Quando la Germania aveva tre nazionali

Francese per decreto, tedesca per scelta, la regione della Saar, ex Protettorato della Saar o Saarland, attualmente uno dei länder cioé degli stati federati della Germania, ha una storia politica frastagliata e ricca, complicata e affascinante. Ad esempio, pur volendo essere conciso, il video del museo di Saarbrücken con il racconto della storia locale dura oltre sei minuti solo per il periodo dal 1789, Rivoluzione Francese, al 1957, ed è spettacolare per come dipinge i cambiamenti: dalla suddivisione in principati, uno dei quali della dinastia Von der Leyen, nome completo Leyen-Hohengeroldseck, solo omonima della famiglia di mercanti di seta da cui discende l’attuale presidente della Commissione Europea, all’occupazione napoleonica al controllo prussiano dopo il 1815, dalla conquista imperiale tedesca del 1871 alla gestione della Società delle Nazioni dopo la Prima Guerra Mondiale, dal plebiscito del 13 gennaio 1935 che decretò il passaggio alla Germania al ritorno sotto sovranità francese dal 1945, dall’adozione monetaria del franco nel 1947, anno nel quale il protettorato, per decisione del suo stesso parlamento, divenne stato autonomo legato commercialmente alla Francia, al 1955, anno di un altro plebiscito che decretò il definitivo rientro nella Germania come decimo stato federato, a partire dal 1957. GIOCHI SENZA FRONTIERE Un percorso storico affascinante e complicato, come quasi tutti quelli delle zone di eterno confine: in quel 1957, chiunque fosse nato in questa zona tra fine Ottocento e il 1919 avrebbe acquisito - e furono migliaia in casi in cui questo realmente accadde, basti pensare al celebre conduttore radiofonico Fritz Weissenbach - la quinta cittadinanza diversa della sua vita, ovvero quelle di Impero tedesco, Protettorato della Saar, Terzo Reich, Saar indipendente e infine Germania. Bizzarro ma coerente con la geografia di una regione che è nel cuore dell’Europa occidentale: non per nulla quel referendum del 1955, peraltro nettamente bocciato , voleva porre le basi della Saar come enclave nella quale avrebbero dovuto avere sede gli organi della Comunità Economica Europea, quella che dal 1992 è l'Unione Europea, e che non per nulla, oltre che a Bruxelles, sono ora a Strasburgo e Lussemburgo , ovvero città non molto distanti dal confine. L’importanza politica nasceva anche dalla centralità economica: uno dei principali nodi che avevano dovuto essere risolti dopo la Prima Guerra Mondiale riguardava il controllo dei ricchissimi giacimenti di carbone della Saar, che furono alla fine, non senza lunghe discussioni e distinguo, assegnati alla Francia, desiderosa di poterne sfruttare l’enorme potenzialità, specialmente se abbinata all’altrettanto ricca produzione di ferro della regione della Lorena. L’attribuzione per quei 15 anni pre-plebiscito fu anche una sorta di ulteriore risarcimento per le perdite di guerra, e dunque ulteriore penalizzazione della Germania sconfitta. Non è il caso di dilungarci su questioni extra-sportive, seppure estremamente affascinanti, ma è giusto ricordare che quando il 13 gennaio 1935 si andò al voto, la cui regolarità fu verificata da un corpo di spedizione internazionale formato da militari di quattro nazioni diverse, compresa l’Italia, dei 528.005 votanti ben 477.119 espressero la volontà di annessione alla Germania, contro 46.513 favorevoli a ulteriori anni sotto l’egida della Società delle Nazioni e solo 2.124 favorevoli all’annessione alla Francia. Il motivo? Il crescente successo della politica nazionalista di Adolf Hitler, che risultò decisamente più attraente rispetto alle istanze