L'Aquila di Istanbul, Ciro Immobile si racconta

Sguardo rilassato, allegro. Disteso. Quando Immobile apre le porte porte di casa sua, la prima cosa che fa è descriverla. Premessa: è la sua nuova casa, quella che dove vive da qualche mese da quando si è trasferito a Istanbul. La chiama “alcova” e gli piace “guardare e contare le barche che passano, lo faccio con mio figlio Mattia, che non sta mai fermo”. Della sua vita nel quartiere abbiamo già parlato su Sky Sport Insider, ma qualcosa in più la racconta lui: ha subito comprato la macchina per il caffè e Istanbul in molti aspetti gli ricorda Roma. “Anche questa città è stata costruita su sette colli”, racconta. Ha mantenuto la maglia numero 17: “Potevo scegliere se mettere il mio nome o il cognome, alla fine ho tenuto Immobile”, sorride. Perché alla nostalgia per Roma ha sostituito la felicità di questa nuova avventura, che lo sta prendendo molto. Come è stato cominciare da capo? “Durante il viaggio che dall’Italia mi ha portato alla Turchia ho avuto dei pensieri positivi: avevo entusiasmo nel dover affrontare questa nuova avventura, nel voler partire col piglio giusto. La mia mente era proiettata a fare bene: mi piaceva il fatto di dover cambiare, ma allo stesso tempo ero un po’ spaventato dopo otto anni di Lazio. Ma alla fine avevo l’entusiasmo che hanno tutti quando cambiano squadra: avevo voglia, fame di ricominciare, di avere nuovi stimoli. Ero un po’ triste soprattutto perché avevo lasciato la mia famiglia in Italia”. Ecco, la famiglia. Un elemento per te fondamentale. “Sì, la responsabilità che ho nei confronti della mia famiglia è tutto. Ho sempre fatto molte riflessioni su me stesso nella vita calcistica, ma questo vale anche in quella fuori dal campo: sono ben consapevole di quello che mia moglie Jessica e i miei figli stanno facendo per me. Hanno lasciato cose a Roma che si sono costruiti da soli: ci hanno rinunciato per stare qui. Non dico che hanno stretto i denti, ma comunque capisco che non sia stato semplice”. Cosa vuol dire cambiare maglia dopo tanti anni? “Dal biancoceleste della Lazio al bianconero del Besiktas, il passaggio è stato particolare. Ma devo dire che mi piace: è una bella maglia. I tifosi della Lazio mi hanno amato alla follia e io ho amato loro allo stesso modo. Ma alla fine stava diventando quasi un amarsi per quanto fatto e non per quello che potevo ancora fare, e questo un po’ mi pesava. Nel calcio i giocatori che vanno avanti sono quelli che hanno più continuità, l’ho sempre pensato. È quasi facile segnare 20 gol in una stagione, non lo è farlo per cinque, sei consecutive: si stava creando quasi una punta di scetticismo nei miei confronti. Ricevere un affetto così travolgente qui mi ha dato una spinta emotiva importante”. Come ti trovi con la squadra e con l’ambiente in generale? “Benissimo. E questo stadio ti avvolge: a vederlo così sembra una bomboniera, ma quando è pieno ti devi quasi mettere i tappi nelle orecchie per non rimanere stordito. Il campionato è di buon livello: anche l’anno scorso due squadre hanno lottato per il titolo fino alla fine. Sono venuto qui per continuare a fare quello che mi piace, cioè divertirmi. Ed è ovvio: solo se vinci ti diverti. Rispetto alle mie esperienze all’estero, a Dortmund e Siviglia, ho una maturità diversa: più esperienza nel gestire le cose, nel presentarmi ai compagni, con la lingua . Credo di aver costruito la mia carriera su un principio: il fatto di voler arrivare a dare sempre più di tutti quanti e di spronare gli altri. Ho segnato più di 200 gol in Serie A, ho vinto un Europeo e la Scarpa d’oro: ancora non mi rendo bene conto di questo, perché sento di poter dare ancora molto. Ma se faccio due calcoli e mi guardo indietro un po’ di impressione la fa: mio padre dice che sono le polpette che riempiono la pancia. E in effetti qualcosa ho fatto”. E in Turchia hai subito cominciato alla grande: appena arrivato, hai vinto la Supercoppa di Turchia. “Mi serviva un impatto così: sono entrato, ho segnato due gol, sono stato nominato miglior giocatore della partita e ho alzato il trofeo. Dà una certa carica. Anche perché, ripeto, poi ci si ritrova a guardarsi indietro e a capire il percorso fatto. Mi sono venuti in mente i primissimi anni, di quando avevo lasciato la scuola calcio in Campania per trasferirmi alla Juventus: andare lontano da casa, esordire in prima squadra prendendo il posto di Del Piero in campionato una volta, in Champions un’altra… Sono emozioni forti, che si accompagnano alle paure: ‘E se non dovessi farcela?’. È un attimo che si fermi tutto: quanti sono i giocatori che dalla scuola calcio sono arrivati in prima squadra, poi in Serie A, poi in Nazionale? È quasi come giocare al Superenalotto: tantissime cose possono andare male”. L’esperienza più difficile? “In Nazionale hai tante pressioni: un popolo intero tifa per questa squadra. Per fortuna all’Europeo sono riuscito a isolarmi, nonostante da mesi si diceva che mancasse un attaccante. Insomma, io l’ho vinto, e proprio da attaccante. Più di così…” Ma cosa è successo l’anno scorso? “Dopo l’addio di Sarri, ho vissuto un periodo davvero molto tosto. Da capitano mi sono accollato delle responsabilità che nemmeno pensavo di avere: non ero pronto e sono finito in un vortice più grande di me. E poi è chiaro: se non sei lucido di testa, le gambe non girano e ti fai male, esattamente come mi è successo. Tutte queste cose mi hanno portato a decidere di lasciare e mi è stata molto di aiuto anche mia moglie Jessica: lei aveva visto un Ciro cambiato, io avevo capito di essere a fine di un ciclo. Unendo queste due cose, il risultato è stato questo”. Con un rammarico. “Sì, quello di non aver salutato i tifosi. Come tutte le storie c’è un inizio e una fine: sarebbe stato bello poter condividere un bel finale insieme, non è detto che un addio non possa avvenire con un sorriso, con gioia. Sarebbe stato come un arrivederci tra due amici che prendono due strade diverse. Quello mi è rimasto sul groppone. Ne approfitto adesso per salutare con estrema emozione tutti i tifosi della Lazio per questi otto anni vissuti insieme: la storia della Lazio continua, la mia continua qui ma vi porterò per sempre nel cuore. A Roma io e la mia famiglia abbiamo passato degli anni meravigliosi, resteremo per sempre affezionati a questa città”.

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Mario Giunta