Quanto ci mancherà Johannes Boe

Non capita spesso che i più grandi sportivi di ogni tempo si incrocino durante la propria carriera: Pelè, Maradona e Messi non si sono mai affrontati su un campo da calcio; Wilt Chamberlain, Michael Jordan e LeBron James non hanno mai palleggiato sullo stesso parquet. Quando capita, ci si accorge che si sta assistendo a qualcosa di straordinario. Il 13 marzo 2016 nel mondo del biathlon è uno di quei giorni. Lo scenario è quello regale di Holmenkollen, la collina a nord di Oslo fiore all’occhiello del circuito internazionale dello sci nordico, una parte inscindibile della cultura scandinava in generale e norvegese in particolare. Il biathlon formalmente non è parte delle discipline dello sci nordico , ma la combinazione di sci di fondo e l’adrenalina del tiro con la carabina, una scientifica versione moderna della caccia sugli sci preistorica, ne fanno una delle attività più amate da parte dei padroni di casa. E proprio il più grande beniamino del pubblico è lì presente: a 42 anni Ole Einar Bjoerndalen, 94 vittorie individuali in Coppa del Mondo , 8 ori olimpici e 20 ori mondiali – l’ultimo dei quali conquistati pochi giorni prima nella staffetta – è indubbiamente il re della disciplina, un vecchio leone ancora capace di tenere testa ai giovani di cui ha il rispetto assoluto. I Mondiali di Oslo Holmenkollen 2016 sono però quelli di un altro campione, in quel momento in piena corsa per la quinta Coppa del Mondo generale consecutiva , viene dai Pirenei francesi e ha seguito le orme del fratello maggiore per finire poi a innamorarsi di questa disciplina: il suo nome è Martin Fourcade, ha quattordici anni meno di Bjoerndalen ed è l’unico, da quando è apparso sul palcoscenico del biathlon, ad aver cercato di sferzare lo status del re norvegese. Il grande sogno di Fourcade è quello di vincere tutti gli ori individuali a disposizione in quel Mondiale: ha già vinto la sprint, con ampio margine, e con quel margine ha vinto anche la prova a inseguimento, sempre davanti al rivale di una vita; pochi giorni più tardi ha fatto sua l’individuale, rispondendo agli attacchi dei precisi cecchini austriaci e ora gli resta solo la mass start – la partenza in massa riservata ai 30 migliori biathleti del circuito da affrontare su un circuito di 2.5 km ripetuto per cinque volte con quattro poligoni nel mezzo –, di cui è stato oro olimpico a Vancouver 2010, per completare un qualcosa mai visto prima, paragonabile solamente ai quattro ori in quattro gare disponibili di Bjoerndalen a Salt Lake City 2002. Il 13 marzo, giorno conclusivo delle fatiche mondiali, Fourcade commette un errore al primo poligono a terra ed è costretto a un giro di penalità, nel secondo giro è impeccabile e a metà gara si porta a 10 secondi di distacco dalla testa. Nel terzo giro un giovane norvegese dai capelli rossi e gli occhiali a specchio prova a dettare un ritmo duro sugli sci e screma il gruppo, ma commette un errore nel primo poligono e sia Fourcade che Bjoerndalen ne approfittano per portarsi in testa. I due, con l’ultimo decisivo poligono da affrontare, non forzano immediatamente sugli sci, il che consente a un gruppo di nove atleti di rimanere in testa alla gara, ma sull’ultima salita prima della discesa che conduce al poligono di tiro Fourcade realizza l’azione che appare decisiva. Il francese prende qualche metro e arriva in prima piazzola per sparare, è tutto nelle sue mani, o meglio, nel suo occhio destro che guarda nel mirino quei bersagli di undici centimetri e mezzo di diametro posti a cinquanta metri di distanza da colpire dopo aver percorso già 12 chilometri e mezzo sugli sci. Al suo fianco arriva Bjoerndalen, ma Fourcade è rapidissimo e, soprattutto, preciso: cinque colpi andati a segno. Meglio non poteva fare, meglio non poteva gestire la gara forse più importante della sua carriera. Alle sue spalle, del gruppo degli otto atleti che aveva seminato su quella salita sbagliano quasi tutti: Lesser, Eder, Bailey, Shipulin, anche l’azzurro Dominik Windisch che tre anni dopo in una mass start mondiale, nella bufera di Ostersund in Svezia, realizzerà un’impresa mettendosi al collo la medaglia d’oro. Non sbaglia Bjoerndalen, che quando conta l’esperienza nel trovarsi in certe