francesi, danneggiate anche da un atteggiamento di interferenza che covò a lungo e valse più della generale tendenza socialista di minatori e dipendenti dell’industria pesante. IL CALCIO, FINALMENTE E allora, in tutto questo, se ci fu chi dovette cambiare cinque volte nazionalità, figuriamoci il disagio per club calcistici o sportivi in generale, sballottati di qua e di là. Con implicazioni che venivano da lontano e finirono per influenzare rapporti e decisioni. Storicamente, infatti, il calcio nella regione della Lorena, adiacente alla Saar e in passato parte dell’Impero tedesco, era sorto per iniziativa germanica: l’attuale Metz ad esempio è figlio dell’SpVgg Metz, nato nel 1905 e iscritto nel 1918 alla Westkreis-Liga, uno dei raggruppamenti regionali del calcio tedesco. Le affiliazioni sportive spesso avevano avuto un peso diverso rispetto agli intrecci politici, finendo però per esserne coinvolti per via dell’importanza strumentale che i vari governi e le varie amministrazioni davano allo sport. Accadde sotto il nazismo ma anche nel breve periodo post-bellico in cui la Saar fu sotto la sovranità francese, ed è qui che nasce la parte più originale di questa storia, che avrebbe potuto cambiare l’andamento del calcio mondiale e anche le relazioni internazionali nel periodo della Guerra Fredda, ovvero gli anni della contrapposizione Est-Ovest. Terminato il secondo conflitto mondiale, infatti, in tutto il territorio che aveva fatto parte del Terzo Reich iniziò il periodo di smantellamento di istituzioni ad esso legate, comprese le associazioni sportive. Ad est, specialmente, nella futura Repubblica Democratica Tedesca, gli occupanti sovietici furono rigidissimi nello sciogliere club e imporre loro, in caso di rifondazione, nomi diversi, cosa che storicamente rende complicata la ricostruzione del loro percorso da quel periodo in poi. Ma anche nei territori controllati dagli alleati occidentali si perseguirono analoghe politiche, e per esempio il glorioso Borussia Neunkirchen dovette abbandonare ‘Borussia’, nome latino di Prussia , ovvero la regione che aveva da sempre costituito il cuore e il nerbo delle varie ‘Germanie’, anzi fu sciolto e rinacque come Vfb Neunkirchen. E se è vero che uno degli strumenti di riconciliazione con cui ad esempio gli inglesi si erano presentati in alcune città tedesche - o quel che ne rimaneva - erano stati palloni, è altrettanto vero che nella Saar nata dopo il 1945 le ferite erano troppo recenti perché si potesse riprendere tutto come se niente fosse accaduto. La motivazione principale di gran parte delle decisioni prese dalle autorità locali dopo il 1945 fu del resto evitare in qualsiasi maniera che la Germania riprendesse forza e morale: insomma, Saar indipendente, sì, ma meglio francese che tedesca, meglio ‘europea’ che tedesca, anche se come abbiamo visto tutto questo fu poi bocciato ad ogni referendum sul tema. Emblematico quanto accaduto alle società di ginnastica, ovvero del primo vero sport a dominare la scena tedesca già dall’Ottocento, e da cui si erano sviluppati molti club calcistici: per alcuni anni furono addirittura proibiti dai francesi gli esercizi con attrezzi, visti come estensione di mentalità militaresca, e il carattere peculiare di questa disciplina venne del resto ben spiegato nel 1955 da uno storico e collaboratore della federazione, Bruno Saurbier, con le parole "la ginnastica è in sintonia con l'anima del popolo, è un'usanza tedesca, una tradizione tedesca e quindi un mezzo educativo intrinseco". TRA FRANCIA E GERMANIA E anche nel calcio si dovette aspettare un po’: il 25 luglio 1948 venne fondata la federazione