Il romanzo della Coppa America

Barche all’ancora, una leggera foschia nel canale del Solent, apertura ventosa verso la manica e la Francia, nel sud dell’Inghilterra. Il piccolo porto di Cowes è in fermento. Una sfida insolita, mai vista finora, 14 yacht britannici contro una goletta americana, giunta dagli Stati Uniti e iscritta alla regata dal New York Yacht Club. Una regata per festeggiare l’esposizione universale di Londra, 53 le miglia da percorrere per il periplo dell’isola di Wight. Da Cowes, dove ha sede il Royal Yacht Squadron, lo yacht club organizzatore, a destra nel Solent lasciando a sinistra Portsmouth e andando verso Osborne uscendo poi nella manica e le sue correnti, poi la punta più a sud di St. Catehrine, Freshwater bay, per rientrare nel Solent con il difficile passaggio delle Needles, scogliacci e secche che delimitano la tranquilla Alum bay con successivo arrivo al largo di Cowes. In palio una semplice Coppa, una brocca, The Auld Mug di 81 centimetri e del peso di poco inferiore ai 4 kili, dal costo di 100 ghinee, pari a circa 105 sterline attuali, certamente non cara. Questo trofeo in argento fu realizzato nel 1848 dalla ditta Garrard in Panton Street nel West end, da poco diventati gioiellieri della Corona , la Coppa fu acquistata dal marchese di Anglesey, William Paget, e donata al Club di Cowes come regale premio per la regata. La regina Vittoria è sul posto con lo Yacht Reale Victoria & Albert ed una barca appoggio il Fairy. Nel Solent vi erano già una moltitudine di imbarcazioni, alcune in attesa dell’uscita dei 14 velieri britannici ed America altre distribuite lungo il percorso nei punti cruciali dell’Isola. Le cronache narrano anche che due yacht inglesi avevano incrociato apposta la goletta straniera durante il viaggio di avvicinamento all’Inghilterra ed avevano provato, mettendosi di lato, ma a distanza, la sua velocità e non erano assolutamente rimasti impressionati… tanto da essere tutti fiduciosi di una rapida soluzione. Esattamente 173 anni fa, il 22 agosto del 1851, alle ore 10.00 del mattino, il colpo di cannone, su le ancore e via… lato destro e buona navigazione… confusione enorme. Già quattro velieri inglesi sono in difficoltà, Arrow finisce sugli scogli e Alarm lo soccorre, mentre Freak e Volante sono fuori gioco per una collisione. Confusione che ha condizionato sin da subito anche il comitato di regata, sarà stata anche la presenza della Regina, tanto che America passò la prima boa a sinistra anziché a destra, era tutto automatico e naturalmente ovvio per gli inglesi quel passaggio obbligato della Torre di Nab, certamente no per chi dovesse farlo per la prima volta. Avanti così. Tutto questo è scritto e raccontato da Magnus Wheatley, un giornalista dell’isola di White, assolutamente malato di Coppa sin da quando fu inviato all’edizione del 1987 in Australia a Fremantle e ripreso dal bravo collega Fabio Pozzo sulla Stampa. Wheatley ha pubblicato, da poco, “There is no second”, 200 pagine proprio sulla prima regata e soprattutto sull’iconica frase che ha fatto la storia e che dà il titolo alla sua opera. Quella frase, con cui praticamente si apre ogni sfida, trova finalmente una reale e concreta spiegazione e rivela altre particolari che solo un reale studioso di carte dell’epoca ed archivi reali poteva trovare. Una meraviglia. Tutto nasce da chi segnala e dove si trova. Sul Vascello della regina c’erano due segnalatori e su quello di appoggio uno, ed è proprio quest’uno che parte tutto. Il Fairy era al largo del passaggio dei Needles mentre la Regina si era rifugiata e ridossata ad Alum Bay. Alla richiesta di notizie da parte dello Yacht reale il segnalatore sul Fairy, rimanendo molto al largo, segnalò unicamente il passaggio di America senza vederne altri, soprattutto i più piccoli cutter come Aurora che navigava molto più stretto. “Chi è primo?”, richiesta da chi armeggiava con le bandiere sul Victoria & Albert, risposta del segnalatore sul Fairy “America”, tutto questo veniva poi riferito dal segnalatore più anziano alla Regina, e… “chi è secondo?” …altre bandiere e dal Fairy la lapidaria risposta “There is No second”, poi ingentilita con “Ah Your Majesty, There no second”. Sul nessuno vi erano e vi sono dei grandi dubbi, la realtà è che a passare la linea del traguardo per primo fu la barca irlandese Wildfire ma non era iscritta e finì ufficialmente fuori gara. Arrivarono quindi lo Schooner americano e poi la piccola Aurora, che arrivò a soli 8 minuti: 20 e 37 America, 20 e 45 Aurora. Oggi, in tempo compensato, avrebbe stravinto: 171 tonnellate di stazza per gli statunitensi e appena 47 per i britannici… praticamente in scia, altro che non c’è secondo, soprattutto per come aveva recuperato nella seconda parte con brezze leggerissime e rotta precisa sotto costa. Ormai segnata da quella benedetta frase, quando poi di distacchi nel proseguo di Coppa furono anche abissali: dai 38 minuti e 54 secondi dei canadesi di Atalanta contro Mischief, record negativo nel 1881, ai