"Hanno ucciso l'Uomo Ragno": la leggendaria storia degli 883

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Alfredo Corallo

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In una stagione drammatica per l'Italia, segnata nel 1992 da Tangentopoli e dalle stragi mafiose, due ragazzi di Pavia confezionano uno degli album più iconici della nostra musica, il manifesto di un'intera generazione: che riprende vita in una serie di Sydney Sibilia al via l'11 ottobre in esclusiva su Sky e Now

"Per me limonare era tipo il gol della vita". La tenerezza che alberga sovrana negli occhioni del buon Max - e nei sospironi di tutti noi che eravamo adolescenti negli anni '90 - genera, in effetti, un grande abbaglio: la storia degli 883 è "leggendaria" - come recita il sottotitolo della serie al via l'11 ottobre su Sky e NOW - perché sorge con Non me la menare e tramonta con Chiuditi nel cesso, sguazzando fino all'ultima goccia di birra scura nel brodo primordiale del punk. Quando Mauro, come il "guercio", entra di corsa nella tana del compagno di banco con la novità che Claudio Cecchetto, il boss di Radio Deejay, vuole incontrarli, che la loro cassettina è piaciuta, Massimo non si scompone, non esulta come per una "sventola" all'incrocio di Lothar Matthäus, ma se ne rallegra con l'onestà intellettuale che sempre lo contraddistinguerà: "Allora posso mettere finalmente le mutande di pelle?". Tutto l'album, dal title track Hanno ucciso l'Uomo Ragno a 6/1 Sfigato, Te la tiri, Lasciati toccare, Con un deca è un pamphlet satirico, iconoclasta, velatamente erotico, a tratti demenziale, una rivisitazione in chiave rap-rock alla Beastie Boys from Ticino della scuola bolognese degli Skiantos di Mi Piaccion Le Sbarbine o dei Gaznevada di Mamma dammi la benza.

  • "Tu t'incazzi perché parlo sempre di calcio
  • Dici che fra un po' mi verrà il fegato marcio
  • Perché non ti parlo di tramonti lontani
  • E mangio la pizza solo con le mani"
Hanno ucciso l'uomo ragno: la leggendaria storia degli 883

Certo, a un secondo sguardo, il neo illuminista con la faccia d'angelo Pezzali e il socio bohémien travestito da surfista californiano Repetto devono essersi ispirati alla controcultura di fine '70 emersa dai garage pasoliniani del The Great Complotto e del loro fumettistico 'Stato di Naon', l'avamposto dei marginaloni freak del nord-est che si erano trincerati in una fatiscente palazzina ribattezzata 'Tequila': con una propria bandiera, delle leggi (niente droghe, vietato l'uso dell'orologio, "perché il presente è l'unico tempo possibile e il futuro è i prossimi cinque minuti"), una moneta e addirittura una nazionale di calcio tutta loro. Un universo parallelo autogestito in cui era frequente intravedere ragazzi mascherati da supereroi sbucare dai tombini o barcollare sui tetti per combattere - idealmente - un microcosmo ostile, alienante, e il suo insostenibile provincialismo, nel nome dei Sex Pistols. E se per i 'sognatori' della new wave friulana "Pordenone può essere Londra, ma Londra non può essere Pordenone", rimbalza logica la parafrasi per i nostri due indipendenti della Bassa: "Pavia può essere New York, ma New York non può essere Pavia".

"Resta la soluzione divi del rock

Molliamo tutto e ce ne andiamo a New York

Ma poi ti guardi in faccia e dici dov'è

che vuoi che andiamo con ste' facce io e te

Con un deca non si può andar via

Non ci basta neanche in pizzeria

Fermati un attimo all'automatico

Almeno a piedi non ci lascerà

In questa città"

Max Pezzali e Mauro Repetto
©IPA/Fotogramma
Max Pezzali e Mauro Repetto
©IPA/Fotogramma

Adesso chi ci crede più?

Ma se i fricchettoni dell'avanguardia dadaista di Re Nudo - la rivista underground che gravitava nell'area più libertaria e creativa di quell'ondata rivoluzionaria - erano stati svezzati a eroina e molotov dal Movimento del Settantasette, a noi andò anche peggio in quel 1992 con Tangentopoli e le uccisioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, gli ultimi sceriffi sopravvissuti nel far west di quel Mezzogiorno di fuoco, due autentici paladini della Giustizia, altro che pipistrelli e arrampicamuri. Anche per questo, a distanza di un trentennio, la copertina (che ricalcava il kitsch di Roy Lichtenstein, con una sottile allusione a Diabolik), il riferimento alla 'mala' e il titolo oracolare del disco d'esordio dei due menestrelli pavesi - che uscì il 10 febbraio, qualche mese prima degli attentati - richiama inevitalmente a quell'atmosfera noir, visionaria, profetica, da cronaca di un'apocalisse annunciata. Non passò, infatti, una settimana che Mario Chiesa, il "Kennedy di Quarto Oggiaro" - presidente del Pio Albergo Trivulzio e tra i papabili candidati del Partito Socialista di Craxi alla poltrona di sindaco a Milano - venga sgamato a intascare una bustarella, provocando un effetto domino di arresti che sconquasserà gli equilibri politici e finanziari della Prima Repubblica e accelererà il processo di crisi dello stato sociale, sollevando nell'opinione pubblica una questione etico-morale sui confini tra garantismo e giustizialismo mai realmente risolta. Qualche giorno più tardi, il 12 marzo, il punto di non ritorno: l'omicidio a Palermo di Salvo Lima, deputato della Democrazia Cristiana e capo della locale corrente andreottiana, freddato dai killer di Cosa Nostra con tre colpi di pistola. Una sceneggiatura già letta.