calcio locale, dunque nazionale, la SFB e il campionato chiamato Ehrenliga, che nel 1947-48 era stato una specie di progetto che qualificava la vincitrice all’appena rinata Oberliga Südwest tedesca, divenne un torneo nazionale con 14 squadre. E immediata vittoria del Neunkirchen. Del resto mancava la più forte, il Saarbrücken, che aveva preso un percorso tutto suo. Il 27 aprile 1947 aveva giocato un’amichevole contro il Reims, persa 5-3 di fronte a oltre 20.000 spettatori tra cui Jules Rimet, presidente della Federazione francese e della FIFA, e in seguito giocò altre 21 partite contro formazioni come Meyz, Nancy, Lille, Saint-Étienne, dando così forti motivazioni al processo di spostamento del calcio della Saar verso la Francia, come volevano Rimet, il primo ministro Johannes Hoffmann e l’Alto Commissario francese per la Saar, Gilbert Grandval, nominato per il ruolo in quanto dotato di grandi capacità manageriali nel settore industriale e chimico. Come scrivono magistralmente gli storici Dietmar Hüser e Bernd Reichel in ‘Die Saar 1945–1955’ e in ‘Fußball im deutsch-französischen Grenzraum Saarland-Moselle 1900-1952’ tutti volevano una Saar calcistica indipendente dunque… ‘francese’, contrappeso necessario, seppur paradossale, per accentuare il distacco dalla Germania. Il passo successivo fu la partecipazione del Saarbrücken, col nome di Sarrebruck, alla seconda divisione del campionato transalpino, come ospite. Era del resto una via obbligatoria: al club la Ehrenliga pareva poca cosa, un declassamento rispetto al livello di gioco e di pubblico di quelle amichevoli, e la Ligue 2 si rivelò addirittura trionfale, con primo posto, 26 vittorie e 148 gol in 36 partite e la promozione alla massima serie, veicolo fondamentale per quell’avvicinamento deciso del calcio saariano alla Francia. Qui però la storia mette una marcia in più sul piano del fascino e diventa Storia, cambiando tutto. Per partecipare alla Ligue 1, o anche solo per essere membro ufficiale della Ligue 2, il club doveva infatti entrare a pieno titolo nella federcalcio francese, trascinando con sé anche le altre squadre locali, ma la proposta venne bocciata: a opporsi furono le sezioni regionali della Lorena e dell’Alsazia, guidate dallo Strasburgo che, come altre, non aveva dimenticato il periodo sotto l’occupazione e l’obbligo di partecipare al campionato tedesco, anche se se l’era poi cavata piuttosto bene e aveva dato vita a derby di notevole intensità emotiva contro l’SS Strasburgo, ove SS non stava per società sportiva, e ci siamo capiti. Va anche detto che c’era un interesse diretto: lo Strasburgo infatti era retrocesso al termine della stagione 1948-49 e opporsi all’ingresso del Sarrebruck poteva voler dire conservare la massima serie, alla luce della rinuncia del Colmar, che si era salvato ma aveva deciso di tornare ad essere un club dilettantistico. Il 23 luglio 1940 l’assemblea della Federazione francese votò a dilagante maggioranza contro l’ingresso dei club della Saar, replicando quanto sei giorni prima avevano fatto i membri della SFB, 601 a 299 con 55 astenuti, per dire no all’annessione alla Francia. Non fu solo un voto calcistico, ed è per questo che si può tranquillamente parlare di Storia: Rimet, sfiduciato perché visto dalle società come strumento della politica, lasciò la presidenza tenendosi solo quella della FIFA, mentre Grandval, che in una lettera al Ministro degli esteri francese aveva esplicitamente "subordinato il mantenimento dell'autonomia politica nella Saar e lo sviluppo di un particolarismo saarista al coinvolgimento della Francia nel settore sportivo", offrì senza