Sofia Goggia: la forza della velocità, l’elogio della fragilità

Sugli sci ama e insegue la velocità estrema ma nella vita di tutti i giorni cerca e apprezza la lentezza. È il dualismo che governa il mondo di Sofia Goggia, prima azzurra a vincere un oro olimpico nella discesa libera , protagonista di una carriera fatta di luci e buio, grandi ambizioni e umane fragilità. Nata a Bergamo e cresciuta sulle piste di Foppolo, già a nove anni scriveva che il suo obiettivo era vincere le Olimpiadi di discesa libera. Lo sci ‘dei grandi’ la scopre nel 2013, quando ai Mondiali di Schladming sfiora il podio in Super-G, nella gara in cui il suo idolo di ieri e di oggi, Lindsey Vonn, cade rovinosamente riportando un grave infortunio al ginocchio. Quella gara è considerata il suo primo grande exploit internazionale, da lì la sua progressione come atleta è costante. Sofia diventa la sciatrice che domina l’aria: posizionamento perfetto, istinto feroce e capacità di creare velocità – condizione per lei esistenziale – che la rendono una delle discesiste più consistenti della sua generazione, come racconta anche il suo palmares, che tra i vari trofei espone, oltre all’oro a Pyeongchang 2018: l’argento a Pechino 2022 e le quattro coppe di specialità vinte nel 2018, 2021, 2022 e 2023. Dopo ‘23 giorni. Il miracolo di Sofia Goggia’, il docufilm prodotto da Sky nel 2022, che racconta l’impresa della sciatrice azzurra dall’infortunio nel Super-G di Cortina alla medaglia olimpica di Pechino, Sofia Goggia torna a raccontarsi a Sky Sport, stavolta nel salotto di Federico Buffa Talks, nella puntata in onda da venerdì 26 dicembre su Sky Sport, anche in streaming su Now e disponibile on-demand. In questi tre anni, nella testa e nello sci di Sofia alcune cose sono cambiate, migliorate o in evoluzione, altre invece sono punti fermi che non cambieranno mai. Uno di questi è la devozione verso l’Olimpiade, che per lei resta la massima espressione dello sport, la somma ambizione di ogni atleta, perché vincere significa scrivere il proprio nome sulla pietra, e gareggiare a Cortina, un luogo per lei ricco di significato, ha un valore inestimabile: "Quando parlo di Cortina – racconta – parlo di un'immagine che è indelebile nella mia testa, nel mio cuore e nella mia anima, l'immagine dell'alba che sorge mentre si va a fare la ricognizione con la vecchia seggiovia a tre posti, con il sole che illumina di arancione le Tofane. E tu sali piano piano, in questo silenzio, circondato dalla bellezza del creato. Quella per me è la poesia di Cortina, qualcosa di magico e trascendentale". A Milano-Cortina 2026, Sofia arriva con una consapevolezza di sé nuova e più matura, come atleta e come donna. Il terribile infortunio del 2024, frattura di tibia e malleolo durante un allenamento a Ponte di Legno, con il successivo blackout mentale e la paura che la sua carriera fosse finita, sono lo spartiacque tra la Sofia che inseguiva la perfezione e la Sofia che ha riscoperto sé stessa. "Ci sono state giornate – racconta – in cui mi alzavo, mi guardavo allo specchio e avrei voluto rompere lo specchio perché pensavo a quanto mi odiavo per essere ancora una volta in quella situazione. Mi sono chiesta tante volte come sarebbe stata la mia carriera se non fossi incappata in così tanti infortuni. Allo stesso tempo, però, mi dico che probabilmente non sarei la persona che sono ora e che le tante difficoltà sono anche la prova della mia forza". Per Sofia, le giornate migliori non solo come atleta ma anche come persona, sono quelle in cui si alza con addosso un profondo senso di gratitudine nei confronti della vita, per la possibilità di fare ciò che desidera. "Coltivare questa emozione – spiega – è una cura e un balsamo per l'anima nella vita quotidiana, perché quando sono grata mi sento in pace con me stessa. Ma c’è stato un momento in cui non riuscivo più a farlo, perché ero dilaniata da mille domande. Quando poi ho accettato l'infortunio, seppur con molta fatica, e ho visto che ne sarei potuta uscire, ho avuto la forza di abbandonare quell'ossessione che mi logorava interiormente nella testa e nel cuore, e abbracciare la grazia che era conseguita dall'incidente. È un cambio di veduta molto difficile da fare ma nel momento in cui lo fai, ti senti sollevato". Questo è uno dei cambiamenti di prospettiva che meglio spiega il nuovo approccio di Sofia a sé stessa e allo sci, frutto di un lavoro mentale profondo e ancora in corso, sulla necessità di non legare il proprio valore al risultato. "L'errore più grande che gli atleti possono fare – spiega Sofia – è sentire di valere come esseri umani solo ed esclusivamente in funzione del raggiungimento di un obiettivo. Bisogna invece leggere il paradigma al contrario: proprio perché tu sai di valere sai che puoi raggiungere un determinato risultato, ma se nel raggiungimento del risultato metti la disperazione di essere legittimato a livello esistenziale, è un problema. Spesso nella mia carriera mi è capitato di voler vincere una gara per affermarmi come persona”. Saranno proprio questa raggiunta maturità e l’esperienza, oltre a uno sci tecnicamente più completo ed efficace, l’arma in più di Sofia verso i Giochi di Milano-Cortina. Nonostante visualizzi il tracciato di gara più volte al giorno, non vive Cortina come ossessione e si avvicina all’Olimpiade con la stessa filosofia di Alberto Tomba, che ai Giochi di Albertville '92 disse: "Se sono Giochi, allora giochiamo". E mentre coltiva la solitudine come componente intrinseca della sua vita da atleta, non un vuoto da colmare, ma fondamentale per la sua concentrazione, è consapevole che la sua forza non è più solo la velocità ma anche la capacità di attraversare tempeste interiori senza smarrire la propria identità e riuscire a trasformare la pressione in emozione. È sempre la bambina determinata che voleva vincere l’Olimpiade ma è anche la donna capace di guardarsi allo specchio con sincerità, che ha saputo trasformare il dolore in consapevolezza e non ha mai smesso di lottare per proteggere il suo spazio e la sua voce.

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Valentina Campus