La storia del Maksimir: cosa attende stasera il Milan a Zagabria

L’imponenza, lo splendore, lo squallore, il dissesto. E la sfortuna, volendo. Lo Stadio Maksimir di Zagabria, che ospita il Milan nell’ultima giornata della prima fase di Champions League, è una miscela di tutto questo, è una colossale contraddizione che l’ha trasformato nel raro caso di impianto di una capitale che mostri assieme maestosità e degrado. Uno stadio atipico già nelle forme: tre lati a rettilineo e una curva destinata normalmente agli ospiti. E delle due tribune, quella principale è a due piani, scoperta come quella di fronte, corrispondente ai distinti, che è però a gradinata unica. Il settore dei tifosi di casa, nord, è un’imponente struttura a due piani, 36 metri in tutto, caratterizzata da un altissimo muro ora decorato da una colossale scritta, Bad Blue Boys, ad annunciare la presenza, al di sopra, dei notissimi ultras, con i loro striscioni e la loro dedizione, a volte sopra le righe, ma non è questo l’ambito in cui parlarne. La curva ospite pare lontanissima dal settore di casa, anche perché così è: in mezzo una decina di metri, il campo, una buona ventina di metri composti dalla ex pista di atletica e da un corridoio di separazione. Se non sono numerosi, i tifosi in trasferta non si sentono nemmeno, dal lato opposto dello stadio, e tutto questo è effetto della trasformazione incompiuta di questo impianto, specialmente nel 1998 e nel 2011, tappe di una storia complessa come quella di molte strutture sportive e molti club dell’ex blocco sovietico. La Dinamo Zagabria infatti è erede dell’HAŠK e del Građanski , i primi club di rilievo che all’inizio del secolo scorso avviarono la tradizione del calcio a Zagabria: nati entrambi su iniziativa di professionisti o studenti che volevano creare entità sportive patriottiche, in un periodo in cui la Croazia faceva parte dell’Impero Austro-ungarico e la fortissima influenza ungherese aveva fatto ipotizzare che eventuali club locali sarebbero stati di fatto coscritti nel torneo magiaro, di cui nel 1901 era stata giocata la prima stagione. Qualcosa di austro-ungarico c’era, ovvero il fatto che il Građanski fosse stato fondato in un caffé, ma a parte questo aneddoto i due club crebbero di pari passo, distinti dopo qualche tempo dal diverso bacino di utenza: più popolare il Građanski, più elegante e ambizioso l’HAŠK, che divenne parte dell’Università di Zagabria ed attirava dunque studenti, professori e professionisti. Il Građanski giocava nello Stadion Koturaška, situato lungo l’omonima via, nel quartiere di Trnje appena a sud della stazione ferroviaria: costruito nel 1894 come velodromo, era diventato campo da calcio del primissimo club locale, il PNIŠK , sparito poi nel 1909, e dal 1924 era diventato luogo esclusivo delle partite del Građanski, che in precedenza aveva vagabondato qua e là. L’HAŠK nel frattempo, aveva cominciato a giocare dalla parte opposta rispetto al centro, a est, ai margini del parco chiamato Maksimir, il primo parco pubblico dell’sudest europeo, costruendo nel 1912 un piccolo stadio inaugurato da una serie di amichevoli. Le due squadre, rivali ma legate anche da una sorta di collaborazione volte a migliorare lo stato del calcio croato, presero presto direzioni diverse: mentre il Građanski cresceva fino a vincere il campionato del neonato Regno di Jugoslavia cinque volte , a disputare amichevoli di prestigio in Europa e competere nella Mitropa Cup, l’HAŠK non andava oltre il titolo croato della stagione inaugurale, 1912, chiusasi dopo sole sette partite, e quello del Regno del 1937-38. La storia di entrambe finì con la conclusione della Seconda Guerra Mondiale: avendo fatto parte dello Stato Indipendente di Croazia, alleato di Italia e Germania e da loro controllato dal 1941 al 1943, i sodalizi furono chiusi dalle autorità sovietiche il 6 