A piedi nudi verso un sogno: la vera storia dei baschi Williams

Meno di un mese fa la Spagna di De la Fuente vinceva l’Europeo di calcio. La nuova Spagna, quella tornata grande dopo qualche anno di assestamento per il ritiro del blocco storico . Una Spagna che ha rimesso le ali, tatticamente e metaforicamente: Lamine Yamal e Nico Williams. Il primo è uno di quei talenti che nel calcio passa una volta ogni 20-30 anni , mentre dell’ala dell’Athletic Bilbao molti non avevano sentito parlare fino a qualche mese fa: quando ha vinto la Coppa del Re assieme al fratello maggiore Inaki, riportando nei Paesi Baschi un trofeo che mancava da 40 anni. In campo Nico vola: è in possesso di alcune accelerazioni palla al piede che tagliano a metà le difese avversarie. Ma il fuoriclasse di Pamplona non è solo un paio di gambe che corrono veloci, è molto di più. É la storia di un ragazzo, di una famiglia, che è arrivata sul tetto d’Europa partendo da molto lontano, dal cuore dell’Africa occidentale. Da Accra, capitale del Ghana. L’anno è il 1994. Maria e Felix sono una coppia di sposi poco più che ventenni in attesa del loro primo figlio . Decidono che nel proprio Paese d’origine non c’è più spazio per loro, che per costruire una famiglia bisogna andare via dall’Africa e cercare fortuna in Europa. Decidono di sacrificare tutti i risparmi per imbarcarsi in un viaggio della speranza in furgone attraverso il Sahara e poi, superato il deserto, di trovare un modo per colmare anche la distanza che li separa dalla loro nuova vita: il Mar Mediterraneo. Loro insieme ad altre 40 persone: uomini, donne, bambini, anziani. Un tutt’uno ammassati nel cassone di un furgone con acqua e viveri razionati. Il viaggio attraverso il Sahara prosegue per giorni, fino a quando i contrabbandieri decidono, dopo essere stati pagati, che per loro il trasporto può finire lì. Peccato che manchino ancora un paio di centinaia di chilometri alla costa. Con acqua e cibo ai minimi termini il gruppo si mette in cammino, senza avere una precisa idea della direzione e senza nemmeno sapere con esattezza se riusciranno a sopravvivere. Qualcuno, stremato dalla sete e dalla fatica, muore strada facendo. Maria e Felix sono giovani e forti, l’Europa sembra un miraggio ma diventa giorno dopo giorno sempre più una motivazione. Fino a che non riescono ad arrivare alla frontiera, a Melilla, piccolo lembo di terra sulle coste del Marocco che però risponde al governo e all’autorità spagnola. Stremati, con le piante dei piedi ustionate per essere stati costretti a camminare scalzi nel deserto ma sani e salvi. Melilla era ed è un porto di mare, letteralmente: poco più di 12 km quadrati di territorio sulle coste del Mediterraneo da cui passano merci, ma anche persone. Arrivati alla frontiera, Maria e Felix vengono messi in inizialmente una cella, in quanto migranti irregolari e privi di documenti. Attendono di essere espatriati. Il sogno dell’Europa, dopo tutta la fatica fatta, sembra svanire. Come raccontato dal fratello maggiore di Nico, Inaki, in un'intervista al Guardian, i genitori ricevono invece una 'soffiata' da un avvocato della Caritas, una delle poche persone in grado di parlare inglese alla frontiera di Melilla: mentire sulla loro provenienza, perché i cittadini in cerca di asilo politico hanno un altro trattamento. Ecco allora che i coniugi Williams da Accra, Ghana, diventano i coniugi Williams da Monrovia, Liberia . Permesso accordato. Destinazione: Bilbao. È proprio nella capitale dei Paesi Baschi che nasce Inaki, qualche mese dopo il loro arrivo. L'inizio della famiglia Williams non è facile: l'alloggio è umile, cibo e abiti vengono forniti dalla Chiesa, di fatto sono dei cittadini del mondo, circondati da persone di tutte le etnie e di tutti i Paesi. Lo spagnolo all’inizio è un problema e vengono aiutati soprattutto dalla comunità cattolica della zona, in particolare da padre Inaki Mardones. Figura talmente importante per i Williams da ispirargli il nome del loro primogenito. Dopo un primo periodo di assestamento, Maria e Felix si trasferiscono fuori Bilbao, a Pamplona , dove si stabiliscono definitivamente e dove poi, nel 2002, nasce Nico. Le condizioni della famiglia rimangono umili, ma almeno hanno cibo e un tetto sopra la testa: "Ci sentivamo ricchi", racconterà Inaki qualche anno dopo. Nico intanto cresce, senza il papà accanto. Perché Felix si è rimesso nuovamente in cammino. Stavolta verso l’Inghilterra. Si stabilisce a Chelsea, quartiere di Londra, dove vive da solo per 10 anni facendo diversi lavori: il custode notturno, l’uomo delle pulizie, strappa anche i biglietti a Stanford Bridge. Tutto per riuscire a mandare qualche soldo in più alla famiglia a Bilbao, dove nel frattempo mamma Maria fa due, anche tre lavori alla volta per riuscire a far vivere dignitosamente i suoi figli. Inaki e Nico crescono insieme, inseparabili, il primo è quasi la figura paterna del secondo. E giocano tantissimo a calcio, tutti i giorni, con i ragazzi di Pamplona. I due fratelli Williams sono stati baciati dal talento e, grazie al fatto di essere nati entrambi nei Paesi Baschi, possono rispettare le regole territoriali dell’Athletic Bilbao e entrare nelle giovanili del club dove faranno tutta la trafila fino alla prima squadra. Papà Felix è tornato in Spagna solo nel 2014, quando Inaki ha firmato il suo primo contratto da professionista. I due fratelli non lo vedevano da esattamente dieci anni: di fatto Nico non sapeva nemmeno che faccia avesse suo padre. Solo nel 2021 i ragazzi Williams hanno scoperto la loro storia, fino a quel momento pensavano che i genitori fossero arrivati in Spagna con un normale volo di linea. Non a caso, dal 2022 Inaki ha deciso di rappresentare la nazionale del Ghana. Il resto, calcisticamente parlando, è attualità. Nico è stato uno dei protagonisti della Spagna campione d’Europa: è forte, imprendibile, duro da buttare giù, uno dei giocatori più richiesti sul mercato. Forse rimarrà a Bilbao, forse no. Ma il suo legame con questa squadra e questa terra non sarà mai spezzato. Stesso discorso per Inaki, che a 30 anni ha giurato amore eterno ai colori bianco e rosso dell’Athletic. Perché ogni volta che scendono in campo l’erba del campo ha un profumo particolare, diverso, che ricorda vagamente quello della sabbia del deserto.