Buon compleanno, Marco Van Basten: l’idolo che ha ispirato i sogni di un bambino

C’è una data che ha sempre avuto un cerchio rosso nel mio diario di bambino: il 31 ottobre. Non solo perché è il giorno del mio compleanno, ma soprattutto perché in quella stessa data, sedici anni prima, nasceva Marco Van Basten, il più grande centravanti che il calcio abbia mai visto, di sicuro, che io abbia mai visto. Il fatto che io sia nato lo stesso giorno del mio idolo, mi ha sempre fatto sentire un legame particolare con lui, forse ingiustificato, ma speciale: come un piccolo privilegio di cui essere segretamente orgoglioso. Marco, perdonate la confidenza, era il mio idolo assoluto. Il suo poster era appeso sopra il mio letto, l’ultimo sguardo prima di dormire e il primo quando aprivo gli occhi al mattino. Lui, il ‘Cigno di Utrecht’, come veniva soprannominato per la sua eleganza in campo, sembrava sospeso tra realtà e leggenda. Per me non era solo un calciatore: era una poesia vivente, capace di trasformare il calcio in arte. Van Basten era unico, una combinazione irripetibile di forza, potenza, classe, tecnica e istinto del gol che si univano in una bellezza assoluta. Non ero incantato solo da quanto segnasse, ma da come lo faceva, come si muoveva in campo: elegante e fluido come un ballerino. Nella sua autobiografia, Marco racconta che giocare su quel prato era “un po’ come danzare”, e penso che nessuna definizione possa esprimere meglio il suo talento così difficile da catalogare. Lui non correva dietro al pallone, sembrava piuttosto che fosse il pallone a danzargli intorno, come attratto dalla sua presenza. Purtroppo ha dovuto lasciare il calcio troppo presto, prima limitato e poi fermato da un infortunio alla caviglia destra che lo ha costretto al ritiro a soli trent’anni. Ricordo ancora le mie lacrime al suo addio, perché in quel momento era come se mi stesse abbandonando, e con lui una parte meravigliosa della mia infanzia. Anche per me, come per tanti, era la fine di un’era. Ho rivisto da poco i video delle sue reti e non sono riuscito a smettere, incantato come allora, come se ogni rete fosse una magia che si ripete. Come quando ero bambino, guardavo i suoi gol in tv poi correvo fuori per strada, con i miei amici, e passavamo ore a cercare di imitare le sue giocate, i suoi colpi impossibili. Sognavo di essere come lui, anche solo per un istante, di provare quella magia che lui rendeva così naturale e perfetta. Non sono mai stato neanche lontanamente così bravo, né ho mai pensato di poter imitare Van Basten. Il mio ruolo era diverso, le mie caratteristiche non comparabili. Ma forse è stato proprio quell’allenamento quotidiano da bambino, quelle partite infinite al pomeriggio per strada con gli amici, il mio provare a ripetere i suoi movimenti e i suoi gol impossibili, a darmi la voglia e la determinazione per provarci. Alla fine, ho avuto anche il privilegio di incontrarlo di persona alla presentazione di un libro e ho trovato un campione gentile. Non ero più il bambino con il poster, non ero più il giovane raccattapalle del Milan che sperava di consegnargli il pallone, ma un uomo cresciuto che portava ancora nel cuore l’emozione di quel sogno e lui lo ha percepito. Stringergli la mano e scambiare poche parole è stato come chiudere un cerchio, come se tutte le ore trascorse a sognare davanti alle sue figurine trovassero finalmente un significato. Gli ho chiesto di autografarmi la sua maglietta come avrei fatto trent’anni prima e la sua dedica, ogni volta che la guardo, mi strappa un sorriso: quell’incontro, così semplice eppure così intenso, è uno dei ricordi più preziosi che custodisco. Ora che Van Basten compie sessant’anni mi sento di fargli gli auguri ma soprattutto di ringraziarlo. Per la magia, per l’ispirazione, per il sogno che ha acceso in me e in milioni di altri ragazzi. È stato e sarà sempre una leggenda, non solo per i gol, ma per la bellezza pura e inimitabile di quella sua danza che noi chiamiamo calcio.