Il trionfo tattico di Paulo Fonseca al Bernabeu

Ne ha viste tante nella vita Paulo Fonseca, forse anche per questo la prima immagine della sua prima visita al Santiago Bernabeu sono stati quegli occhi lucidi durante il minuto di raccoglimento per le vittime di Valencia: il figlio di un militare portoghese di stanza in Mozambico nato appena prima della rivoluzione dei garofani e il marito di una donna ucraina di Donetsk evidentemente sa cosa siano le tragedie e cosa significhi per una persona perdere tutto. Ma probabilmente sa anche come si ricostruisce tutto, come imprimere una svolta a una situazione che pare compromessa. Fonseca ne ha già viste parecchie anche in questi suoi primi mesi da allenatore del Milan, e già due volte ha ribaltato lo scenario nel momento più caldo possibile, in tutti i sensi. Se quella di Madrid sarà la notte della svolta nella stagione del Milan lo vedremo in seguito, di sicuro una certezza ce l'ha data: che Paulo Alexandre Rodrigues Fonseca è sì un gran signore, ma anche un signor allenatore. Sì perché il trionfo madrileno ha ricordato per modalità e portata quello del derby, visto che di nuovo alla base di una metamorfosi tanto inattesa quanto ammirabile c'è stato un colpo di volante profondo sul piano tattico e strategico. E ancora una volta ha avuto tratti ingannevoli, perché se a posteriori il roboante 4-2-4 opposto all'Inter è risultato una finissima mossa difensiva, che ha permesso al Milan di migliorare il pressing e blindare la fascia centrale del campo, il sistema con difesa a cinque ma poi mutevole e fluido con cui si è presentato a Madrid è stato sì un voler aggiungere blindatura, ma anche possibilità di avere protagonismo con la palla fra i piedi. Due interpretazioni quasi agli opposti che però hanno avuto il comune denominatore di mandare in confusione un avversario favorito e di togliergli certezze, oltre al fatto di aver colpito su palla inattiva , il che è un'altra testimonianza di profondità e qualità nel lavoro quotidiano sul campo. Fonseca ha trovato il modo di imbottirsi nel punto in cui l'avversario minacciava di essere più pericoloso e allo stesso tempo di sfruttare la forza nel settore che si segnalava come il più promettente. Ha scelto Musah a destra e Leao a sinistra. Ha visto nel dinamismo e nella potenza muscolare dell'americano il potenziale per alzare l'argine dalle parti di Vinicius, ha rischiato perché ha affidato a un giocatore ancora un po' tendente all'anarchia tattica la chiave di tutto il piano però ha visto giusto: alla vigilia si temeva particolarmente la vorticosa capacità di incendiare la profondità di Vini, Mbappé e Bellingham opposta a un Milan che tante volte ha dimostrato di avere problemi enormi nelle coperture preventive e nelle scelte individuali quando attaccato verticalmente, e invece quello che si è visto fin da subito è stato un blocco ordinato e compatto, che aspettava con una linea difensiva a cinque davanti alla quale si formava una sorta di imbuto di centrocampo con Fofana piazzato davanti al pacchetto arretrato affiancato da Pulisic e Reijnders. Di fronte a questa barriera, il Real Madrid si è scoperto confuso e spaesato, oltre che troppo compassato e sgonfio per poter fare qualcosa di collettivo. E visto che Mbappé sembra aver perso il killer instinct, che Bellingham vaga alla ricerca di una meta in campo che non riesce più a trovare e che Vinicius non sta vivendo i gironi più sereni della sua carriera e trasuda frustrazione, il piano ha cominciato a dare fiducia ai rossoneri e a toglierne ai rivali. Anche perché il Milan, oltre ad aver mostrato una determinazione e una ferocia nettamente superiori, non ha mai rinunciato alla parte attiva della partita. Nel momento in cui aveva la palla, Musah si alzava subito facendo passare la difesa a quattro, Morata si abbassava trasformando l'imbuto difensivo in un rombo di qualità che alimentava il possesso palla aprendo sempre linee di passaggio, e la potente fascia sinistra entrava in gioco, andando a stressare il punto debole più visibile del Real Madrid, rappresentato da un settore destro dove l'infortunio gravissimo di Carvajal ha spalancato una voragine, specialmente quando persino Fede Valverde passa una serata opaca. Questo il pensiero e il disegno di Fonseca, che poi ha trovato compimento grazie alla strepitosa prova individuale degli interpreti, da Maignan che ha parato tutto il parabile, a Morata che aveva dei sassolini da togliersi e al di là di questo è un centravanti di manovra di massimo livello, a Tijjani Reijnders che continua a fare gol oltre che fornire regia illuminata e copertura di una porzione ampissima di campo, fino a Rafael Leao. Il più atteso di tutti. Fonseca gli ha ridato la titolarità dopo tre panchine consecutive e un'infinità di discorsi, ottenendo quel Leao che tutti vorremmo vedere sempre ma che da tempo non ammiravamo. Leao è stato un fattore determinante della partita pur senza fare gol, entrando però in tutti e tre sciorinando finalmente l'intero campionario dei suoi non comuni talenti. Il portoghese è stato il milanista che ha prodotto più tocchi nell'area avversaria, che ha trovato più passaggi negli ultimi trenta metri di campo, che ha fatto più dribbling, che ha percorso più metri con la palla al piede ma anche che ha recuperato più palloni. Finalmente una prestazione da campione, perlopiù sul palcoscenico del famigerato 'miedo escenico'. Se poi sia stata la gestione di Fonseca o un moto d'orgoglio personale del diretto interessato a ricordarci che Rafael Leao può giocare a calcio come pochi altri al mondo sarà da capire sul lungo periodo, così come se il Milan avrà la capacità di prendere quella continuità che finora non ha avuto. Intanto però da Madrid è tornato con un altro capitolo dorato da aggiungere ai suoi 125 anni di incredibile storia, e con la consapevolezza che di problemi da risolvere ce ne sono ancora, ma che l'allenatore non è assolutamente uno di questi.