Il giro del mondo di Vincenzo Annese, 11 Paesi in 11 anni: "Ma sogno l'Italia prima o poi"

Rumore di palloni in sottofondo e saluti in lingua francese, inizia così la nostra intervista: "Sono in palestra, stiamo per iniziare l'allenamento con i ragazzi", spiega. Vincenzo Annese, 41 anni, origini pugliesi ma spirito da esploratore di altri tempi: partito da Molfetta, in provincia di Bari, in poco più di un decennio in panchina è stato in Lettonia, Estonia, Armenia, Ghana, Palestina, Indonesia, Kosovo, Belize, India, Nepal e Afghanistan. Rigorosamente in quest'ordine. Undici Paesi e quattro continenti, un mappamondo calcistico da far invidia a Marco Polo e Cristoforo Colombo, la valigia sempre in mano per amore del pallone. Oggi è il direttore tecnico della nazionale del Burkina Faso, una delle formazioni più quotata in vista della Coppa d'Africa 2026: "Per la mia filosofia ogni incarico deve essere sempre un po' più ambizioso di quello precedente", spiega. Tanti chilometri, tante persone e tanti Paesi, ma il richiamo di casa è sempre forte: "Spero di tornare un giorno, allenare in Italia sarebbe il sogno della mia carriera". Una 'fuga di cervelli' calcistica in piena regola, a tempo determinato però. Come ogni esploratore che si rispetti. Nel suo curriculum ci sono paesi come Estonia, Lettonia, Armenia, India, Ghana e Indonesia: com’è iniziata la sua storia di allenatore giramondo? “Sentivo l’esigenza di provare un’esperienza diversa, di avere un ruolo di maggiore rilievo. Ho incominciato nella mia regione, in Puglia, dove all’Andria e al Foggia ho fatto il preparatore atletico e anche l’assistente, ma mai l’allenatore. Mi sentivo pronto per fare un passo in più, ma mi sono state chiuse diverse porte nel professionismo. Così ho deciso di provare all’estero, dove vedevo che diversi ragazzi della mia età riuscivano ad avere più spazio: ho cominciato piano, dalla Lituania, poi Lettonia, Estonia, Armenia, sempre con ruoli di maggiore rilievo. La voglia di allenare era troppa” Il suo palmares è poco “convenzionale”, quale titolo o stagione le ha dato le maggiori soddisfazioni? “Difficile scegliere. Direi i due campionati in India con il Gokulam Kerala, vinti consecutivamente e facendo segnare il record di vittorie. Mai nessun allenatore ci era riuscito, né indiano né straniero. È stato un periodo bellissimo della mia vita e della mia carriera, che mi ha permesso di giocare la Champions League asiatica e di farmi notare a livello internazionale: poco dopo infatti sono arrivate le esperienze in Nepal e in Afghanistan” Ha lasciato l’Italia presto, come mai ha deciso di costruire la sua carriera all’estero? Se fosse rimasto nel nostro paese, dove sarebbe oggi? “Ci penso spesso. Perché penso di essere una persona molto professionale. Ho lasciato l’Italia a 27/28 anni, vorrei tanto tornare, spero mi capiterà un’occasione prima o poi. Purtroppo non so se succederà mai, perché nel nostro Paese è difficile fare una carriera di un certo livello senza essere stato anche calciatore di un certo livello. Penso per esempio a Maurizio Sarri, storie come la sua ce ne sono poche. Credo molto nel valore della gavetta, nell’imparare a gestire uomini e spogliatoi. A chi viene chiamato in panchina poco dopo aver smesso di giocare credo manchi qualcosa, proprio a livello di gestione. Ripenso ogni tanto a cosa sarebbe successo se fossi rimasto in Italia: la mia carriera ormai ha preso questa direzione e va benissimo così” Ha iniziato come preparatore atletico, pensa sia stato un vantaggio? “Ho iniziato come preparatore perché era l’unico ruolo per riuscire a entrare in uno staff di alto livello. Da calciatore ho avuto tanti infortuni, ho sempre trovato affascinante vedere come le terapie e i metodi di recupero funzionavano sul corpo degli atleti. Tant’è che sono laureato in Scienze Motorie. Poi l’ho anche studiata a Coverciano. Mi piace molto il lato della preparazione atletica dei giocatori, anche perché è un modo per ‘studiare’ gli atleti sotto il profilo umano. Trovo che un allenatore moderno debba avere tante competenze diverse, oltre alla preparazione tattica: saper capire i suoi atleti, sapere quali metodi di allenamento funzionano meglio, essere in grado di approcciarsi psicologicamente con i calciatori, seguirne la dieta. In questa professione è importantissimo essere sempre informati e aggiornati” Crescendo chi era il suo modello di riferimento in campo? Successivamente, chi lo è stato in panchina? “Da bambino ero innamorato del Foggia di Zeman, per il suo gioco spettacolare e la capacità di lanciare senza paura ragazzi giovani. Crescendo sono cambiato, ho studiato tanto e mi sono ‘evoluto’. Oggi come modello di gioco e anche come stile mi ispiro molto ad Antonio Conte: perché abbiamo un background simile e perché anche io credo molto nell’importanza della parte atletica e nell’istillare ai miei giocatori la voglia di vincere a tutti i costi” Durante quale delle sue esperienze, finora, si è trovato meglio extra campo? Come qualità della vita, rapporti umani e bellezze naturali? “Il Belize è un Paese meraviglioso, si riusciva a fare il bagno ogni giorno in un mare cristallino. In India le persone sono fantastiche. Il fatto di non fermarmi