Golf, Matteo è tornato Manassero: "Così sono rinato". L'intervista esclusiva

Matteo è tornato Manassero e Manassero ha ritrovato Matteo: ora possiamo dirlo senza paura. Il talento più limpido del golf italiano ha ritrovato la strada smarrita 11 anni fa e grazie a un grandissimo lavoro tecnico, fisico e soprattutto mentale si è ripreso il posto che tutti credevano gli dovesse competere. O almeno, quello che lui aveva fatto credere al mondo del golf azzurro. Tutto merito, o colpa vedete voi, di quell’aura da predestinato che lui stesso si era costruito dopo i suoi tre clamorosi record di precocità fatti segnare agli inizi dello scorso decennio: il 24 ottobre del 2010 fa suo il Castelló Masters in Spagna, diventando a 17 anni, 6 mesi e 5 giorni il più giovane vincitore di un torneo dello European Tour; l'11 novembre del 2012 conquista il Barclays Singapore Open al playoff contro il sudafricano Louis Oosthuizen e diventa il primo teenager a vincere 3 tornei dello European Tour; il 26 maggio 2013, infine, conquista il prestigioso BMW PGA Championship, il principale torneo dello European Tour, sul campo di Wentworth Club diventando così il più giovane vincitore nella storia del torneo e raggiungendo il 25º posto dell'ordine di merito mondiale. Tre indizi che erano molto più di una prova, dopo i quali però il nostro Matteo si è come perso, attraversando un decennio di fatiche golfistiche che in pochi avrebbero predetto. Fino alla rinascita oramai riconquistata, attraverso altrettanti indizi. Ultimissimo dei quali, successivo al ritorno al trionfo sul massimo circuito in Sudafrica a marzo, la fantastica esibizione proprio sul campo di Wentworth, dove Matteo si è ritrovato a giocare gli ultimi due giri insieme ai migliori, nello specifico Mcilroy e Horschel. Proprio lì dove 11 anni prima aveva ottenuto il più grande successo della sua vita. È proprio da Wentworth e da questa coincidenza che non può essere una coincidenza, allora, che parte la nostra lunga chiacchierata insieme a Matteo e a Roberto Zappa, amico di Sky e allenatore di Manassero nel gioco corto, che abbiamo registrato al Villa Paradiso Golf Club di Trezzo d’Adda in occasione di un evento di beneficenza dell’associazione di cui Manassero è Ambassador, la DRAVET Italia Onlus. Non voglio parlare tanto del passato, perché se ne è parlato forse troppo, però dobbiamo per forza cominciare questa chiacchierata partendo da Wentworth e da quel salto temporale col 2013. Pochi giorni fa, 11 anni dopo quel meraviglioso successo, ti sei ritrovato in testa a tre giri dal termine e a giocare insieme a Mcilroy e Horschel, che sul campo vale uno dei migliori 10 del mondo. Cosa hai provato in quel momento, sei tornato con la mente alla vittoria del 2013? “Ovviamente. Ho subito pensato a quanto tempo fosse passato da quell’ultima volta in cui mi ero ritrovato negli ultimi due giri con i migliori su questo campo storico e ho rivissuto tutte le cose che sono accadute negli ultimi anni. Anche perché la mia prospettiva verso il golf e verso giornate magiche come quella è cambiata. Se prima potevano sembrarmi quasi normali o scontate, adesso mi rendo conto delle difficoltà che bisogna superare per arrivare a essere lì in quel momento. Per questo motivo oggi mi sento molto più in grado, anche se resta comunque molto difficile, di prendere tutto quello che arriva in una giornata trionfale come quella, mi sento più consapevole e incline a godermi tutti gli aspetti del mio sport. Oggi mi basta sapere che sono sceso in campo e ho fatto del mio meglio, che non sempre può voler dire vincere tornei. Nella mia testa quando gioco oggi passano tante cose, ma anche nelle giornate no sono