Il gol del coraggio di Jürgen Sparwasser: così la sua rete fece la Storia

«Cosa stiamo facendo, Spari?» «Un futuro migliore, Christa.» “Buonciorno!” Esordisce così, live, salutando mit deutschem Akzent, aber in perfektem Italienisch , un uomo che – a suo modo – ha scritto una pagina di Novecento. E cosa volete che sia la barriera linguistica, per uno che magari non avrà buttato giù un Muro , ma di sicuro ne ha anticipato i tempi della caduta. Dieci gennaio 1988 quello della libertà per lui e sua moglie Christa, in fuga all’Ovest; 3 novembre 1989 quello di Berlino per non scendere più a Patti: Atlantico di qua, di Varsavia di là. Jürgen Sparwasser è stato molto più che un forte attaccante tedesco negli anni Settanta. È stato, anche suo malgrado, un simbolo di un’epoca, fors’anche di un’idea, nascosta dietro e dentro un’ideologia. E per quel suo gol, per quanto storico, è diventato inconsapevolmente prima ‘eroe’ e poi ‘traditore’ della patria. Nemmeno aveva, né avrebbe, mai fatto politica, ‘Spari’. Anche se in realtà tutto lo è, persino e forse ancor di più il non farla. La sua ‘patria’ sono sempre stati lo sport – il calcio –, l’amore per sua moglie Christa e per l’insegnamento. Solo che all’epoca – quella della Cortina di ferro e della Guerra Fredda – le cose erano un filino diverse rispetto a oggi. E parecchio complicate. Giovanni Tosco, scrupoloso collega di Tuttosport, vi si immerse per scrivere la prima biografia di un ottimo calciatore diventato, senza ambirvi, ‘campione’: ma di libertà. Tutti gli chiedono di quel suo gol segnato il 22 giugno 1974, al minuto 77’, nella sfida mondiale fra le due Germanie. Sì, va ricordato, perché ai più giovani parrà impensabile che ce ne fossero due come a tutt’oggi le ‘Coree’ o le ‘Irlande’. E appena ieri, da un giorno all’altro , le due Berlino: 3,6 metri sotto il cielo, mai così plumbeo, tetro, cupo. Wendersiano. Non vi spoileriamo il libro, che si dipana come romanzo perché romanzesche sono state le esistenze di quelle generazioni. E gli Sparwasser, per quanto cittadini poco comuni proprio grazie e per via del calcio, non facevano eccezione. Jürgen Sparwasser, tutti ti chiedono di ‘quel’ tuo famoso gol, l’1-0 di Germania Ovest-Germania Est 0-1. Ma tu sei più affezionato a quello che aprì il 2-0 del tuo Magdeburgo sul Milan, finale di Coppa delle Coppe 1974. Qui però dobbiamo parlare per forza di quello che il 22 giugno, al minuto 77, segnasti all’altra Germania. Quel gol che cosa significò per te e che cosa significa, ancora oggi, per tutta la Germania? “Per gli sportivi, e per noi che eravamo in campo, fu davvero speciale. C’era una ‘presenza’ politica molto importante. C’erano i funzionari dell’Est e quelli dell’Ovest. Ma né noi né loro abbiamo mai visto questa partita come una lotta politica. Siamo scesi in campo per vincere, entrambe le squadre, e per guadagnare punti in classifica . Le aspettative erano diverse, nell’Est e nell’Ovest. Abbiamo conquistato medaglie nelle discipline olimpiche. Ma non riuscivamo a emergere nel calcio. Quindi anche la stampa non ci dava molto per favoriti, anzi, credeva che avremmo perso. Però c’erano squadre importanti come Carl Zeiss Jena, Magdeburgo, Lokomotive Lipsia, Dinamo Dresda, che sono andate avanti a livello internazionale. Noi del Magdeburgo avevamo giocato contro il Milan a Rotterdam. E col nostro 2-0 avevamo dimostrato che potevamo essere al top a livello internazionale”. Visto che tu hai vissuto quella realtà, ti chiedo com’era vivere in quella Germania Est. Bevevate non la Coca Cola, ma la Club Cola, fumavate sigarette Juwel o F6, guidavate le Trabant – l’auto utilitaria poi diventata uno dei simboli della DDR stessa. Fino al 1971 i jeans erano vietati, e appena fu possibile acquistarli, in quattro giorni ne furono vendute 120 mila paia… Com’era la vita là, all’epoca? E, soprattutto, come sei passato da ‘eroe’ a ‘traditore’ della patria, dopo la tua fuga all’Ovest, nel gennaio 1988, insieme con tua moglie Christa? “Non mangiavo le banane, ma di certo non avevo fame. Avevamo altre auto. Era difficile acquistarne una. Ma la vita non era così male nella DDR, come invece si potrebbe pensare. C’erano cose che non si trovavano. Ma io ho avuto un’ottima infanzia. Ho potuto andare a scuola. Ho avuto la possibilità di praticare lo sport che amavo, il calcio, fin da piccolo. A livello Under 18 siamo diventati campioni d’Europa nel 1965 . Ho studiato, ho preso il diploma. Non posso lamentarmi di come sono cresciuto nella DDR. Io posso parlare solo per me. Dopo le vittorie o le sconfitte, con la gente si parlava. So di persone che hanno lavorato per la Stasi, ma io non ho avuto pressioni. Anche nel Magdeburgo come in nazionale pensavo solo a vincere, all’aspetto sportivo. Ci hanno spiegato cosa ci aspettava ad Amburgo per quella partita , ma io non ho mai avuto contatti di quel tipo né parlato di queste cose. Mi hanno chiesto se io avessi avuto contatti con l’Ovest, ma non mi era successo. Ci sono stati atleti come il nuotatore Roland Matthes che avevano lasciato il Paese, ma c’erano delle ragioni e che noi non conoscevamo. Ma sono scelte personali che ciascuno prende. E ognuno di loro ha fatto la scelta di lasciare la propria nazione per un’altra”. La quarta di copertina recita: «“Signori Sparwasser, non era mai successo che un fuggitivo tanto importante riuscisse a nascondersi così bene”. Jürgen e Christa capirono, a quel punto, che erano ormai al sicuro. Nulla sarebbe più potuto accadere loro». È anche grazie a te che il Muro è caduto magari un po’ prima di quanto la storia avrebbe imposto? E infine, come guardavate voi all’Italia di là del Muro? “È stata una storia personale lasciare la mia nazione. Volevano che io diventassi allenatore del Magdeburgo. Io lavoravo a scuola e avevo il sabato e la domenica liberi, per la famiglia. Non volevo avere problemi sui risultati della mia squadra. Quel tipo di pressione mi – o ci – ha convinto che la mia carriera era finita. Insegnavo a scuola e ho detto di no. E poi ho pensato: che cosa facciamo? Viviamo in questa situazione, oppure diciamo tschüss , andandocene da famiglia, amici, conoscenti? Per fortuna poi il Muro è caduto, quindi è stato un pezzettino di tutto quello che poi è successo. Con quelle marce a Lipsia, abbiamo dimostrato di avere coraggio. Poi quando sono andato all’Ovest mi hanno chiesto tanto di cosa fosse successo con la DDR. Ma in tanti mi hanno detto che sia io sia la mia famiglia abbiamo avuto tanto coraggio. Danke, Jürgen: il calciatore che con quel suo gol ha contribuito a far cadere il Muro. Magari un po’ prima di quanto la Storia aveva forse previsto.