mai per troppo tempo in uno stesso posto è una scelta dettata dall’ambizione di voler salire sempre a un livello più alto, non è mai stata una questione extra campo. Quella che mi ha più cambiato professionalmente è stata l’Indonesia: a ogni partita c’erano 60/70mila tifosi allo stadio, e diverse migliaia a ogni sessione di allenamento. Un seguito da far invidia ai migliori top club europei. Tutt’ora in Indonesia, anche se è passato qualche anno, la gente mi ferma per una foto o un saluto. Lì credo di aver lasciato il ricordo più bello” Oggi è il direttore tecnico del Burkina Faso, come mai questa scelta? “È stata una scelta molto più semplice di quanto si possa pensare. Perché è una squadra che ha il materiale umano per vincere. Ho a che fare con giocatori di Premier League, Ligue 1, Bundesliga, calciatori che hanno fatto o stanno facendo la Champions League e le coppe europee come Tapsoba, Kouakou e Ouattara. Non potevo dire di no, stiamo parlando di giocatori importanti nel panorama continentale. Possiamo fare qualcosa di importante nella prossima Coppa d’Africa. E poi le persone qui sono favolose” Che valori tecnici ha una nazionale come quella del Burkina Faso, lontana dai riflettori del calcio “canonico”? C’è un obiettivo che si è posto per questo progetto? “I valori di una squadra importante, con un budget importante. È al 52° posto del ranking Fifa, una delle più quotate in Africa. Sarebbe un’avversaria ostica anche per una nazionale come l’Italia. Non la definirei così distante dai livelli del calcio ‘canonico’. Come detto possiamo fare molto bene in Coppa d’Africa” Com’è la vita per un italiano in Burkina Faso? La sua giornata tipo? “È la vita di una persona sempre in viaggio. Non mi fermo mai per più di qualche giorno, la valigia è sempre pronta per andare a seguire i calciatori in giro per il mondo e avere con loro un rapporto il più diretto possibile. Ci sono stato tante volte, è un Paese che conosco bene: ricchissimo di talento e di belle persone. È una nazione vivace, tranquilla, che merita di essere visitata. Soprattutto Ouagadougou, la capitale” In precedenza è stato anche Ct di nazionali come il Belize e il Nepal. Come ci si organizza da un punto di vista logistico per questo tipo di incarico? Per lo scouting, la comunicazione e i trasporti. “Non è facile. Ho cercato per quanto più possibile di occuparmene in prima persona, visti i contesti insoliti. In Nepal per esempio ho organizzato dei tornei locali per capire chi poteva valere una convocazione, oppure sono andato a seguire anche il campionato di calcio a 5 per allargare il bacino di giocatori. In Belize invece è stato più agevole, dal momento che quasi tutti i calciatori della nazionale giocano nel campionato locale” L’aneddoto più particolare, originale, incredibile che le è capitato durante i suoi viaggi? In positivo ma anche in negativo. “In Indonesia, una volta, dopo aver vinto una partita siamo stati presi d’assalto dai tifosi avversari. Siamo dovuti rimanere per quasi una giornata chiusi nello spogliatoio, con le forze di polizia fuori a cercare di ristabilire l’ordine. Ci hanno portato da mangiare dall’esterno, noi non potevamo muoverci. L’abbiamo sempre presa sul ridere, non so se sia un’esperienza positiva o negativa, di certo è stata particolare. Oppure in India, quando dopo la vittoria del campionato siamo andati in giro per le vie della città ma c’erano talmente tanti tifosi che abbiamo completamente bloccato il traffico di Kozhikode” Si augura prima o poi di mettere la “bandierina” anche sul mappamondo del calcio italiano? Le manca il nostro paese? Segue il nostro campionato? “Me lo auguro con tutto il cuore. Intanto di raggiungere il professionismo italiano, sarebbe un primo passo, poi di arrivare in Serie A un giorno. È il mio sogno. Il nostro calcio è sinonimo di qualità e di tattica, anche all’estero. Ce lo invidiano. Mi manca tanto, e quindi lo seguo, sia la Serie A che la Serie B e la Serie C. Faccio il tifo per il Venezia, che è un club storico con una grande rosa e un grande allenatore. E ovviamente seguo il Napoli, perché ammiro molto lo stile di Antonio Conte, bravissimo a tirare sempre fuori il meglio da tutto e tutti” Una squadra o un giocatore che la sta impressionando? “Anguissa, del Napoli. Fino all’infortunio è stato devastante, in attacco come in difesa. Uno dei migliori centrocampisti della Serie A per distacco. Mi piace molto Matteo Palma, il difensore centrale dell’Udinese: farà tanta strada, è forte e ha grande personalità. Ammiro molto anche Davide Nicola, per la sua capacità di gestire al meglio sia la parte tattica sia la parte psicologica dei suoi giocatori. Ha fatto un lavoro splendido a Cagliari e lo sta rifacendo a Cremona” Chi vince secondo lei la Serie A? Chi saranno le prime quattro? “Bellissima lotta quest’anno. Se la Roma dovesse riuscire a fare qualche acquisto a gennaio, per sopperire alle diverse assenze, potrebbe davvero farcela. La lotta sarà con quelle che sono davanti in questo momento, quindi il Napoli, l’Inter e il Milan. La Juve con il cambio in panchina farà di sicuro tantissimi punti, ma la vedo ancora leggermente staccata”

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Simone Dagani