esito le sue dimissioni. Ci fu un altro tentativo in senso europeista, però: la creazione della Coppa Internazionale della Saar, una delle tante manifestazioni che possono essere considerate progenitrici della Coppa dei Campioni/Champions League. Si trattava di un torneo a inviti, da settembre 1949 a maggio 1950, con il Saarbrücken a sfidare 15 altri club che nel frattempo giocavano pure tra loro: in semifinale la squadra di casa, di diritto ma anche per i risultati, visto che ebbe 11 vittorie in 14 gare, e le tre migliori altre. Vinse proprio il Saarbrücken, 4-0 sul Rennes, e sulla spinta partì una serie di amichevoli di prestigio nelle quali furono battute il Liverpool , il Real Madrid e una selezione Barcellona/Espanyol. MENO EUROPA E quindi? E quindi nulla nemmeno dalla Coppa, sul piano dell’auspicata europeizzazione. Perché nel frattempo c’era stato un episodio determinante, uno dei tanti di questa straordinaria storia: il 26 ottobre 1949 il Saarbrücken aveva ospitato il Kaiserslautern, che nel 1945-46 aveva chiuso alle spalle proprio del club della Saar la prima stagione della ripristinata Oberliga Südwest prima di affermarsi come la squadra di punta dell’intero sudovest e della Germania intera, vincendo 11 titoli locali in 12 anni arrivando alla finale per il titolo nazionale nel 1948. Erano i clamorosi Diavoli Rossi di Fritz e Ottmar Walter, e per vederli quel giorno allo stadio Kieselhumes erano andate oltre 28.000 persone, più della capienza dell’impianto, nonostante una giornata grigia, del resto non inusuale da quelle parti, e il fatto che si giocasse di pomeriggio in un giorno feriale. Avevano vinto gli ospiti 5-3, ma quel derby Saar-Palatinato aveva provocato un fervore che nessuna delle partite della Coppa Internazionale aveva o avrebbe suscitato, nemmeno la finale. Per moltissimi spettatori era stata una specie di riunificazione sportiva con la patria del cuore, e le autorità erano così consapevoli del significato della sfida da essersi mosse per prevenire guai: erano state issate le bandiere francese, tedesca e della Saar , Grandval e Hoffmann erano scesi in campo per salutare i giocatori, facendosi così vedere dal pubblico - che non aveva abboccato - come facilitatori, mentre mescolati tra il pubblico si erano sistemati dipendenti del Ministero dell’Interno con occhi e orecchie ben aperti, casomai partisse dalla folla locale l’inno tedesco o 'Deutsch ist die Saar’ , composto nel 1920, anche se non si capisce bene come avrebbero reagito, nel caso. Come disse in seguito Herbert Binkert, attaccante di gran talento del Saarbrücken, quella che dagli spalti era arrivato ai giocatori era la ‘germanità’ della gente della Saar, perlomeno di quella presente. Si capisce quindi meglio lo sviluppo successivo della storia calcistica della regione, sempre più vicina alla Germania come del resto confermò poi, con quel voto del 1955, anche la storia politica. La seconda edizione della Coppa Internazionale, 1950-51, ospitata congiuntamente dal Saarbrücken e dal Neunkirchen, non venne infatti completata perché nel frattempo la macchina aveva cominciato a muoversi con rapidità e le priorità erano cambiate: la federazione della Saar aveva chiesto e ottenuto l’affiliazione completa alla FIFA, nel congresso di Rio de Janeiro, con l’approvazione di… Rimet, decisione confermata esattamente nel luglio di 70 anni fa, e va segnalato come tale status venne accordato alla federazione della Germania solo nel settembre 1950 e a quella della Germania Est nel 1952, per cui per qualche mese la Saar fu la sola nazione ‘tedesca’ membra effettiva della FIFA. In più, dal 1951-52 i club