"Alla centrale della Polizia

il commissario dice: "Che volete che sia"

Quel che è successo non ci fermerà

il crimine non vincerà

Ma nelle strade c'è panico ormai

nessuno esce di casa, nessuno vuole guai

Ed agli appelli alla calma in TV

adesso chi ci crede più"

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
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Antonio Di Pietro
©Ansa

Mentre la "rampante" Milano si mortifica fino a strisciare nei corridoi di San Vittore e la Sicilia piange i suoi martiri, a Sanremo si gioca ancora al "paese dei balocchi". Luca Barbarossa vince con la romanticissima Portami a ballare ("Dai mamma dai, questa sera lasciamo qua i tuoi problemi e quei discorsi sulle rughe e sull'età. Dai mamma dai, questa sera fuggiamo via, portami a ballare uno di quei balli antichi che nessuno sa fare più"), ma noi quindicenni sappiamo perfettamente che la verità è ben altra:

"Quando torni a casa alle sei (s'inkazza)

Come una ninja fai le scale (s'inkazza)

Entri con passo felpato ma poi (s'inkazza)

Accende la luce e lei ti assale (s'inkazza)

Questa casa non è un albergo

Lo dice anche papà

Tu te ne freghi non hai rispetto

E neanche la dignità"

Pippo Baudo e "Cavallo Pazzo" a Sanremo '92

Per un brivido, una scarica di 'sano' hardcore, dobbiamo ringraziare -  e te pareva - un irriducibile settantasettino, uno dei leader degli Indiani metropolitani: Mario Appignani, in arte "Cavallo pazzo". Già trascinatore della contestazione al leader sindacalista Luciano Lama alla Sapienza e invasore seriale (ma pacifico) nelle partite della Roma, irrompe sul palco dell'Ariston urlando in faccia a Pippo Baudo "questo Festival è truccato e lo vince Fausto Leali!" (che in realtà si piazzerà 9°). Peccato che in questo clima di "magna-magna generale" (cit. George Weah) neanche l'inviolabile tempio sanremese sarà dispensato dagli avvisi di garanzia della Procura milanese, che si abbattono a grandinate anche sui 'capoccioni' della kermesse. Perciò, in questo assoluto grigiore, acuito a livello internazionale dalla dissoluzione della Jugoslavia e dallo scoppio della guerra in Bosnia ed Erzegovina, gli unici sprazzi di luce trapelano da Oltreoceano, ma sono di uno sfolgorìo abbagliante: le medaglie d'oro di Stefania Belmondo (nella 30km) e Alberto Tomba (slalom gigante) ai Giochi olimpici invernali di Albertville e l'Oscar a Mediterraneo di Gabriele Salvatores per la migliore pellicola straniera. E se la primavera si rivelerà più colorata è grazie a due improbabile salvatori della patria, affiorati dalla nebbia per regalare un raggio di sole alla Penisola in una stagione altrimenti miserabile.

"Dici che fai quasi tutti gli sports 

dal rock 'n' roll acrobatico al golf 

Spesso fai l'intenditore di vini 

sei pure uno chef quando cucini 

Credi di essere uno ricco e potente 

uno che può far tremare la gente 

ed invece tu che cosa sei uno qualsiasi come noi 

Sei uno sfigato ma cosa vuoi 

Sei uno sfigato ma chi sarai mai"

Alberto Tomba
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Max Pezzali e Mauro Repetto
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Hanno ucciso l'Uomo Ragno s'incastra definitivamente nei nostri walkman - per restarci in eterno - nelle prime settimane di giugno, giocandosi lo 'scudetto' del tormentone '92 con Rhythm is a dancer degli Snap, la versione di Please don't go dei Double You e la suadente Mare Mare di Luca Carboni, che trionferà al Festivalbar. Max canta, impalato nel suo chiodo di pelle e in dei tamarrissimi stivaloni incollati ai piedi; al suo fianco, il gasatissimo Mauro - che in Nord-Sud-Ovest-Est virerà esclusivamente sul ballo, cristallizzandosi nell'immortale sagoma del "biondino" - regge un basso, che finge abilmente di saper strimpellare. Sono adorabili, ma per tutti delle meteore designate, quelli da un'estate e via, dei Righeira che non ce la faranno mai. E invece... il 12 settembre conquistano la vetta dell'Hit Parade e persino Walter Zenga, allora il migliore portiere del mondo (nonché idolo dell'interista Pezzali), ne ricaverà il soprannome per averla canticchiata ai giornalisti all'indomani dell'esclusione dalla Nazionale. Per il videoclip dovremo aspettare il 1998, estratto dal film Jolly Blue - un omaggio riuscito male agli anni d'oro delle sale giochi, gli amici del bar, le perle di Cisco, le vasche in centro, i "due di picche" in discoteca - tramandato ai posteri soprattutto per la scelta della produzione di preferire una pischelletta di Non è la Rai ad Angelina Jolie, poi vincitrice dell'Oscar appena un anno e mezzo dopo per Ragazze interrotte. Però, quant'era bella Alessia Mertz? Leggendaria, come la storia degli 883

"Poi chissà cos'è cambiato, forse il tempo che è passato

C'è chi adesso è regolare, c'è chi si sta per sposare

Con le loro macchinette sempre lucide e perfette

Che ci guardano dall'alto, loro han fatto il grande salto

Noi due poveri sfigati, noi non siamo mai cambiati

Sempre il sogno nel cervello di una moto per cavallo

A esaltarci per un niente, basta che sia divertente

Poi chissà chi lo può dire, dove andremo mai a finire"

 

...CONTINUA?

Max Pezzali e Alessia Mertz
©IPA/Fotogramma
Hanno ucciso l'uomo ragno: la copertina dell'album