maggio 1945, 24 ore prima della resa incondizionata della Germania e 26 giorni dopo l’ultimo derby, terminato 2-2. Tempo poche settimane e i sovietici, che avevano avuto l’orrenda idea di bruciare gli archivi dei club come ulteriore punizione, crearono una nuova squadra, appunto la Dinamo Zagabria, che prese i colori del Građanski e lo stadio prima del Concordia poi dal 1948 dell’HAŠK. Il Maksimir, appunto. Che era un ovale con una pista di atletica e piccole tribune, ma che successivamente fu ampliato e completato, con scelte anche ardite e funzionali e il massiccio uso di cemento armato: il progetto iniziale prevedeva una forma a ferro di cavallo con parte ‘aperta’ sul lato nord, quello che dà sulla via chiamata Maksimirska, e tribune ricavate principalmente su terrapieni, ma presto ci fu un salto qualità guidato da un gruppo di architetti, e l’esempio più interessante è quello della tribuna est, anche nella versione moderna. Che incombe su e in parte incorpora la tribuna ovest, più bassa, dello stadio Hitrec-Kacian, che sorge accanto al Maksimir e funge ora da campo di allenamento della squadra. La soluzione, voluta dal celebre architetto Vladimir Turina, che aveva partecipato nel 1948 alle gare di… arte sportiva alle Olimpiadi di Londra, nasceva non dall’esigenza di ottimizzare lo spazio, che non mancava, quanto da quella di costituire un unico stadio suddiviso in due impianti di dimensioni diverse all’interno di un’area verde. Il risultato finale è affascinante, perché osservando dall’alto, o dalla parte orientale della strada Maksimirska, l’idea è davvero quella di due gradinate incastrate, l’una di schiena all’altra, che ricordano il Westfalenstadion di Dortmund e l’adiacente Rote Erde, che però non sono integrate come qui. Per motivi economici il completamento dello stadio fu affidato poi ad un altro professionista, per l’irritazione di Turina, che colpito nell’orgoglio, e non solo, si concentrò per qualche tempo anche nella redazione di scritti sui diritti d’autore in campo architettonico. Lo stadio venne terminato nel 1969 con la costruzione, appunto, del curvone sud, ed aveva un aspetto maestoso, con capienza massima di 64.609 posti, di cui 18.000 nella tribuna est, quella a due piani, e 16.000 in quella nord, contribuendo all’idea di Turina di una struttura che, "attraverso la relazione spaziale con il centro sportivo Svetice [che sorge appena a sud-ovest], la foresta del parco, gli spazi naturali lasciati liberi, la nuova piscina cui è collegato tramite corridoio vetrato, e con tutti i fattori emotivi legati al club e alla posizione geografica, mantiene un alto grado di attrazione e la potenza dello spazio, senza svuotare il primo degli spazi di relazione, ovvero l’essere umano. Un luogo antico, spontaneo, armonico, umano". Belle parole, anche se non sempre lineari, e pazienza se tra le vittime della costruzione ci fu il monastero di Antunovac, che dal 1947 era pure diventato un istituto per bambini disabili: per far posto alla tribuna ovest l’edificio sacro fu abbattuto e le suore trasferite nel quartiere di Nova Ves, dalla parte opposta della città. L’idealismo artistico seppur cementoso di Turina non ha però retto sul piano funzionale al passare del tempo o meglio alle necessità moderne, anche se nel 2021 una mostra tematica ha ricordato il suo contributo alla peculiarità del Maksimir, alla concretizzazione di una sorta di genius loci che una mente come la sua seppe descrivere così, con parole sulle quali molti tifosi possono annuire: "gli stadi e la loro enormità spaziale implicano fattori comuni di tipo emotivo e di identità urbana: si parla del ‘leggendario Maksimir’, tramite i ricordi evocati dal luogo e la spiritualità del fenomeno". Il problema è stato nell’adeguamento ai tempi moderni, a partire dal 1997, con l’installazione dei seggiolini nelle tribune est e