locali tornarono a far parte dei campionati tedeschi, e anzi il Saarbrücken sorprendentemente vinse la Oberliga Südwest e arrivò alla finale - fu su partita secca che fino al 1963 si determinò la squadra campione di Germania - di Ludwigshafen, persa 3-2 contro lo Stoccarda di fronte a 84.000 spettatori, e con la squadra della Saar costretta a giocare gli ultimi 25’ in 10 e accolta, al ritorno, come se quel titolo avesse in realtà vinto. Qualche anno dopo, il club ottenne di partecipare alla prima edizione della Coppa dei Campioni, e il sorteggio la abbinò subito al Milan. Fu una doppia sfida memorabile: a San Siro, l’1 novembre 1955, il Saarbrücken vinse 4-3 rimontando dal 1-3, ma nella partita di ritorno, il 23 dello stesso mese, crollò negli ultimi 15’, passando dall’1-1, che avrebbe portato alla qualificazione, all’1-4, con autogol di Theodor Puff, poi seconda rete della giornata dell’ala Valentino Valli e chiusura del centrocampista Eros Beraldo. Nel 1963 il Saarbrücken fu ammesso alla prima edizione della Bundesliga, tra le polemiche: i criteri di selezione delle 16 squadre infatti erano geografici ma anche economici e sportivi, e sulla base di tutto questo avrebbero avuto più diritto di rappresentare la Saar, a quel punto ex-Saar, il Borussia Neunkirchen e il FK Pirmasens, che in realtà ha sede già nella Renania-Palatinato e che verso la fine degli anni Cinquanta aveva raccolto titoli e pubblico tali da vedersi costretta a giocare alcune partite a Ludwigshafen, con presenze regolarmente oltre i 60.000 spettatori. A favorire i nerazzurri, così si disse e così si dice, fu l’ex presidente della federazione della Saar, Hermann Neuberger, classe 1919, uno che durante la Seconda Guerra Mondiale era stato nell’esercito tedesco e aveva fatto parte della guarnigione rimasta a Roma dopo l’armisizio dell’8 settembre 1943: non deve sorprendere la sua partecipazione post-bellica a organismi istituzionali, perché in molti settori la cosiddetta ‘denazificazione’ si scontrò con l’esigenza pragmatica di affidarsi a persone capaci ed esperte, e nelle loro opere Hüser e Reichel raccontano come ad esempio nel consiglio del Borussia Neunkirchen sedessero uno accanto all’altro socialdemocratici, comunisti, cristiano-democratici ed ex nazisti, in grado senza problemi di mettere da parte contrasti passati e lavorare assieme, anche perché alcuni di loro, prima della guerra, avevano comunque avuto buoni rapporti personali. Il Saarbrücken retrocesse alla prima stagione di Bundesliga, dandosi il cambio proprio con il Borussia Neunkirchen vincitore della Regionalliga Südwest, ma la permanenza dell’ormai ex Vfb nella massima serie durò tre anni, inframmezzata da una retrocessione, e da quel momento la Saar ha avuto solo quattro altre stagioni al vertice, sempre con il Saarbrücken: nel 1977-79, nel 1986-87 e nel 1993-94. Il club, che ora è in terza serie, è tornato alla ribalta in Coppa di Germania nel 2020, raggiungendo la semifinale in quell'edizione e nel 2024 , dopo aver eliminato Bayern Monaco, Eintracht Francoforte e Borussia Mönchengladbach. Dal 1953 gioca nel Ludwigsparkstadion, rinnovato nel 2021 e situato su una collinetta a circa 10 minuti di cammino dalla stazione della ferrovia. Tanto per ribadire la peculiarità della zona, la ‘curva’ dei tifosi di casa si identifica come Virage Est, dunque curva est in lingua francese, e uno dei gruppi principali si chiama Clique Canaille, insomma la cricca di mascalzoni. Il Neunkirchen, che qualche mese fa ebbe la seconda forte crisi finanziaria nel giro di nove anni, è invece in Saarlandliga, sesto livello del calcio nazionale, sopravanzata