situazioni non è secondo a nessuno, non sbaglia l’ucraino Semenov e non sbaglia quel giovane norvegese dai capelli rossi che al poligono era entrato per nono e ne è uscito terzo. Quel ragazzo deve ancora compiere 23 anni, ha la stessa età del fratello Tarjei quando nel 2011, ai primi Mondiali della carriera, quelli di Chanty-Mansijsk nella profonda Siberia russa, strabiliò il mondo vincendo tre medaglie d’oro e tre medaglie di bronzo, ma di cui fin da subito si disse: “Formidabile questo ragazzo, è un campione, ma non avete ancora visto il fratello minore”. Eccolo il fratello, qui nella bolgia di Holmenkollen che ancora prima che la telecamera lo possa inquadrare ha superato Bjoerndalen e si è portato in un batter d’occhio a chiudere quel margine di poco più di sette secondi che lo divideva da Fourcade e trecento metri dopo il poligono è già davanti a tutti, mentre Bjoerndalen non riesce mai a ricongiungersi alle code dei due, condannato in questa storia a essere l’Achille che prova ad avvicinarsi alla tartaruga senza mai raggiungerla. Gli ultimi chilometri sono antologia sportiva: Fourcade si incolla agli sci dell’avversario cercando di sfruttare ogni centimetro di scia, a poche centinaia di metri dal traguardo si affianca, ma non può nulla contro il decisivo affondo sull’ultimo pendio del norvegese dai capelli rossi che, tra le urla del pubblico e l’incitamento di tutti i tecnici sulla pista, si invola verso il successo. Johannes Thingnes Boe ha appena vinto l’oro nella mass start iridata di Oslo Holmenkollen 2016 davanti a Martin Fourcade e Ole Einar Bjoerndalen. Emozioni 'regali' Le emozioni sono la cosa più personale che possa esistere ed è quindi impossibile stabilire con un metro unico se quella sia stata la gara più spettacolare di sempre. In quel momento, come capiterà un anno più tardi sul podio dell’inseguimento di Hochfilzen, sempre Campionati mondiali, ai primi tre posti ci sono il passato, il presente e il futuro del biathlon. C’è il ‘Re’ Bjoerndalen, c’è ‘Monsieur Le Biathlon’ Fourcade e c’è ‘JTB’, che rispetto agli altri due deficita forse per quanto riguarda la pomposità del soprannome ma non certo per pagine scritte nella storia della disciplina. Non può esistere un podio più regale. Quando il 18 gennaio 2025 Johannes Boe, alla vigilia della tappa tedesca di Rupholding di Coppa del Mondo, annuncia il ritiro al termine della stagione, lascia ancora una volta il mondo a bocca aperta. Decide di salutare da grande, da vincente, da giovane prima ancora di poter raggiungere in ogni numero di successi gli altri due, un traguardo che simbolicamente gli avrebbe riconosciuto l’indiscutibile titolo di ‘Goat’ ma che, forse, può già vantare nel cuore delle migliaia di persone che si sono avvicinate al biathlon guardando le sue imprese. “Sento di dover dare priorità alla famiglia”, un semplice messaggio con il sorriso sulle labbra di un uomo da sempre legato agli affetti più cari, ancora di più da quando con la moglie Hedda la famiglia si è allargata con le nascite di Gustav e Sofia. La sua storia Ripercorrere la carriera di Johannes Thingnes Boe non è semplice senza cadere in un lungo elenco di numeri. Nato a Stryn, una località persa tra i fiordi e la natura dove è nato, tra gli altri, anche il calciatore Tore André Flo, si nota fin da subito che ha le stigmate per diventare un campione assoluto. Come Dag per Ole Einar Bjoerndalen e Simon per Martin Fourcade, anche il piccolo Johannes inforca gli sci e imbraccia la carabina per seguire le orme del fratello maggiore, Tarjei, anche lui all’addio al circuito al termine della stagione. Rispetto agli altri due ‘fratelloni’, biathleti di buon livello, la carriera di Tarjei Boe è quella di uno straordinario campione, capace di vincere 59 gare di Coppa del Mondo e ventotto medaglie mondiali tra prove individuale e a squadre, oltre ad una sfera di cristallo generale e cinque coppe di specialità. Inevitabile, però, quando il tuo fratellino che hai sempre visto crescere si trasforma nel più grande talento che il tuo sport abbia mai visto, rischiare di essere messo leggermente in disparte e diventare ‘fratello di’. Per tredici volte Johannes e Tarjei hanno confezionato una doppietta mettendo alle spalle tutto il resto del mondo, ma, a