sud, la demolizione di quella nord, sostituita dall’attuale struttura con altissimo muro a picco e, dal lato verso la strada, da un complesso moderno, su 200 metri di lunghezza, con vetrate, uffici e vani commerciali. Nel 1999 è stato completato il rifacimento quasi totale della tribuna ovest, con 12.600 posti a sedere e, tra settore basso e settore alto, palchi VIP per 718 persone. Il risultato finale avrebbe dovuto essere quello di un complesso armonico, con strutture agli angoli a collegare le quattro tribune, ma ad un certo punto il progetto si è fermato, per motivi amministrativi ed economici, e al momento chi si avvicina al Maksimir dalla Maksimirska e da ovest, unici ingressi possibili a meno che non si sia tifosi ospiti, vede un esterno maestoso, vetri, finestroni e tinta blu unita, ma una volta entrato si imbatte nel secco cemento armato delle tribune, in gradoni sbrecciati, in aree mal tenute tra scale e gradinati, in toilette portatili perché quelle fisse sono inutilizzabili, in una palese asimmetria. Perché quando nel 2011 sono state eliminate le ultime tracce degli spalti in terrapieno che avevano costituito le basi delle tribune, specialmente est e ovest, al loro posto sono stati eretti muri di altezza solo lievemente inferiore a quello del settore nord, e solo la tribuna principale arriva fino ad altezza campo, spezzata però da due tettoie, situate così in basso che la visuale della parte vicina di campo è ostruita dalle panchine, designate per giornalisti e disabili. A destra, anche per la prospettiva televisiva, abbandonata e distante, la curva sud: perché tutte queste tribune, specialmente quelle dietro le porte, furono costruite decisamente all’esterno della pista di atletica, e il campo è molto lontano, anche se - perlomeno - quella nord, quella degli ultras di casa, essendo parallela alla linea di fondo concede una visuale molto migliore. Ah, dal 2020 la tribuna est è chiusa, limitando la capienza a 25.912 spettatori: il terremoto che colpì Zagabria il 22 marzo mise fuori agibilità l’intero settore, che da quel giorno non è più stato riaperto, e ora è un semplice sfondo, suggestivo per la scritta GNK DINAMO ma desolante per l’horror vacui che suscita. Tirando le somme, la ricostruzione parziale, l’inagibilità del settore est, l’incuria delle parti non calpestate ma visibili al pubblico, tutti fattori per i quali molti tifosi incolpano dirigenza e autorità cittadine, hanno contribuito nel 2023 a fare del Maksimir, secondo una ricerca che ha esaminato i commenti su piattaforme come Google, TripAdvisor e altre specializzate in stadi, il terzo impianto più brutto d’Europa. Anche per questo, invitando i tifosi ad una giornata di visite guidate gratuite, in vista dell’inizio della stagione 2024-25, il club aveva usato le parole "fino a che non avremo uno stadio nuovo, siamo legati al Maksimir così com'è, un oggetto temporaneo la cui apparenza può tranquillamente appoggiarsi ad un campagna promozionale chiamata 'Il calcio com'era una volta...'. Tuttavia, è meglio descriverlo con una parafrasi di un celebre film: 'Non vale molto, ma non permettiamo che venga insultato", così come è vivo il ricordo dei quasi 17 anni di fila in cui la nazionale croata fu imbattuta qui, 1992-2008. Certo, la memoria è segnata anche da eventi di tutt’altro tipo, come la storica sfida del 13 maggio 1990 tra Dinamo e Stella Rossa, uno degli episodi più noti nella storia del calcio della Jugoslavia: gli scontri in campo tra tifosi, e in quelli ospiti c’erano i Delije guidati da Željko Ražnatović, noto come Comandante Arkan, che portarono all’annullamento della partita e ad un alto numero di feriti, oltre 60. Fu la giornata del celebre calcio di Zvonimir Boban, il capitano della Dinamo, ad un poliziotto, Refik Ahmetovic, che come molti suoi colleghi era parso troppo permissivo verso i tifosi