Cosa ci insegna la squalifica del Settebello

Clamorosa non è forse il termine corretto perché il clamore solitamente è associato alla sorpresa e di sorprendente in questa squalifica c’è davvero poco. Perché? L’Aquatic Sport Integrity Unit non poteva permettere che si creasse un pericoloso precedente. Non siamo certo a Smith e Carlos con la mano guantata di nero a Messico ’68 ma in primis il CIO e in seconda battuta gli organi giudicanti non possono accettare la possibilità di vedere una squadra, o un singolo atleta, che volta le spalle agli arbitri durante l’esecuzione degli inni nazionali. E nemmeno che una squadra decida di tenere un comportamento eversivo auto-infliggendosi una penalità . Torniamo un istante ai fatti. L’Italia ha subìto una delle più clamorose ingiustizie degli ultimi decenni. La decisione di annullare il gol di Condemi, di espellerlo e di assegnare un rigore contro gli azzurri fa apparire equilibrato l’arbitraggio di Byron Moreno contro la Corea del Sud ai Mondiali di calcio del 2002. La revisione Var ha aggiunto errore a errore. L’utilizzo di mezzi tecnologici non degni del livello della competizione è qualcosa di inaccettabile. Che di errore, duplice, si sia trattato è reso palese da quel che è accaduto dopo la partita tra ricorsi e controricorsi. Senza dimenticare la non squalifica di Condemi per la partita successiva. Come a voler dire: ok, c’è stato un errore ma non possiamo rifarvi giocare la partita. Il dispositivo della squalifica della squadra azzurra, una punizione collettiva che per certi versi è un ulteriore unicum e allarga le responsabilità a tutti i membri del team mettendo insieme anche chi magari era semplicemente a smaltire la rabbia sotto la doccia, aggiunge però alcuni capi di imputazione, e poi di condanna, relativi a fatti che noi non abbiamo potuto vedere. Cosa sia accaduto nella zona esterna agli spogliatoi lo possono sapere solo i protagonisti. Quattro anni di lavoro gettati via per un errore arbitrale grossolano sono un fardello che nessun atleta può accettare a cuor leggero. E’ anche vero che nonostante quel danno l’Italia avrebbe potuto vincere la partita e in quel caso il successo avrebbe posto la stessa fattispecie sotto una luce diversa. Sandro Campagna, uomo di grande esperienza al quale per il suo passato vien difficile contestare l’assenza di spirito olimpico, ha detto con forza che respinge ogni accusa di aggressione fisica. Possiamo credergli? Sì, dobbiamo credergli. Ha dato la sua parola, è uomo la cui storia parla abbondantemente per lui. E che non merita, lui come i giocatori, una macchia del genere. Che la nostra Nazionale fosse furibonda dopo la partita appartiene alla logica del momento, che qualcuno abbia esagerato è ampiamente probabile. Che qualcuno cercasse giustizia e sia incappato nella tentazione della vendetta è qualcosa che Campagna ha smentito. E in questi casi una smentita non è una notizia data due volte ma è un preciso monito: puniteci ma non fateci passare per violenti. La questione ora è chiusa. Lo è perché l’Aquatic Sport Integrity Unit ha ottenuto quel che voleva, ovvero infliggere una condanna che fa giurisprudenza ma che non penalizza più di tanto gli azzurri. Che perderanno la World Cup di gennaio, non la Coppa del Mondo alla quale sono già qualificati, e forse proprio da questa sentenza troveranno una motivazione in più per tornare a vincere. La nostra Federazione non proponendo ricorso ha già fatto capire di non voler andare oltre. Va detto che la stessa Federazione nel comunicato post-sentenza ha omesso di citare le contestazioni legate alla presunta aggressione ad arbitri e commissari. Probabilmente è mancata una figura, umana, che in quei concitati istanti fosse in grado di fare da camera di compensazione tra la squadra e il collegio arbitrale. Una figura che non può essere quella di allenatore e giocatori, troppo coinvolti emotivamente e fisicamente. Qualcuno che riuscisse in primis a dirottare la rabbia altrove e in seconda battuta che sapesse politicamente consigliare il team prima e durante la partita successiva. Quei dirigenti di una volta che con autorevolezza, prima che con autorità, erano in grado di attrarre su di loro la responsabilità di una decisione. Capaci poi di essere ascoltati nelle stanze del potere. La vecchia e mai troppo rimpianta realpolitik che avrebbe evitato proteste troppo eclatanti e successive purghe.