tempi recenti con l’assurda sfida del 1988 tra i 37 metri dei neozelandesi del miliardario Michael Fay e il veloce catamarano di 18 metri di Dennis Conner di 18 metri e oltre 20 minuti fra i due contendenti. Grande interpretazione del Deed of Gift, regolamento, stilato dai Defender del NYYC nel 1857, 240 parole e continuamente modificato ad uso e consumo del detentore… non era specificato, in quell’occasione quanti scafi potesse avere la barca ed ecco allora nascere il catamarano, due scafi. Giusto per ricordarlo spesso la Coppa America si è giocata in aule di tribunale a colpi di avvocati e stesure di 'pseudoregole'. Tornando a quel 22 agosto e a quella straordinaria lunga giornata velica, può essere chiusa per passare alla storia con la vittoria di America e la consegna della coppa delle 100 ghinee al commodoro Jhon Cox Stevens e addio isola di Wigth e le sue innumerevoli storie, anche perché gli inglesi ci provarono non poche volte a riprendersi la Coppa ma non ci riuscirono mai e l’ultima volta che si batterono per l’America’s Cup risale al 1964 con Sovereign: 0-4 per Costellation, un 20 metri progettato da Sparkman e Stephens. Gli anni che passano segnano storie e narrazioni diverse che possiamo appena sintetizzare, visto il doveroso spazio lasciato a quella prima giorno di enorme potenza sportiva, ma che comunque vanno accennate e ricordate e poi esplorate in seguito. 1876: le barche partirono invelate e non più alla fonda. 1881: primi match race e con selezioni dei Defender, nelle prime edizioni, 1870 e 1871, lord Ashbury fu sensibilmente penalizzato da continue scelte di barche e cambio di percorso e le sue proteste non servirono a nulla. 1886: su Galatea la prima donna a bordo, la moglie di William Henn. Una meravigliosa barca da crociera con tanto di camino, arazzi, tappeti e tante, tantissime piante gentilmente e furbescamente donate dai soci del NYYC alla Signora Henn, estimatrice del verde, che non fecero che appesantire maggiormente Galatea. Il povero armatore riuscì a sbarcare quella specie di giungla solo all’ultima regata. 1895: il Duca di Dunraven con i suoi Valkirie II e III accusò di frode gli americani, la risposta non si fece attendere e il Duca cacciato con ignominia dalle sale del NYYC di cui era socio onorario. 1920: è l’ultima volta di regate corse nel porto di NY tra Battery park e il New Jersey. 1930: si va tutti a Newport nel Rhode Island, sede estiva del NYYC e fino al 1937 sono di scena i J-Class idea del progettista Nate Herrenshof eleganti mostri di abnorme lunghezza fino ad oltre 40 metri e 35 uomini di equipaggio e, nonostante la crisi del 1929, senza limiti di costi. 1934: Endevour del britannico Sir Sopwith Camel, ingegnere aeronavale inventore del mitico biplano, rischiò realmente di riprendersi la Coppa. Una barca perfetta gestita anche dalla moglie, assai esperta di regate, Phillys e solo delle fantomatiche penalità imposte dai giudici e uno sciopero, spensero ogni tipo di velleità di conquista. Finì 4 a 2 a favore di Rainbow di Harold Vanderbilt e sembrerà strano ma dopo il 2 a zero a favore di Endevour, ecco la richiesta di aver più soldi e dopo il rifiuto si cambiò l’equipaggio con tanti ragazzi volenterosi recuperati in banchina. Addio sogni di gloria. Si arriva velocemente ai 12 metri stazza internazionale, Azzurra per intenderci fino al 1987 per poi cedere il passo all’America’s Cup Class con il Moro di Venezia e le prime Luna Rossa. Infine multiscafi e mono scafi volanti con sempre Luna Rossa… abbiamo voluto però tenere per ultimo, quasi come stretto legame alla storia delle regate un’altra parte di meraviglioso passaggio narrativo, la storia di sir Thomas Lipton e dei suoi Shamrock, ben 5 volte con bandiera inglese ed una volta irlandese, l’uomo del the tentò di vincere ma solo una volta ci arrivò vicino con la numero IV nel 1920 . Cinque sfide in 31 anni assomigliano molto alle 6 in 25 di Patrizio Bertelli, molto simili nell’amore del mare e della vela ma anche nel vedere avanti anche interessi del loro marchio: Lipton e Prada e ai vari mercati aperti per i loro nomi ingigantiti a livello internazionale. Storie affascinanti come quella dello scozzese di origini irlandesi che ha l’intuizione di aprire efficaci drogherie e diventare padrone del mercato del the e sfruttare la grande ricchezza nell’affrontare l’amato sport dove trova terreno fertile - o mare calmo - nell’amicizia con l’erede al trono, il futuro Edoardo VII, tanto da far esclamare sempre a corte da suo padre Alberto alla richiesta di informazioni dove fosse Edoardo… “eh certo, è in barca con il droghiere” una risposta secca come quella del “There is No second”. Ecco una beve e ahimè succinta infarinatura di storia del più antico trofeo di sport al mondo. Manca tutta la parte delle sfide degli anni 80 e 90 con i grandi velisti delle classi olimpiche… sarà il nostro futuro compito e divertimento illustrare la meraviglia di un mondo nautico di bellezza assoluta e fa risplende sempre una Luna Nuova.