anche dall’Elversberg, che dopo essere stato promosso per la prima volta nella sua storia in seconda serie nel 2023 ha sfiorato un mese fa addirittura la promozione in Bundesliga, perdendo lo ‘spareggio dei paesini’ contro l’Heidenheim. LO SPILUNGONE E IL MAESTRO Eh, ma i club sono un conto, la nazionale un altro, e così torniamo ai primi anni Cinquanta. La Saar, in quanto nazione sportivamente indipendente, aveva messo in piedi un comitato olimpico e, ovviamente, ottenuto di creare una nazionale. Le Olimpiadi di Helsinki del 1952 videro la partecipazione di una delegazione della Saar, che per una combinazione dovuta al nome usato in Finlandia per ‘Germania , sfilò nella cerimonia di inaugurazione proprio davanti a quella tedesca, ma fu la nazionale di calcio a creare i ricordi più sensazionali, specialmente nel giro di pochi mesi, tra l’estate 1953 e il marzo 1954. Dopo aver iniziato il suo percorso sfidando perlopiù nazionali ‘B’, sotto la guida del franco-austriaco Auguste Jordan, che allenava anche il Saarbrücken, nel 1952 fu affidata a Helmut Schön, uno dei giganti della storia del calcio tedesco, e non solo per la statura e l’aspetto allampanato, che gli diedero l’appellativo di Der Mann mit der Mütze, l’uomo con il cappello, anche per via della coppola che portava perennemente, a occultare la calvizie prematura. Nato a Dresda nel 1915, da giocatore due volte campione di Germania con l’SC Dresda, allenatore post-bellico nei territori occupati dall’Unione Sovietica prima di fuggire a ovest nel 1950, allenare l’Hertha e spostarsi a Wiesbaden, all’angolo opposto della Germania. Aveva avuto 16 presenze, con 17 reti, nella nazionale tedesca tra il 1937 e il 1941, allenato da Sepp Herberger, e proprio Herberger fu il suo avversario nelle due sensazionali partite che la Saar giocò contro la Germania Ovest nelle qualificazioni per i Mondiali 1954. Sì, destino, o sorteggio pilotato, e non poche voci sollevarono questa ipotesi. Terza squadra la Norvegia, all’epoca piuttosto modesta, mentre le due ‘tedesche’ potevano contare su elementi di alto livello. La nazionale della Saar era in pratica il Saarbrücken più qualche altro elemento, e dunque poteva contare su coesione e spirito di gruppo, ottimamente coordinati da Schön: alla prima partita, il 24 giugno 1953, sotto 2-0 a Oslo rimontò e vinse 3-2 nonostante fosse rimasta in dieci e con Puff - quello che avrebbe poi commesso quell’autogol contro il Milan - in campo con una gamba sola, causa frattura al perone. Dopo l’1-1 della Germania Ovest a Oslo, a Stoccarda l’11 ottobre 1953 si giocò la prima storica partita tra le due nazionali, in un clima davvero particolare: dal punto di vista politico la tendenza espressa ormai da anni stava spingendo verso una riunificazione, ma il campo raccontava altro, e in più c’era il paradosso, inaccettabile agli occhi di molti, per cui di fatto una squadra di club che partecipava ai campionati tedeschi contendeva la qualificazione ai Mondiali alla nazione che la ospitava. Il cerimoniale risentì della situazione anomala: per evitare imbarazzi, visto che la Saar era formalmente ancora sotto influenza francese, la sua bandiera non fu esposta allo stadio, dove sventolò solo quella olandese dell’arbitro, e non furono eseguiti gli inni. Finì 3-0 per la Germania nonostante l’assenza dei due Walter e di Werner Kohlmeyer, esponenti di punta del blocco-Kaiserslautern, anche se solo nel secondo tempo venne piegata la compattezza degli ospiti, e con il successivo 0-0 tra Saar e Norvegia e il 5-1 tedesco agli scandinavi si arrivò al 1954 con due vittorie e un pareggio per la Germania Ovest e una vittoria