Il giorno in cui Clarke fece la storia a Oslo

Ci sarà 'Mondo' Duplantis, e già questo basterebbe. Ma ci sarà anche l’idolo di casa Karsten Warholm a sfidare gli altri due tenori delle barriere Raj Benjamin e Allison Dos Santos sugli sperimentali 300 ostacoli. Non ci sarà l’altro re vichingo Jakob Ingebrigtsen, ma le solite suntuose gare di mezzofondo che fanno impazzire quelli dei fiordi. E ci saranno pure quattro bandierine italiane: Ayo Folurunso nei 400 ostacoli, Filippo Tortu nei 200, Zaynab Dosso nei 100 e Federico Riva sul miglio. E’ il menù di Oslo , il Bislett, dal nome dello stadio che trasuda leggenda in ogni mattone, uno dei 20 impianti sportivi più belli al mondo secondo Sports Illustrated. Costruito nel 1917, aperto nel 1922, demolito e ricostruito, preservando lo stile originale, nel 2004. Tempio dell’atletica, anche se i cinque cerchi all’ingresso dell’impianto sono merito delle Olimpiadi Invernali: qui si svolsero le cerimonie di apertura e chiusura dei Giochi del 1952, insieme alle prove di pattinaggio di velocità e figura. Ma il Bislett è il teatro ideale per l’atletica, soprattutto il mezzofondo, dove dagli 800 ai 1000, dal miglio ai 3000 siepi sono stati sbriciolati primati del mondo in serie. A cominciare dalla prima edizione del meeting, il 14 luglio 1965, 60 anni fa. Quel giorno venne realizzata una delle più grandi imprese di sempre: per la prima volta un uomo correva 10.000 metri in un tempo inferiore ai 28 minuti, barriera che solo una decina di anni prima era considerata insuperabile. A farlo fu Ron Clarke, favoloso australiano, capace di chiudere in 27’39”4 e abbassando di qualcosa come 36 secondi il precedente limite che già gli apparteneva: mai nella storia dei 10.000 si era assistito ad un simile miglioramento. In quel giorno dalla luce infinita dell’estate scandinava Clarke doppiò tutti gli avversari, e non erano certo rivali di secondo piano, con un ritmo folle che solo lui era in grado di tenere. Si correva ancora sulla terra battuta, fondo molto più penalizzante del moderno tartan, e le scarpe erano ad anni luce dalle moderne calzature, ma Clarke, che non godeva di lepri a scandire il ritmo o delle “wave lights” che oggi aiutano lo sforzo, realizzò un tempo non disprezzabile neppure ai tempi nostri. In quel favoloso 1965 avrebbe battuto ben 12 dei 18 primati del mondo da lui realizzati in carriera su distanze che andavano dalle 3 miglia sino ai 25 chilometri su strada. Atleta straordinario, eppure passato alla storia anche per non aver mai vinto nulla nelle grandi occasioni. Clarke era infatti in grado di stroncare chiunque, ma non possedendo il cambio di ritmo era destinato a soccombere in volata se gli avversari gli rimanevano in scia. Quattro volte argento ai Giochi del Commonwealth, la rassegna dell’ex Impero Britannico, bronzo olimpico a Tokyo sui 10.000, sempre con il solito copione: lui in testa dal primo metro, i rivali a beffarlo sul traguardo. A Città del Messico nel 1968 l’apoteosi del dramma: nell’aria rarefatta dei 2200 metri che favoriva gli atleti degli altipiani d’Africa, dopo la solita gara generosa nei 10.000 finì sesto e completamente sfiatato. Dalla tribuna un amico medico lo vide esanime sul prato, gli salvò la vita correndo in campo e rianimandolo con l’ossigeno. Si chiudeva così il suo singolare rapporto con l’Olimpiade, iniziato nel 1956, quando gli organizzatori dei Giochi di Melbourne lo vollero ultimo tedoforo, premio a un diciannovenne già primatista mondiale junior. Ma proprio quella scelta divenne il simbolo della sua maledizione olimpica: emozionato, avvicinò troppo la torcia al braciere e un ritorno di fiamma gli causò una piccola ustione al braccio. Ma il suo talento, in qualche modo, venne risarcito di quella medaglia d’oro che non riuscì mai a conquistare. Impegnato in una gara a Praga, fu ospitato dal leggendario Emil Zatopek, il suo grande idolo d’infanzia, a sua volta ammiratore delle qualità di Clarke. Volle anche accompagnarlo in aeroporto per il ritorno a casa, e al momento di lasciarsi gli diede un pacchetto: "un piccolo regalo da parte mia, ma aprilo solo quando sarai in aereo". Salito a bordo Ron lo aprì. Trovò un biglietto scritto a mano da Emil: "non è per amicizia, ma perché te la sei meritata". Dentro il pacchetto c’era la medaglia d’oro vinta da Zatopek alle Olimpiadi di Helsinki 1952. Clarke avrebbe conservato la medaglia per tutta la sua vita Dopo la carriera di atleta divenne prima imprenditore di successo e poi uomo politico. Sindaco di Gold Coast, ottenne per la sua città l’organizzazione dei Giochi del Commonwealth, e da primo cittadino mantenne la generosità che lo caratterizzava nello sport. Aveva perso una figlia, Hellen, per un male incurabile, così organizzò un trasporto gratuito in autobus per tutte le persone che in città avevano bisogno di recarsi in ospedale per cure tumorali. L’oro che gli era stato negato alle Olimpiadi lo aveva conquistato nella vita.

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