eccezione dell’inseguimento a Nove Mesto nel 2021, ad arrivare davanti è sempre stato il piccolo. Il rapporto che corre tra i due, e che si è sempre visto in pista, è forse la cosa migliore per delineare i personaggi, specie JT che, per nobiltà di palmares, è il protagonista di questa storia. Sempre uniti, sempre insieme, legati a casa e al concetto di focolare domestico tanto da decidere di ritirarsi a pochi mesi dai Giochi Olimpici di Milano-Cortina perché, da parole di Johannes nella sua conferenza d’addio: “Il piano era quello di continuare un altro anno, ma l’impegno olimpico richiederebbe ancora di più anche alle persone che mi circondano”. Il fenomeno norvegese ha spesso avuto la forza di uscire dai canoni dello sportivo totalmente focalizzato sulla attività, ma non ha mai avuto difficoltà nel rinunciare ad alcune vittorie e trofei assicurati per fermarsi, tornare a casa e aiutare la moglie Hedda nella crescita dei figli, mostrando e promuovendo un ideale di padre-marito-atleta molto spesso non considerata. Johannes e Tarjei Boe sono stati tante volte complici vincenti di staffette norvegesi che potevano schierare il meglio che il circuito avesse a disposizione, ma Johannes Thingnes Boe è stato molto spesso, semplicemente, più forte della squadra più forte. Una volta giunto in Coppa del Mondo, non ha saputo far altro che vincere: i primi nove podi individuali della sua carriera sono state delle vittorie, a partire dalla doppietta sprint-inseguimento ottenuta in casa di Fourcade, sulla pista francese di Le Grand-Bornard , nel dicembre del 2013, passando per la gara sprint dei Mondiali di Kontiolahti in Finlandia nel 2015, il primo di ventitré ori iridati su un totale di 43 medaglie . Nel 2018 Johannes Boe ha conquistato il primo oro olimpico nell’individuale di Pyeongchang, il vero esame di maturità che lo ha accompagnato all’esplosione definitiva dell’anno seguente: nella stagione 2018-19, a venticinque anni, per Boe arriva la prima coppa del mondo generale e a quella, al termine di un’annata da sedici vittorie individuali , aggiunge le coppe di specialità di sprint, inseguimento, individuale e mass start. En plein, come riuscito a Fourcade per quattro volte e a Bjoerndalen per una. Quella è la prova definitiva: se i successi, le medaglie e la mass start di Holmenkollen 2016 non fossero stati abbastanza, ecco la consacrazione del sapere di appartenere a quel circolo esclusivo. Chi è il migliore? I numeri, in questo caso, non daranno mai un responso definitivo: alcuni premiano Bjoerndalen, altri Fourcade e altri ancora Boe, capace, ad esempio, tra i Mondiali 2023 e 2025 di conquistare diciannove medaglie su ventuno disponibili. La verità è che questi fuoriclasse hanno contribuito a creare e irrobustire movimenti di assoluta qualità nei loro Paesi e permesso al biathlon di crescere. Alle spalle di Johannes e suo fratello Tarjei la Norvegia ha costruito la squadra maschile più forte che il biathlon abbia mai visto, lasciando ora il testimone a Sturla Holm Laegreid, vincitore della sua prima Coppa del Mondo quest’anno, Vebjoern Soerum, Martin Uldal e l’ancor più giovane Isak Frey. La Francia, super potenza nel settore femminile, alle spalle di Fourcade ha costruito bene anche tra gli uomini: Quentin Fillon Maillet è stato l’unico, nel 2021-22, capace di imporsi nella classifica generale dell’era Johannes Boe e sfoggia due ori olimpici al collo, Émilien Jacquelin è stato per due anni kryptonite di Boe negli inseguimenti del campionato del mondo, e il classe 2001 Éric Perrot è destinato a un futuro brillante negli anni a venire, insieme ai norvegesi sopracitati e l’azzurro Tommaso Giacomel. Johannes Thingnes Boe lascia il biathlon dopo cinque Coppe del Mondo generali, 91 vittorie individuali in Coppa del Mondo , otto medaglie olimpiche, tra cui cinque ori, e quarantatré medaglie mondiali, tra cui ventitré ori . Come nove anni fa, è stato ancora una volta il palcoscenico di Oslo Holmenkollen a rendere il meritato tributo a colui che è stato, se non il più grande di tutti i tempi, uno dei primi tre capaci di sedere sulla vetta dell’Olimpo di questo sport. È stato un onore vedere Johannes Thingnes Boe.

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Nicolò Gatti