47 anni senza Maurizio Barendson, icona del giornalismo sportivo e ideatore di 90° minuto

Sono passati quarantasette anni dalla scomparsa di Maurizio Barendson. Considerarlo una colonna del giornalismo sportivo sarebbe semplicemente riduttivo perché Barendson fu, innanzitutto, un collega dotato di grande umanità e con un grande spessore culturale. Nacque a Napoli nel 1923 ma il suo cognome portava il segno di lontane origini olandesi. I suoi avi, infatti, furono costretti alla fine del Settecento a lasciare il Paese nordeuropeo e ad approdare alle pendici del Vesuvio, passando dalla Francia, per esercitare il commercio e frequentare la colta borghesia della città. Negli anni Trenta, Barendson frequentò a Napoli il liceo Umberto I insieme ad altri grandi protagonisti della vita culturale e politica italiana come Francesco Rosi, Giuseppe Patroni Griffi e Giorgio Napolitano, futuro Presidente della Repubblica dal 15 maggio 2006 al 14 gennaio 2015, il primo eletto per due mandati consecutivi. Compiuti vent’anni, nel 1943, vinse una borsa di studio presso il Centro sperimentale di cinematografia di Roma ma la sua esperienza si interruppe dopo pochi mesi a causa dell’andamento della Seconda Guerra Mondiale con lo sbarco degli Alleati in Sicilia nella notte tra il 9 e 10 luglio, la caduta di Mussolini il 25 dello stesso mese, l’armistizio dell’8 settembre e la conseguente invasione tedesca dell’Italia centro-settentrionale. In questi anni, Barendson maturò la passione per il giornalismo e, terminato il conflitto bellico, entrò prima nella redazione del quotidiano romano ‘Il Tempo’ e poi ne ‘Il Giornale d’Italia’ dove si occupò della cronaca sportiva. Che fosse un fuoriclasse i suoi colleghi lo capirono subito perché Barendson, a metà degli anni Cinquanta, lasciò la carta stampata ed entrò in Rai diventando un volto nuovo della televisione che aveva iniziato a trasmettere in Italia dal 1954. Insieme ad Antonio Ghirelli, anche lui un ‘ragazzo di via Chiaia’ e futura colonna del giornalismo italiano, realizzò nel 1956 il primo documentario sullo sport dal titolo ‘Azzurro come Italia’ e, due anni più tardi, il settimanale ‘Sprint’. Barendson diede un’impronta critica al programma, contaminando gli argomenti di cronaca sportiva con commenti affidati a voci eterogenee della cultura contemporanea come il regista Nanni Loy che parlò del Cagliari o Demetrio Volcic, autore di un servizio da Trieste in occasione nel decennale della morte del poeta Umberto Saba che, negli anni Trenta, aveva scritto poesie sulla squadra della città. La grande notorietà di Maurizio Barendson, però, esplose a partire dal 27 settembre 1970 quando, insieme al collega Paolo Valenti, inventò la storica rubrica di ‘90° minuto’. A Jan Stoeckart, alias Jack Trombey, compositore che forse non tutti conoscono o ricordano, e all’International Studio Group, dobbiamo la sigla ‘jazz’ che ha segnato un’epoca e che faceva correre davanti al televisore milioni di italiani che, nel tardo pomeriggio della domenica, potevano vedere, per la prima volta, tutte le azioni salienti e le reti delle partite del campionato di calcio di Serie A. Gli ascolti altissimi resero quel programma un vero e proprio fenomeno di costume. 90°minuto iniziava alle 17.45; Barendson commentava le partite mentre Paolo Valenti leggeva i risultati e la classifica. Fu una rivoluzione per la storia della tv e del giornalismo sportivo, con conduttori e inviati che divennero in poco tempo un indimenticabile punto di riferimento del popolo italiano: Tonino Carino da Ascoli, Gianni Bubba da Genova, Luigi Necco da Napoli, Marcello Giannini da Firenze, Cesare Castellotti da Torino solo per citarne alcuni. Dopo quello storico successo, nel 1973, sempre a Barendson si deve la nascita di un’altra storica trasmissione di approfondimento sportivo: ‘Dribbling’ che andava in onda ogni sabato nel tardo pomeriggio. Pochi, invece, ricorderanno che, lasciata la conduzione di 90° minuto a Paolo Valenti e divenuto capo della redazione sportiva del Tg2, Barendson fu anche l’ideatore, oltre che conduttore per la prima stagione, di un altro programma che ha fatto la storia della televisione: ‘L’Altra Domenica’. In onda il pomeriggio della domenica su Rai 2 alternava i risultati delle partite del campionato di Serie A e di altri eventi sportivi, con un rivoluzionario menu di varietà e musica, e che aveva come mattatore un conduttore memorabile come Renzo Arbore attorniato da una semiseria compagnia di nuovi comici e improbabili inviati come Roberto Benigni, Mario Marenco e Andy Luotto. Maurizio Barendson fu un volto talmente popolare della tv italiana che, negli anni 60-70, divenne anche il bersaglio del principale imitatore del momento: Alighiero Noschese. Purtroppo, Barendson morì ad appena cinquantaquattro anni e a pochi giorni da un intervento chirurgico in una clinica romana. Lo scrittore Giovanni Arpino dalle colonne de ‘La Stampa’ scrisse che molti colleghi lo definirono “troppo umano, per indicare non un limite, ma quasi un 'handicap' in questo mondo fatto di spigoli bruti, di angolature crudeli. La sua qualità la si poteva identificare in uno stile, sia di vita sia di mestiere. Era aereo, ironico. La sua parola misurata”.

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