"Dai! Dalla sconfitta ci si rialza". Il grande insegnamento di Papa Leone XIV

Illuminante, pedagogica e, per certi versi, inattesa. Una fotografia sullo sport alla luce della fede. L’omelia di Papa Leone XIV nella Basilica di San Pietro, in occasione del Giubileo degli sportivi, all’inizio ha sorpreso, poi ha illuminato gli animi e fatto riflettere e, alla fine, ha anche commosso. In pochi minuti, il Pontefice ha confermato tutta la sua passione per lo sport. Una passione che, sicuramente, porterà il Santo Padre a dargli grande spazio nella pastorale della Chiesa di Roma dei prossimi anni proseguendo, in questo, un indirizzo tracciato già da San Giovanni Paolo II. Primo elemento la sorpresa. La celebrazione del Giubileo è coincisa con la Solennità della Santissima Trinità; un dogma antichissimo della Chiesa che si è precisato nel IV secolo con i primi due concili ecumenici di Nicea e Costantinopoli. Per la complessità e l’importanza teologica di questa Verità Indiscussa, alla vigilia, molti si erano chiesti come avrebbe potuto parlare di sport il Papa nella sua omelia. Leone XIV, invece, ha sorpreso tutti i fedeli perché ha affermato: “il binomio Trinità-sport non è esattamente di uso comune, eppure l’accostamento non è fuori luogo. Ogni buona attività umana, infatti, porta in sé un riflesso della bellezza di Dio e, certamente lo sport è tra queste”. Fare una buona attività sportiva ed evidenziare tutti i suoi aspetti positivi fisici e morali può, quindi, donare a ogni uomo la possibilità di riflettere la bellezza di un Dio che è una comunione e una relazione di Amore tra Padre, Figlio e Spirito Santo. “Una danza d’amore reciproco” come ha affermato il Papa e che la teologia chiama ‘pericoresi’. Dopo la sorpresa, l’omelia ha illuminato gli animi con uno squarcio di luce perché Leone XIV è voluto ricorrere a una espressione usata da tutti gli spettatori per incitare gli atleti: “dai!”. Il Papa lo ha definito “un imperativo bellissimo” del verbo dare e ha proseguito così: “non si tratta solo di dare una prestazione fisica, magari straordinaria, ma di dare sé stessi, di giocarsi. Si tratta di darsi per gli altri, per la propria crescita, per i sostenitori, per i propri cari, per gli allenatori, per i collaboratori, per il pubblico, anche per gli avversari”. In questo senso il Pontefice ha voluto ricordare la caratteristica principale di un buon cristiano che sta nella dimensione del dono e del servizio e che Cristo ci ha trasmesso nell’Ultima Cena lavando i piedi dei suoi Apostoli. “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti” . Il terzo momento ha lasciato spazio alla riflessione. Leone XIV ha voluto evidenziare “gli aspetti che, oggi, rendono lo sport un mezzo prezioso di formazione umana e cristiana” e li ha riassunti in tre segmenti in cui ha toccato i limiti e i pericoli di questa società e ha messo in risalto “l’allenamento alla sconfitta”: “In primo luogo, in una società segnata dalla solitudine, in cui l'individualismo esasperato ha spostato il baricentro dal ‘noi’ all'‘io’, finendo per ignorare l'altro, lo sport -specialmente quando è di squadra- insegna il valore della collaborazione, del camminare insieme, di quel condividere che, come abbiamo detto, è al cuore stesso della vita di Dio. Può così diventare uno strumento importante di ricomposizione e d’ incontro: tra i popoli, nelle comunità, negli ambienti scolastici e lavorativi, nelle famiglie!”. “In secondo luogo, in una società sempre più digitale, in cui le tecnologie, pur avvicinando persone lontane, spesso allontanano chi sta vicino, lo sport valorizza la concretezza dello stare insieme, il senso del corpo, dello spazio della fatica, del tempo reale. Così, contro la tentazione di fuggire in mondi virtuali, esso aiuta a mantenere un sano contatto con la natura e con la vita concreta, luogo in cui solo si esercita l'amore”. “In terzo luogo, in una società competitiva, dove sembra che solo i forti e i vincenti meritino di vivere, lo sport insegna anche a perdere, mettendo l'uomo a confronto, nell'arte della sconfitta, con una delle verità più profonde della sua condizione: la fragilità, il limite, l'imperfezione. Questo è importante, perché è dall'esperienza di questa fragilità che ci si apre alla speranza. L'atleta che non sbaglia mai, che non perde mai, non esiste. I campioni non sono macchine infallibili, ma uomini e donne che, anche quando cadono, trovano il coraggio di rialzarsi”. Il quarto momento, quello della commozione, ha riguardato la parte finale dell’omelia in cui Leone XIV ha parlato di Pier Giorgio Frassati, patrono degli sportivi, che sarà canonizzato il prossimo 7 settembre. Figlio primogenito di Alfredo, giurista e direttore del quotidiano ‘La Stampa’, Frassati è stato un uomo straordinario; aiutava i poveri di nascosto alla famiglia pagando con la morte perché, a soli ventiquattro anni, fu stroncato da una meningite virale causata dalla poliomielite contratta, probabilmente, facendo visita a questi bisognosi nei quartieri degradati della città. “La sua vita, semplice e luminosa – ha detto il Papa – ci ricorda che, come nessuno nasce campione, così nessuno nasce santo. E’ l’allenamento quotidiano dell’amore che ci avvicina alla vittoria definitiva e che ci rende capaci di lavorare all’edificazione di un mondo nuovo”. In definitiva, Leone XIV ha confermato che sport e fede sono due realtà che possono dialogare, un binomio vincente sul quale la Chiesa deve puntare. Lo aveva capito bene Don Bosco due secoli fa.

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Tommaso Liguori