Suigo: "Sogno la NBA. Vorrei essere il Wembanyama italiano"

Un ragazzo alto 2 metri e 20 fa notizia, anche per gli standard del basket. A maggior ragione se è italiano: Luigi Suigo è uno dei maggiori prospetti della nostra nazionale, che non vede l'ora di affidargli un posto sotto canestro. Suigo è un classe 2007, e come tale non può sottarsi all'etichetta di 'unicorno', affibbiata a ogni lungo moderno che sappia anche tirare dal perimetro. E lui eccome se ne è capace, dopo anni passati al campetto da bambino a imitare lo step-back di James Harden. Un mix di tecnica e fisico che ha attirato attenzioni non solo dall'Italia ma anche dagli Stati Uniti, dove diversi college di altissimo livello - come Purdue e Illinois, solo per citarne un paio, che ha visitato negli ultimi mesi - stanno cercando di convincerlo a sbarcare in NCAA per il prossimo passo della sua carriera. Il presente e il futuro prossimo doveva essere in Serbia, a Belgrado, dove la nazionale Under18 si prepara per l'esordio agli Europei di categoria contro la Germania e dove, da settembre, giocherà con la maglia del Mega Superbet, per la prima stagione in pianta stabile tra i professionisti. A causa di un infortunio al polso, però, sarà costretto a saltare la rassegna continentale con l'Italia e potrà quindi concentrarsi a preparare un'annata propedeutica per un probabilissimo passaggio negli Stati Uniti nel 2026, dove gli 'unicorni' come Luigi Suigo fanno le loro fortune. Qual è il tuo primo ricordo legato al basket? “Avevo 4/5 anni. Mio papà comprò un piccolo canestro da appendere al portone del garage. I primi tiri li ho fatti lì”. È stato spontaneo iniziare con la pallacanestro o hai seguito l’esempio di qualcuno in casa? "È venuto tutto da me. Fin da piccolissimo mi è piaciuto giocare". Giocatore preferito in assoluto? E quello a cui ti ispiri di più? “Per me è lo stesso giocatore: Victor Wembanyama. Mi ci rivedo un po’, abbiamo la stessa altezza. Vorrei diventare anche solo un quarto di quello che è lui oggi”. Parlando di stili di gioco, in cosa ti senti più forte? In quale fondamentale invece pensi di dover lavorare ancora? “I lob, sono la cosa più facile. Invece devo assolutamente lavorare sul palleggio”. Nell’ultimo anno hai fatto molta esperienza, anche con la prima squadra. Cosa hai imparato? C’è un consiglio che coach Ettore Messina ti ha dato che ti è rimasto impresso? "Ho imparato che il gioco di squadra rispetto alle giovanili è tutta un’altra cosa. Con gli adulti c'è meno spazio per le individualità, serve costruire la situazione giusta per creare un vantaggio e convertirlo in canestro. Coach Messina invece mi ha fatto ragionare sul fatto di essere 2 metri e 20, mi ha fatto capire che la mia altezza poteva essere un fattore anche con la prima squadra e che è una qualità da sfruttare senza aver paura di tentare le giocate”. Ti stavi creando uno spazio in prima squadra, eppure nella prossima stagione non giocherai più a Milano. Cosa ti ha fatto scattare la voglia di provare un’esperienza lontano dall’Olimpia? “Il salto dalle giovanili ai senior spesso è molto complicato nella prima fase. L’Olimpia è una squadra prestigiosa, ogni anno punta a vincere lo scudetto e a fare bene in Eurolega: sarei stato aggregato in prima squadra ma avrei trovato veramente poco spazio. Ho preferito andare in un altro club , dove ho grande concorrenza ma anche uno spazio assicurato per fare esperienza e prepararmi nel modo giusto per quella che sarà la fase successiva della mia carriera”. Con i tuoi 2 metri e 20 sei molto alto anche per gli standard del basket. Com’è stato crescendo il tuo rapporto con la tua altezza? “Mi sono sempre adattato, non mi ha mai dato problemi. Quando ero piccolino è capitato che mi prendessero in giro e ci rimanessi un po’ male ma crescendo ho imparato a non interessarmene. Sono cresciuto molto bene con la mia altezza. Dico sempre che se avessi la possibilità di rinascere con un’altezza normale, per esempio 1 metro e 80, mi terrei i miei 2 metri e 20. A me piace essere così alto, alcune volte è un po’ scomodo però è bello”. Ti senti più un ‘big man’ o un lungo moderno di quelli che aprono il campo? Da bambino imitavi James Harden… “Mi sento un ‘cinque’ che può fare anche le cose dei ‘piccoli’: una guardia in un corpo di 2 metri e 20. Harden era il mio giocatore preferito da bambino, durante gli anni a Houston in cui ne faceva 40 di media a partita. Io andavo al campetto e cercavo di imitare il suo step-back. Oggi ormai lo so fare alla perfezione però se provo a farlo in partita e sbaglio, so di finire in panchina per il resto dell’incontro e anche per i due successivi ”. Lo scorso febbraio sei stato invitato a San Francisco per partecipare al Basketball Without Borders, dove ti sei confrontato con i migliori prospetti del mondo. Che tipo di esperienza è stata? “È stato interessante. Più che altro per avere modo di incontrare giocatori diversi da quelli che sfidiamo tutto l’anno tra il campionato italiano e i tornei europei. Gli americani sono una sfida nuova, è stato stimolante giocarci contro. Il livello era alto, però lo spazio per competere anche con loro c’era”. Nel 2024 avete centrato la medaglia d’argento ai Mondiali U17, perdendo in finale contro Team Usa. Com’è stato questo primo approccio con il basket americano in ottica futura? Su cosa devi lavorare per competere ad alti livelli in quella realtà? “La loro aggressività è stata un fattore. Non ci hanno dato il tempo di ragionare con la palla in mano. A livello tecnico non eravamo da meno. Fisicamente invece non c’è stata partita: erano dei ragazzi di 17 anni nel corpo di uomini di 25. Rispetto a un anno fa siamo cresciuti, ne sono consapevole, ma l’anno scorso eravamo ancora dei ragazzini. Crescendo, colmando il divario fisico, ce la potremo giocare”. L’ultimissima domanda. Se tutto dovesse andare nel modo migliore, dove ti vedi da qui a cinque anni? "In NBA. A giocare tanto, magari facendo il titolare. Sarebbe il traguardo più bello”.

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Simone Dagani