Il giorno in cui Jesse Owens fece la storia

Il D-Day dell’atletica leggera compie 90 anni. Non durò l’intera giornata come per lo sbarco sulle spiagge della Normandia, ma 45 minuti, il tempo di battere quattro primati del mondo in altrettante gare. Cosa più importante, fu del tutto incruento, a parte lo choc per i presenti che assistevano a qualcosa di straordinario. E infatti nessuno, neppure lontanamente, si è mai avvicinato a quanto avvenne al Ferry Field Stadium di Ann Arbour il 25 maggio 1935. Il merito è di un uomo, James Cleveland Owens, meglio conosciuto come Jesse. Il diminutivo è dovuto all’insegnante delle scuole elementari che faticava a comprendere l’accento dell’Alabama del ragazzino. “Come ti chiami, figliolo?”. “J.C.”, rispose lui, indicando solo le iniziali di James Cleveland. Jesse, comprese la maestra, senza sapere che quel nome sarebbe diventato leggenda. Owens era emigrato in Ohio con la famiglia ai tempi della grande migrazione: come tanti afroamericani papà Henry, raccoglitore di cotone figlio di un uomo nato schiavo, aveva portato la moglie Mary Emma e i dieci figli per migliori opportunità di lavoro e una vita lontana dal Sud razzista. Jesse è il più piccolo e contribuisce al precario reddito famigliare con piccoli lavori, come fattorino e commesso. Scopre la corsa grazie al responsabile di atletica del liceo Fairmount, Charles Riley: ha notato la velocità del ragazzo e visto che al pomeriggio deve lavorare gli apre le porte della pista della scuola al mattino presto, prima delle lezioni. Jesse non lo delude, e i risultati lo portano all’attenzione delle migliori università. Sceglie quella dello stato in cui è cresciuto, Ohio State, dove incontra il secondo uomo chiave della sua vita: coach Larry Snyder, una carriera come atleta troncata da un incidente aereo prima dei Giochi di Parigi 1924. Il destino gli restituisce quanto gli aveva tolto facendogli allenare Jesse. Il 25 maggio 1935 è in programma il campionato della Big Ten, la Conference di Ohio State. Lo svantaggio per i “Buckeyes” è che dovranno sfidare gli arcirivali di Michigan a casa loro, il Ferry Field di Ann Arbour. Ma se i Wolverines hanno il fattore campo, Larry Snyder ha il settebello, nel suo caso Jesse Owens, e siccome ci sono i punti da portare alla squadra lo iscrive a ben quattro gare. Pazienza se tra la prima, le 100 yard, e l’ultima, le 220 yard con ostacoli, ci siano soltanto 45 minuti, e che la seconda, il salto in lungo, sia di fatto in contemporanea con la terza, le 220 yard in linea retta: vuol dire che Owens avrà a disposizione un solo tentativo. Calcoli perfetti, ma Snyder non poteva prevedere quanto accade cinque giorni prime: mentre scende le scale del dormitorio universitario Jesse scivola e rotola giù dai gradini. Si prova a combattere il mal di schiena con bagni caldi, ma il dolore non sparisce: la mattina del 25 maggio i compagni devono aiutarlo a scendere dal pullman, Jesse non riesce neppure a piegarsi sulle ginocchia. Snyder vuole troppo bene a quel ragazzo per vederlo soffrire. “Prova a correre la prima gara, le altre le farai solo se te la senti”. Forse è anche il tentativo di stimolare l’orgoglio di Jesse, e la mossa paga i dividendi quando alle 15.15 decide di partire per le 100 yard. Avvio lento, ma non è un problema: a 30 yard dal traguardo è già in testa, sul traguardo gli viene accreditato un 9.4 che eguaglia il primato del mondo. In realtà la maggior parte dei cronometristi aveva registrato 9.3, ma per le regole d’allora va a libro il tempo più lento. La buona notizia, oltre alla vittoria e ai punti pesanti per Ohio State, è che il dolore sembra sparito. Ma arriva la parte difficile: il salto in lungo comincia alle 15.25, nove minuti soltanto prima del via delle 220 yard. Avrà un solo tentativo, il primo, contro i sei degli avversari. Gli basta. Si dice che coach Snyder avesse messo un segno per indicare la misura del record del mondo, forse è leggenda ma Jesse atterra davvero dove nessuno era mai arrivato: 8.13, mai un uomo aveva superato gli otto metri. Per dare un’idea di quel risultato, sarebbe stato medaglia d’oro alle Olimpiadi sino all’8.90 di Bob Beamon a Messico 1968, e avrebbe ancora garantito il sesto posto ai Giochi di Parigi 2024. Lascia la pedana e va subito sui blocchi, non ha tempo neanche di scaldarsi. Alle 22.34 partono le 220 yard in linea retta, gli avversari gli vedranno solo la schiena, sempre più lontana: 20.3, primato del mondo, ma siccome la distanza imperiale è di 201 metri stabilisce di passaggio anche il record dei 200. Stavolta può persino gioire, ci sono 26 minuti prima dell’ultima prova, le 220 yard con ostacoli. Alle 16 si compie la giornata perfetta, con il 22.6 del quarto primato di giornata. Anche qui c’è il record di passaggio sui 200, dunque con quattro gare sono in realtà sei i primati che vanno in archivio. L’anno dopo, all’Olympiastatdion di Berlino, Jesse Owens avrebbe scritto la storia dell’atletica e non solo, umiliando le folli teorie naziste sulla razza. Ma il 25 maggio 1935 il ragazzo con l’accento dell’Alabama che aveva confuso la maestra era già entrato nella leggenda.

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