serbi. C’è anche chi considera quell’episodio come causa scatenante, o una delle cause scatenanti, della guerra di indipendenza croata: le tensioni erano altissime dopo la recentissima vittoria, nelle elezioni locali, dell’Unione Democratica Croata, sostenitrice di una maggiore indipendenza dalla Jugoslavia, vicende comunque di una complessità e drammaticità che non è qui il caso di toccare. Stadio nuovo, come avete letto? Ecco, nel corso degli anni sono venuti fuori progetti su progetti per rifare il Maksimir, portandolo a diventare uno stadio degno di una capitale. Uno di questi era legato alla fallita candidatura di Croazia e Ungheria per ospitare gli Europei 2012, assegnati invece alla coppia Polonia-Ucraina, e la conseguenza era stata nel rimaneggiamento del 2011, mentre successivamente sono stati elaborati un Progetto Maksimir, per l’abbattimento dell’attuale stadio e la sostituzione, nel medesimo luogo, con un impianto modernissimo, e un Progetto Volkan, che prevedeva la costruzione, in quartiere a sud del fiume Sava, e dunque in tutt’altro luogo da quello attuale, di un fantasmagorico stadio con copertura a forma di vulcano blu. Il Volkan di fatto fu approvato, ma un referendum per la decisione finale, più volte rimandato, non si è poi mai tenuto e nelle ultime settimane del 2024 il sindaco Tomislav Tomašević ha annunciato il via libera alla ristrutturazione quasi totale dello Stadion Kranjčevićeva , a ovest del centro, non lontano dal museo dedicato all’indimenticabile giocatore di basket Drazen Petrovič: apertura prevista per il settembre 2026, costo di 44 milioni di euro interamente di denaro pubblico, capienza che potrebbe arrivare a 11.163 spettatori. Una soluzione definitiva per il quartiere e squadre minori, compreso l’attuale padrone di casa, il Lokomotiva, peraltro è qui solo per l’inadeguatezza del suo impianto, e soluzione temporanea per Dinamo e nazionale, mentre si procede con il Progetto Maksimir, grazie anche alla recente designazione dello stadio, e del leggendario Poljud di Spalato, casa dell’Hajduk, come monumento di interesse nazionale. Il che non vuol dire che non si possano buttare giù o ristrutturare in modo massiccio, ma semplicemente che gli interventi potranno essere finanziati con agevolazioni e contributi pubblici, aspetto elogiato dal presidente della federazione calcio, Marijan Kustić, e dal Ct Zlatko Dalić, precedentemente indispettiti dall’immobilismo delle istituzioni anche in presenza dei grandi risultati della nazionale, "e ora i nuovi impianti saranno il lascito significativo e visibile della generazione guidata dal capitano Modrić", nelle parole proprio di Dalić. Va però detto che in alcuni media c’è la preoccupazione che il progetto rimanga solo sulla carta e che la soluzione Kranjčevićeva da temporanea diventi definitiva, o perlomeno si protragga per troppo tempo, riducendo quindi la Dinamo e la nazionale, se non andrà altrove, a giocare di fronte a poche migliaia di spettatori proprio in un momento storico di grande popolarità e rilancio. C’è poca fiducia nelle istituzioni, sentimento che nasce dai tanti tentativi precedenti andati a vuoto, e nemmeno la chiarezza delle parole del sindaco è servita a smorzare i dubbi. Quello che è certo è che il Milan e i suoi tifosi, per l’ultimo turno di Champions League, sono in uno stadio storico, e tanto vale viverlo fino in fondo e assorbirne lo spirito e le strutture, così diverse da quelle dello Slovan Bratislava, sede della precedente trasferta europea dei rossoneri, due mesi fa. Per paradosso, le intenzioni ecologiche dello Stadion Kranjčevićeva, con una piazza, 150 alberi piantati, pannelli solari sul tetto, decorazioni floreali alimentare da acqua piovana, ricordano molto quelle del Tehelné Pole, proprio lo stadio dello Slovan.

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Roberto Gotta