e un pareggio per la Saar. A decidere tutto poteva dunque essere la sfida di ritorno a Saarbrücken, prevista per il 28 marzo, ma solo la vittoria dei padroni di casa avrebbe permesso loro di andare allo spareggio, circostanza che portò Helmut Rahn, l’attaccante, a dire scherzosamente "mica male come prospettiva, cosa c’è di più bello di Parigi in primavera?". Il clima lo si può immaginare: oltre 53.000 spettatori al Ludwigspark e come prevedibile un’attesa pazzesca, evidenziata dalle pagine su pagine che il settimanale Kicker dedicò alla sfida, dalla corsa ad acquistare televisori e al tentativo di molti di captare il segnale della televisione tedesca, dato che quella locale non avrebbe trasmesso la gara in diretta. Anche qui ci furono imbarazzi per il cerimoniale, e si decise di soprassedere all’esecuzione degli inni, con un risvolto ulteriore: ad un certo punto, prima del via, dalla boscaglia dietro i distinti arrivarono le note di quello tedesco, diffuse da qualcuno che si era portato appresso un rudimentale giradischi. Sugli spalti e fuori 900 agenti di polizia e alla vigilia una pericolosissima gaffe: sul programma ufficiale si dava infatti il benvenuto agli ‘ospiti che vengono dal Reich’, Reich che ovviamente si era dissolto nel 1945. Sul campo, l’immenso Max Morlock, già autore di una doppietta all’andata, e a cui è ora dedicato lo stadio del Norimberga, segnò dopo 36’ e 48’, la Saar accorciò al 68° con un rigore di Herbert Martin, a cui era stato prima annullato un gol per fuorigioco molto dubbio, poi a 6’ dalla fine i tedeschi segnarono il terzo gol con Hans Schäfer, l’esterno del Colonia, anche se ci fu una probabile carica sul portiere. Finì dunque lì la speranza mondiale della Saar, la cui nazionale giocò poi ancora nove partite, per un totale quindi di 19, chiudendo il 6 giugno 1956 con una sconfitta 3-2 ad Amsterdam contro l’Olanda. Nel 1955, del resto, il plebiscito determinò la fine della Saar come nazione indipendente e il passaggio alla Germania, e la federazione nel 1957 entrò a far parte di quella tedesca. Mentre la Germania Ovest, come noto, quei Mondiali 1954 finì addirittura per vincerli, in un trionfo inatteso che fece molto anche per ridare fiducia alla nazione intera, nove anni dopo le rovine della guerra. All’edizione giocata in Svizzera la federazione tedesca invitò giocatori e staff della nazionale della Saar, per la gioia di alcuni di loro, che al di là dell’orgoglio di atleti si erano sentiti a disagio all’idea di battere la nazione a cui sentivano di appartenere. Addirittura, alla vigilia di quella partita del 28 marzo passanti e commercianti avevano redarguito vari di quei calciatori, facendo loro capire che sarebbe stato un tradimento se la Saar avesse eliminato la Germania. Vent’anni dopo il trionfo di Berna, o Miracolo di Berna, Germania Ovest-Ungheria 3-2, la nazionale tedesca vinse il suo secondo titolo mondiale, battendo l’Olanda 2-1 a Monaco. L’allenatore era Helmut Schön, succeduto a Herberger nel 1964, mentre il responsabile del comitato organizzatore era Herman Neuberger. Che un anno dopo sarebbe diventato presidente federale e nel novembre 1990 avrebbe posato con il collega Hans-Georg Moldenhauer, della federazione della Germania Est, in una foto storica, che li ritraeva ai due lati di un’auto Trabant adornata con i simboli delle due federazioni: la stretta di mano sanciva l’assorbimento della struttura tedesco-orientale in quella della ormai ex Germania Ovest, e chiudeva così dopo 40 anni un lungo periodo in cui le nazionali germaniche erano state ora due, ora tre.

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