L’oro gentile. Il sorriso di Martinenghi

Il baronetto britannico Adam Peaty sorrideva al termine della finale olimpica di Parigi. Lui, il primatista del mondo dei 100 rana, il campione olimpico in carica era appena stato battuto per appena due centesimi di secondo da Nicolò Martinenghi. Il 25enne azzurro che aveva già vinto Europeo e Mondiale in questa gara in cui forse neppure sognava l’oro più bello. Conquistato per merito e di un nulla, mettendosi alle spalle lo statunitense Fink e il campionissimo inglese. Addirittura giù dal podio il discusso e favoritissimo cinese Qin. C’erano tanti sconfitti, eppure solo sorrisi. Una processione di abbracci innanzi al nostro Tete. Pacche sulle spalle, strette di mano, e perfino una lacrima, proprio quella di Adam. “Non ho vinto io, ma mi sta bene, perché ha vinto una brava persona, un campione che mai si è esaltato o montato la testa. È assurdo, ma sono felice abbia vinto Nicolò” dirà complimentandosi anche con Marco Pedoja, storico allenatore di Martinenghi. Il campione della porta accanto. Quello rispettato da tutti. Quello dal costante sorriso. Non lo ha mai nascosto tra le corsie di ogni piscina e lo ha spiegato anche alle Corsie Sistine di Roma, ospite del Live in di Skytg24. “Se sorrido a qualcuno io penso che quel sorriso mi tornerà indietro”. Sembrerebbe quasi ecumenico o condito da una dose esagerata di zucchero, se poi non ci fosse quel lato scanzonato e spontaneo di un carattere speciale per far capire che l’arma in più per la vittoria possa essere davvero una sincera gentilezza. “In acqua ci diamo battaglia, ma ho un bel rapporto con tutti. E grande rispetto per i più grandi, perché l’età anagrafica dei più esperti non va mai dimenticata. A Parigi volevo solo godermi la mia gara, per dare un senso a tutto quello che faccio. Ero un ragazzo che si stava divertendo in mezzo a tanti altri ragazzi come me”. Dirà, così candidamente, per concentrare tutti gli sforzi su sé stesso senza erodere energie nell’invidia, in un agonismo talvolta esasperato fatto di rivalità tossiche che inquinano i rapporti fuori dall’acqua. Forse non è un caso che nel momento più importante Nicolò c’è sempre. Dal bronzo olimpico di Tokyo è sempre salito su tutti i podi importanti: vasca lunga, vasca corta, mondiali, europei. Anche quando non sembra al top della forma, anche quando parte dalle corsie laterali, quelle non dei favoriti perché altri durante le batterie e le semifinali sono andati più veloci di lui. A Parigi partiva dalla corsia sette, ossia sesto tempo d’ingesso. Eppure, anche lì, quando arriva il momento di giocarsi le medaglie Nicolò tira fuori quel qualcosa in più degli altri. Per arrivare fino all’oro olimpico dopo esser già stato sul tetto del mondo e d’Europa. Riposato mentalmente da quei livori che possono consumare anche i muscoli oltre l’anima durante i turni preliminari. Un pensiero ricorrente tra i più grandi nuotatori è che le gare si inizino a vincere dalla ‘camera di chiamata’, lo stanzino in cui gli atleti condividono pochi metri quadrati a qualche istante dal via. Dove incrociano gli ultimi sguardi, e scambiano qualche parola. Ci sono rituali per far crescere timori e insicurezze altrui. Martinenghi respinge il tutto con la sua arma più affilata: la cortesia. Pronta a spegnere con disarmante semplicità ogni possibile miccia di antisportivo ‘odio’ nei suoi confronti. Uscendo dalla retorica dello sport, anche a bordo vasca si sentono parole non sempre dense di fairplay: atleti messi nel mirino, nuotatori che si alimentano di rabbia o sensi di rivalsa. Allenatori che - non solo nel nuoto - costruiscono perfino vittorie cercando motivazioni nell’ossessione di battere qualcuno che si stimerà sempre meno. Ecco, nello sport c’è anche questo. Ma non in Nicolò. Anche alle Corsie Sistine sul palco e poco fuori non si è mai tradito. Si è provato in ogni modo a trovare un suo lato oscuro, una rivalità accentuata, un lecito pensiero negativo che gli attraversasse la mente, e non necessariamente da rendere pubblico. Invece niente. Con Thomas Ceccon, l’altra stella del nostro nuoto, hanno anche scherzato durante i giorni dell’olimpiade, per inscenare via social e con qualche dichiarazione una rivalità che non c’è. La ipotizzavano ridendo prima e dopo gli ori olimpici che entrambi hanno conquistato. Ecco, le due attuali medaglie d’oro della nostra nazionale, in uno sport individuale in cui spesso nascono dualismi, sono amici veri. Hanno un programma di gare differente, caratteri opposti, ma non sono due galli in un pollaio. Bensì due giovani che anche nei giorni più ricchi di pressione avevano scelto di essere compagni di stanza nel villaggio olimpico. E un eventuale litigio era solo ipotizzato con un sorriso per generare hype tra i loro sempre crescenti follower. Ma già loro non ci hanno creduto in partenza. Ceccon non voleva dirlo, anche perché già era il favorito, ma sognava quest’oro a cinque cerchi. Martinenghi invece rispondeva solo di sognare di esser felice per tutta la vita. Felice lo è stato arrivando in vetta all’Olimpo della rana, anche se “mi trovo meglio ad affrontare una sconfitta che una vittoria”. Ce lo dirà senza nascondere come il successo quasi lo imbarazzi. E non certo per timidezza, vista la disinvoltura con cui sfila pure sulle passerelle d’alta moda. Gli interessi non gli mancano del resto, e fa quasi sorridere come racconti di amare più il basket del nuoto che tanto gli ha dato. Anche questo detto come volesse ridimensionare l’importanza del competere per dover vincere a ogni costo. Anche se il nuoto per lui è stato quel giudice meritocratico di una vita, da accettare sempre. E con meno fatica rispetto a quando a basket gli si chiedeva di esultare per una vittoria di squadra in un giorno in cui lui non avesse ben performato. Anche questo è di Nicolò Martinenghi. Il campione gentile che non entrerà mai in nessuna polemica. Neppure quella fra l’eclettico campione azzurro, l’amico Ceccon, e la divina per antonomasia del nostro nuoto, Federica Pellegrini. Ecco, Martinenghi vuole farsi scivolare tutto addosso come l’acqua clorata sulla propria pelle. Non significa non abbia opinioni, o non si sia imbattuto in momenti no, o che ancora non sia stato investito da paure e debolezze. Ne ha avuti eccome dubbi nella lunga preparazione olimpica. Settimane difficili. Il timore di non essere all’altezza dei più forti. Ma alla fine c’era sempre il sorriso per andare avanti. Lo stesso con cui ha risposto agli amici più intimi che lo hanno aspettato al rientro in Italia dopo il successo parigino. Si è sentito perfino qualche coro da stadio nei confronti dei rivali più discussi. Discussi dagli altri, non da Nicolò. Perché nell’animo e sul volto del campione gentile luccicano solo le cose belle. “I suoi orecchini sono la prosecuzione del suo sorriso” garantisce un narratore dello sport come Federico Buffa. E così Nicolò Martinenghi è pronto ad andare avanti, almeno fino ai Giochi di Los Angeles.