a 6.77 e poi a 6.80 rendendosi imprendibile per le avversarie, tra cui l’americana Jasmine Moore che l’aveva beffata per il bronzo ai Giochi. 22 anni, ottimo rendimento accademico con gli studi di giurisprudenza, doppia figlia d’arte, mamma Fiona May, ma anche papà Gianni Iapichino che oggi l’allena, una costanza di rendimento ai vertici a disegnarla come stella del futuro della specialità. Se due grandi come la tedesca Malaika Mihambo e la serba Ivana Spanovic, che Larissa ha sempre guardato come punto di riferimento quando l’accolsero poco più che bambina in pedana, hanno fatalmente iniziato la parabola discendente della carriera, la sfida sarà con la campionessa olimpica Tara Davis e le altre americane. E poi Gimbo Tamberi, il capitano azzurro, lo sportivo italiano contemporaneo più vincente insieme al grande amico Gregorio Paltrinieri, capaci di reagire al calcolo renale che gli ha mandato a ramengo l’Olimpiade con un filotto possibile solo ai fuoriclasse. Cinque gare dopo Parigi e quattro vittorie, l’ultima a Bruxelles per prendersi il terzo Diamante della carriera, conquistando un meeting che con Zurigo e Montecarlo è il più prestigioso del circuito: lui adesso li ha vinti tutti, come un ciclista capace di trionfare alla Roubaix, al Fiandre e alla Liegi-Bastogne-Liegi. L’ottimo ucraino Oleg Doroshcuk, nome importante per il futuro, lo ha spinto a issarsi a 2.34, misura notevolissima per una serata quasi invernale con il termometro a undici gradi, ma proprio queste sono le situazioni capaci di esaltare quelli come il mezzabarba. Se c’erano dubbi per la continuazione della carriera dopo la tremenda delusione parigina sono stati fugati ieri notte: l’anno prossimo, in una stagione con europei e mondiali indoor, ma soprattutto l’appuntamento iridato a Tokyo nello stadio che gli ha regalato l’eterna gloria dell’oro olimpico, Gimbo sarà ancora in pedana. Guiderà una spedizione con Fabbri e Iapichino, Furlani e Simonelli, Jacobs e gli sprinter della 4x100, i marciatori Stano e Palmisano, la divina Battocletti nel mezzofondo e il balzatore Diaz nel triplo, Sibilio che se a posto fisicamente può regalare grandi cose nei 400 ostacoli e Sottile capace in sua assenza di sfiorare il podio a Parigi. Semplicemente la più grande squadra della storia dell’atletica italiana.