Federica Brignone, la campionessa che sente la neve

Eppure sentire. Poi c’è da fare: per aggiungere un chilometro di velocità, un centimetro alla piega verso la radenza, per togliere un centesimo a una curva. ‘Fare’ è l’imposizione del mestiere , farlo al massimo è il chiodo nella testa del campione. Ma bisogna sentire. Con i piedi e sotto i piedi. Quello è lo sci. Lo disse Federica , seduta fra Federico e Federico nell’intervista di settembre a Sky Sport, prima che iniziasse la stagione che adesso si conclude: Federica Brignone ha vinto la Coppa del mondo generale, la seconda e più appagante e piena dopo quella nella stagione mutilata dal Covid, ed è senza dubbio la più forte sciatrice in circolazione. “Io sento tutto. Lo sci è il mio piede”, così sente la velocità, la neve, la consistenza, l’insidia, la possibilità. Poi quegli attrezzi devono prendere velocità, e allora dalla tecnica, dalla sensibilità si passa altrove: “Diventa uno sport quasi totalmente mentale: solo la testa ti porta a fare le cose cercando velocità”, vincendo gli attriti della fisica e della psiche, le resistenze della neve e delle emozioni. Brignone - si sa - viene da una famiglia di sciatori: la mamma Ninna Quario fu campionessa dello slalom speciale , il padre Daniele è istruttore, il fratello Davide era un atleta promettente ma gli infortuni lo hanno dirottato al ruolo di allenatore della sorella, “e da quando c’è lui le cose sono cambiate, Federica è cresciuta in consapevolezza” racconta la madre, anche lei nell’ultimo triennio più vicina alla figlia, così da farle vivere una staff al tempo stesso competente e solidale. Avere il suo gruppo di lavoro è stato decisivo per scaricare a terra tutto il talento e per tenere in pista tutta la determinazione. “Io sono una che non salta un allenamento, non accetto di non aver dato tutto, ogni giorno. E tutto non basta: serve il meglio. Mi devono fermare”. Da un gruppo dedicato si drenano tutte energie che vanno nella stessa direzione, e si possono condividere ansie senza la paura di essere incomprese. Per capirsi: Mikaela Shiffrin ha uno staff dedicato da quando era minorenne. Quando diventi una campionessa arrivano i microfoni e i taccuini, ogni recesso diventa pubblico, come il lavoro con l’ipnosi che Federica ha ammesso di aver fatto nell’estate del 2019 per combattere le pressioni tipiche del perfezionismo e di aspettative crescenti, perché quando le cose prendono il verso giusto non gareggi più solo per te stessa ma anche per un popolo sempre più vasto di tifosi, davanti a un plotone sempre più corposo di interessati e dunque sempre meno competente, così da doverne sentire troppe, spesso fuori traiettoria. C’è questo pensiero che spiega bene cosa sia la ‘pressione’: “Ora ho più paura di non fare le cose giuste in pista e buttare via il lavoro fatto, è questo che temo e non la velocità o il ghiaccio, anzi”. La campionessa ormai domina - perché sente - quello che scorre sotto i piedi e il legno e il titanio. Ma la musica che gira intorno è diversa, ingovernabile, è un patto, a volte serve davvero un maledetto muro per non sentirla. A volte è stonata, come quando un Paese che esalta la narrazione solo nella rivalità, nella tifoseria, nella divisione, e un sistema mediatico che è convinto di vendere solo polemiche, contrappone le due campionesse finché - finalmente - tutto non è annaffiato a spumante, un passo oltre la pubblica sopportazione oggi meglio recitata che in altri tempi. Ma qui siamo già alla fine. Primo occorre sentire. Quell’imprecisa speranza che la piega sia sostenuta dall’attacco, che quello scostamento dalla traiettoria ideale non danneggi il tempo, la decisione simultanea su quel palo da tagliare o l’altro da aggirare. Sentire quella neve che ieri era diversa, e cambia sotto al piede. Sentire il piede nudo su quella neve quando invece è mediato da: uno scarpone di plastica rigida, una suola di gomma dura, un attacco, un attrezzo di diversi materiali. Eppure sentire. Quel senso di sé. Eccolo il centro del racconto, c’è un po’ di musica, un paio di canzoni riconoscibili: sciare è cantare, è suonare uno spartito esatto, trovare il ritmo delle porte con lo strumento che serve, un fiato sincopato che slalomeggia, un violino che si distende nella curva pastosa di un Gigante, l’adrenalina elettrica al cancelletto della Discesa che risucchia come un assolo rock suonato nella più febbricitante trance agonistica. Ogni disciplina ha il suo rumore ma lo sci intero è musica, sciare a far suonare gli strumenti, accordare la tecnica e il coraggio con il corpo e con l’attrezzo e con la neve: la sciata di Federica è proporzione eufonica, è armonia potente, si muove dentro le note governate dal direttore d’orchestra che è un filo intessuto dalla sua storia, dalla sua genetica, dalla scelta di andare in montagna fatta dalla famiglia , dalla tecnica, dal lavoro, dalla passione sconfinata, dalla sopportazione della fatica, dai consigli competenti di uomini e donne che il destino ti ha offerto e che ti sei scelta, dalla sciolina passata, dalla lamina affilata, dal corteggiamento con l’errore, con la caduta, che è la necessità della prestazione. Invece non cade: arriva e vince. Perché Federica Brignone sente la neve.

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