tutte positive”. Se Wentworth è stata la conferma del tuo ritorno, il primo potentissimo segnale è stata la vittoria nel Dp World Tour, lo scorso marzo in Sudafrica, 3492 giorni dopo l'ultima volta. Che emozione è stata? “Sicuramente è stato il momento più significativo della mia vita golfistica degli ultimi anni. È stata una soddisfazione enorme e soprattutto la consapevolezza di essere tornato di nuovo competitivo al massimo livello, di riuscire a fare nei momenti più difficili le cose per cui mi alleno tutti i giorni anche con Roberto Zappa, anche la domenica quando ci si gioca un torneo. Ci sono state tutta una serie di cose che mi hanno dato tantissima fiducia e tantissima soddisfazione ovviamente”. Uno dei segreti della tua rinascita è stato anche il cambio tecnico. Oggi ei seguito da Soren Andes e da Roberto Zappa, che cura soprattutto il gioco corto. Com’è iniziata la vostra collaborazione? Roberto Zappa: “Come prima cosa voglio sottolineare come il merito di tutto ciò sia solo di Matteo. Io l’ho solo supportato, sostenendo la sua fortissima voglia di trovare una via d’uscita, di cambiare, di migliorarsi e di ottenere quello che ha raggiunto nelle ultime gare. Anche se la tecnica è importante il segreto sta tutto nella testa. E anche dal punto di vista tecnico, per quello che è il campo di mia competenza, l’iniziativa è partita da lui, che nel periodo del Covid ha scelto di passare all'arm-lock . Dopodiché io l'ho solo supportato e seguito. Certo ci siamo anche scontrati, vero Teo?” Matteo Manassero: “Sì, certo, ma ci sta. In una collaborazione è normale sia così. Ma sinceramente non penso che sia tutto farina del mio sacco. Io ho sempre messo buona volontà, lavoro e anche idee. Nel lavoro tra un atleta e il suo Team, in questo caso Roby, c'è tanto feedback; quindi, ci può anche essere ogni tanto un momento di divergenza di idee. A volte il giocatore sente una cosa diversa, soprattutto quando le cose non stanno andando come si vuole e le sensazioni non sono positive, però nella collaborazione deve esserci sempre tutto”. Roberto Zappa: “Permettimi però di sottolineare il grande collante di questo lavoro che è stata Alessandra Averna ”. Matteo Manassero: “Sì, sì. Alessandra è un po' il collante di tutto il Team. È la persona che dal 2019, quindi da cinque anni, ha iniziato a cambiare un po' tutta la prospettiva e la mentalità con la quale mi approccio oggi al golf. Insomma, tutto quello che non fa parte del gesto tecnico. Quindi sì, collante con Roberto, collante con Soren Ansen , e tanto aiuto per me e per la mia tranquillità. Tutti fanno la loro parte e solo così si può migliorare e, alla fine, essere competitivi e sentirsi a proprio agio”. Quando c'è stato il click definitivo? “È logico che serve vincere per arrivare a sentire veramente quel il click. Nel 2023 sicuramente c’è stato qualcosa, confermato dal fantastico inizio di 2024, ma devo dirti che i dubbi comunque continuano a esserci. Nel golf c'è sempre un traguardo che non hai ancora raggiunto e che può farti sorgere dei dubbi, non puoi sentirti sicuro di riuscire a raggiungere quell’obiettivo perché di fatto non l'hai ancora raggiunto. Quindi, ci sono sempre ci sono dei click o delle porte da dover ancora aprire per riuscire a entrare nella stanza successiva. Se devo pensare a un momento però per forza di cose penso al Sudafrica”. Il Sudafrica è stato bellissimo, perché un conto è vincere un torneo, magari partendo da dietro e fare un fantastico ultimo giro, un conto è farlo battagliando con i migliori per tante buche. Li eri una situazione di grande bagarre e dunque tensione ma tu hai imbucato tutti i putt decisivi. È in quel momento che