Quattro Quinti, il docufilm di Stefano Urbanetti sul calcio per non vedenti

cinema e sport

Michele Mastrogiacomo

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Con un intenso viaggio nell'universo della ASDD Roma 2000, squadra capitolina di calcio a 5 per non vedenti, il docufilm firmato dal regista romano racconta in profondità la realtà del calcio per disabili, attraverso un ritratto intimo e appassionato della dirompente umanità dei suoi protagonisti. Un film che sarà accessibile a tutti, grazie all'audiodescrizione e ai sottotitoli sono presenti gratis su MovieReading

Lo sport, e nello specifico il calcio, come riscatto sociale e affermazione di se stessi. Ma soprattutto come abbattimento di tutte le barriere, fisiche e psicologiche. È questo il forte messaggio veicolato da Quattro quinti, l’introspettivo documentario firmato da Stefano Urbanetti presentato oggi al Festival del Cinema di Roma e candidato nella sua categoria al premio David di Donatello 2024. Un intenso ed emozionante viaggio nell’universo della ASDD Roma 2000, la squadra di calcio a 5 non vedenti della capitale, che proietta l’incredulo e ignaro spettatore in una realtà che in pochi conoscono, quella dello sport per disabili, e lo travolge con l’umanità e la sensibilità dei suoi incredibili protagonisti. Il tutto attraverso una prospettiva intima e sensoriale che penetra nelle profondità della squadra e svela i segreti, le dinamiche, le passioni e i suoni (il pallone è pieno di placche di metallo che lo fanno suonare come una maracas e lo rendono "visibile" ai giocatori) di quell’incredibile evento che è una partita di calcio per non vedenti. 

Il regista Stefano Urbanetti impegnato in una scena con Vincenzo Censi, giocatore dell'ASDD Roma 2000

"Dopo tanti anni ancora non sono riuscito a capire come facciano, ma poi ho capito che il vero disabile ero io”, ripete commosso per due volte Sauro Cimarelli (ex portiere e ora dirigente-allenatore della ASDD Roma 2000) nel corso del documentario, come a sottolineare l’imponderabile abilità di questi ragazzi - alcuni già decisamente uomini - in grado di giocare a calcio pur privi del senso della vista. Ebbene, Stefano Urbanetti, che di questo film ha curato regia, sceneggiatura, montaggio e parte delle musiche, oltre ad averlo prodotto, ce lo fa capire e vedere (è proprio il caso di usare questo termine) in maniera quantomai efficace e brillante. Prima ci fa letteralmente scendere in campo al loro fianco, facendoci percepire il respiro e il battito del cuore dei giocatori e immergendo lo spettatore nel complesso sistema di richiami sonori indispensabili per l’orientamento degli stessi; poi ci descrive, attraverso le loro dirette parole, i sentimenti, le ambizioni e i sogni degli uomini (prima che calciatori) della squadra, raccontando le loro storie cariche sì di difficoltà ma anche di un’indomita voglia di continuare a superarle; quindi, ci proietta all’interno degli spogliatoi e del pullman della squadra ad ascoltare i discorsi motivazionali, le aspirazioni, le gioie e i dolori di Luca Mazza, il focoso ma genuino allenatore della squadra - indispensabile guida e tratto d’unione tra l’impossibile e il reale - capace di portare i suoi ragazzi alla vittoria della Coppa Italia al termine di una stagione che ha visto sfumare lo scudetto per un solo punto (comunque vinto nell’annata precedente). “Ma il vero privilegio e il vero successo è allenare una squadra di ragazzi che non vedono e giocano un calcio del genere”, spiega proprio l'allenatore, l’uomo che insieme a Sauro Cimarelli ha cambiato le sorti del calcio per non vedenti a Roma dopo l’incontro in un torneo in Grecia nel lontano 2001. Da quel giorno i due hanno unito sforzi e passione per dare vita a un progetto che, nonostante la crisi del Covid che ha aggravato una situazione già molto complicata, è sfociata nella realizzazione del loro sogno: mettere in piedi una vera e propria scuola calcio per non vedenti. Un sogno che nel 2019, all’inizio del racconto di Stefano Urbanetti, i due vedevano ancora come una chimera irrealizzabile, ma che sancisce il migliore dei finali possibili per una storia che con coraggio e determinazione ha spalancato al grande pubblico una realtà dai contorni umani dirompenti. 

Un fermo immagine di una partita di allenamento dell'ASDD Roma 2000

Il musicista Rocco (il professore), il fisioterapista Peppe (il bomber) e il capitano Vincenzo (il numero 10); poi Jacopo, che non perde una partita allo stadio, e il giovane Valerio (che poi ritroveremo cresciuto nel finale) che ama tanti sport e non ha paura di niente. Sono loro, i calciatori, i protagonisti di questo racconto di riscatto e gioia di vivere, costantemente accompagnati in questo loro viaggio dagli allenatori Luca e Sauro e dal portiere Mariano. Sono loro i 5 supereori, come lo stesso regista li ha definiti, in grado non solo di continuare a vivere in autonomia la propria vita ma di abbattere ogni tipologia di barriera sociale e ribaltare, grazie alla specificità del calcio, le normali dinamiche dell'universo di un disabile. Un cieco che riesce a segnare un gol a un vedente (in porta infatti giocano persone che non hanno perso il senso della vista, e anche da questo nasce il titolo Quattro quinti), è un qualcosa che stravolge qualsiasi tipologia di prospettiva, costringendo chi vede il film a ridefinire tutti i propri parametri sensoriali e umani. “I protagonisti del mio documentario mi hanno fatto vedere la vita con una diversa luce”, ha raccontato Stefano Urbanetti. “Un progetto che ha avuto una genesi estesa durata ben quattro anni, ma il cui risultato finale è tutto merito dei protagonisti. Io mi sono semplicemente limitato a raccontare la splendida storia del loro vissuto. Sono state persone illuminanti per me. Mi hanno fatto anche andare oltre anche alla depressione. Inoltre, nello sviluppo drammaturgico del progetto sono stato fortunato perché la realtà ha superato la fantasia: l’obiettivo dell’allenatore Sauro, ovvero quello di fare una squadra calcio per bambini, si è avverato. Come nelle migliori storie con un lieto fine”.