ho pensato: ‘Ecco, l’abbiamo ritrovato’. “Non so quanto sia facile capire dalla televisione la difficoltà di portare a casa un torneo e quante cose succedono, tutte le situazioni... In Sudafrica è andato tutto nella mia direzione, ma chiaramente bisogna farsi trovare pronti a cogliere l'occasione, avere tutto in ordine, come dico sempre. Poi ogni tanto va e ogni tanto non va”. Che non sia così facile vincere un torneo bisognerebbe chiederlo anche a McIlroy, che sta arrivando sempre secondo. Come è giocare con Rory e Horschel, uno che imbuca 700 chilometri di putt in due giorni? “È normale, non dico che bisogna aspettarselo ma quando si gioca con i migliori al mondo è così. Per me sono dei passi necessari per tornare lì, sempre più in su. Devi passare da quelle giornate lì. Poi, obiettivamente, giocare con Rory, e per fortuna per me nell'ultimo periodo è diventata una situazione ordinaria, non è mai facile perché attorno a lui c’è sempre casino, tantissima gente che tifa per lui e fa molto rumore. Rory in campo è un vero signore e non ti fa pesare minimamente questa cosa, ma è anche il bello di tutto ciò. Se non ti piace quella situazione lì, probabilmente hai scelto il mestiere sbagliato”. Adesso appartieni a quella fascia lì. Sei tornato dove devi essere. “Questo mi fa molto piacere, ma anche se possiamo effettivamente dire ‘adesso è vero’, perché è stato così negli ultimi mesi, non devo mai dimenticare che i successi vanno sempre riconquistati, giorno dopo giorno e torneo dopo torneo. Non si appartiene per diritto a quella fascia, bisogna sudarsela costantemente, ed è per questo che io ora più che pormi obiettivi come vincere determinati tornei cerco di restare lì, continuamente a questo livello. Ho imparato che non è perché mi chiama Manassero che appartengo a una determina fascia, sarebbe troppo facile altrimenti. Sono felice di esserci stato e ora sto facendo di tutto per tornarci stabilmente”. Che cos'è che non è andato in passato? Cosa è successo? “Anche quando arrivi molto in alto credo che ci sia sempre qualcosa che puoi andare a prendere che sta ancora più in alto, il tutto sta a come gestisci questo aspetto di uno sport professionistico. Credo che ci sia stato questo pensiero all'origine delle cose. Probabilmente ho cercato di fare troppo velocemente dei passi che in quel momento non ero in grado di fare. Avrei dovuto farne degli altri per poi essere in grado di fare quelli successivi con maggior consapevolezza. E poi logicamente il golf smaschera tutto, sia tecnicamente che mentalmente. Ho cominciato con piccole difficoltà che poi si sono sommate e montate, andando a creare una difficoltà ancora più grande”. Roberto Zappa: “Avrei anche io una domanda per Matteo che mi fanno un milione di persone negli ultimi giorni: il futuro?” “Il futuro… bisogna andare avanti così. Adesso ho talmente tante gare che pensare al futuro viene complicato. È ovvio che ho dei grandi obiettivi in testa, ma quelli più importanti sono per la gara successiva, non posso andare troppo avanti con sogni e obiettivi. È chiaro che ci si gioca sempre tanto, perché c'è sempre qualcosa da poter raggiungere. Io devo essere molto molto concentrato sul lavoro che stiamo facendo e non posso uscire mai da lì. So che se non esco mai da lì e se continuo ad aggiungere qualche piccolo pezzettino, o anche semplicemente a restare così, probabilmente degli obiettivi e delle soddisfazioni riuscirò a togliermele, come sto facendo. Però non è che dico ‘voglio qualificarmi qui, voglio qualificarmi là’, nella mia testa lo so, però cerco di continuare a lavorare per andare in questa direzione”.

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