Amo il calcio italiano, ecco perché sono arrabbiato

Sono arrabbiato. E lo sono perché amo il calcio italiano. Una sola squadra italiana agli ottavi di Champions League è una cattiva notizia. Non un disastro. Non una crisi. Ma neanche una casualità. Con le tre finali del 2023 e il secondo posto nel ranking dell’anno scorso ci eravamo detti che il calcio italiano era rinato. Oggi, invece, c’è chi minimizza o chi parla di catastrofe. In tutti i casi, si esagera. Non eravamo fenomeni prima, non è un disastro ora. Bisogna analizzare quello che è successo con lucidità, senza inutili allarmismi ma sottolineando quelle che sono le reali criticità del nostro calcio. Minimizzare quanto accaduto non fa bene al calcio italiano. Noi che commentiamo e analizziamo non possiamo cambiare il calcio, ma possiamo aiutare a stimolare a far meglio. In Inghilterra sono sempre molto severi nel commentare le loro squadre e questo va di pari passo con la crescita del loro calcio. Sono enfatizzanti e trionfanti nelle vittorie per loro natura, ma sono anche molto severi e critici nelle sconfitte e nei momenti difficili. Sanno essere equi. Sottolineano meriti e demeriti allo stesso modo, senza fare differenze. Non dico che dobbiamo prenderli da esempio o imitarli, però il loro atteggiamento ci può far riflettere sul perché il loro intero ambiente cresce. Personalmente, sono fermamente convinto che trovare sempre giustificazioni non aiuti a crescere. Io credo che il calcio italiano sia a un buon livello medio. E infatti negli ultimi anni siamo arrivati con continuità in finale di Europa e Conference League, a volte vincendo e altre perdendo. In Champions League, invece, facciamo – nel complesso – molta più fatica. Essere a un buon livello medio significa uscire ai playoff con Psv, Feyenoord e Bruges? Certo! E vi spiego perché, analizzando squadra per squadra come si è arrivati a queste eliminazioni. Atalanta Partiamo dal presupposto che il progetto Atalanta è bellissimo e un esempio per tutto il calcio italiano. Riconosco grandi meriti a Gasperini, ai Percassi e ai giocatori. Credo però ci sia stato un eccesso di complimenti nei loro confronti. L’Atalanta non era il Barcellona o il City di Guardiola. Ha vinto l’Europa League con grande merito, ma non è una squadra di fenomeni. Se poi arrivi a una sfida decisiva senza tre titolari e con due titolari stremati, le cose si complicano. Per mesi abbiamo giustamente elogiato le qualità di Ederson, ma ora il brasiliano sembra non avere più energia. Corre solo in orizzontale e non è più il giocatore dominante di qualche settimana fa. Anche De Roon sembra molto stanco e in quel ruolo l’Atalanta non ha riserve di livello. Lookman non era al meglio, mentre De Ketelaere è un giocatore di talento ma non un campione. Anche qui, nel giudicarlo è sempre mancato equilibrio. Non è scarso ma neanche un fenomeno. Ha talento e qualità, ma è discontinuo. L’Atalanta non è una squadra pronta e costruita per vincere sempre, a dispetto di quanto si è detto negli ultimi mesi. Sì, avrebbe potuto battere il Bruges, ma solo se al completo e al top della condizione. Milan La situazione del Milan è ben diversa. I problemi del Milan nascono da più lontano e, per quanto mi riguarda, dalla società. A me sembra che ad alcuni elementi di questa squadra manchi l’etica del lavoro, cosa che – per quanto mi riguarda – è gravissima. Ho visto le immagini della rifinitura prima di Milan-Feyenoord e ho notato che durante la corsa Leao, Theo e Tomori erano in fondo al gruppo a ciondolare. Quando io ero al Milan i giocatori più importanti come Baresi, Maldini, Costacurta e Tassotti erano sempre in prima fila a guidare il gruppo. I giocatori più forti devono essere davanti a tutti, dettare il ritmo ed essere da esempio. In questo Milan, invece, i giocatori più talentuosi non trascinano. Quando vedo il rosso di Theo Hernandez non mi stupisco, perché ripenso alle parole di Pioli di qualche mese fa. Ha raccontato che quando era al Milan doveva stimolare ogni giorno Theo. Ma cosa vuol dire? Dal mio punto di vista, è una blasfemia calcistica. Sei un professionista, sei tra i più pagati della squadra, di che stimoli hai bisogno? Se ci pensate, anche quando giocate con i vostri amici vi arrabbiate con chi non dà il massimo, anche se poi tecnicamente è il più forte. Non esiste. Anzi, proprio perché sei il più forte, devi dare di più. Sono rimasto stupito quando ho letto le regole che ha introdotto Conceicao al Milan. Per me, comportarsi da professionista è la base di tutto. L’etica del lavoro esiste in qualsiasi contesto lavorativo. Puoi essere più bravo in un aspetto e più scarso in un altro, ma non esiste non essere professionali. Siamo stati tutti ragazzi, ogni tanto si può andare a un concerto o a una sfilata o a una festa. Ma non a tutte e tre nella stessa settimana e nell’imminenza di partite importanti, con tutta la stanchezza che ti porti dietro e la difficoltà nel recuperare. E qui, però, è la società che deve farsi sentire e richiamare all’ordine, soprattutto in una società importante e blasonata come il Milan. Il Feyenoord è passato schierando da titolari giocatori del 2005 e del 2006, uno dei quali era il sostituto di Gimenez. Uno smacco. Ma il Milan avrebbe dovuto vincere anche contro il Feyenoord dei titolari. Non ci è riuscito perché è mancata serietà, disciplina e partecipazione. Non credo di avere la verità in tasca, ma sulla disciplina e gli atteggiamenti non transigo. Ce lo ha detto anche Velasco nella sua ultima intervista a Sky: cosa hanno di speciale i campioni? Si allenano come, se non di più, dei gregari. Il Milan ha tanti buoni giocatori, calciatori di talento ma non campioni. I campioni ti fanno vincere con continuità, i giocatori di talento ti fanno vincere ogni tanto. La serietà è fondamentale per vincere con continuità. Juventus Altra squadra, altro capitolo. Rispetto al Milan e all’Atalanta, la Juventus è in un momento completamente diverso. In primo luogo, voglio sottolineare un aspetto positivo: da quel che sembra, tutti remano dalla stessa parte, tutti stanno con l’allenatore e tutti i giocatori sono bravi ragazzi e di conseguenza buoni professionisti. Nelle interviste sono umili e sanno prendersi le proprie responsabilità. Ho apprezzato che Locatelli si sia presentato davanti ai microfoni e abbia sottolineato la gravità della sconfitta. A differenza dei giocatori del Milan, che non hanno parlato e si espressi solo su Instagram… Anche in casa Juve, però, ci sono dei problemi. La squadra sembra non aver ancora trovato un gioco, una filosofia. A parte qualche sprazzo di partita, come il secondo tempo contro l’Inter, non abbiamo mai visto una chiara identità. Manca anche continuità. Dopo la vittoria contro l’Inter, ti aspetti una squadra decisa in una gara importante contro il Psv e invece la Juve è stata mangiata dagli olandesi. Il Psv aveva in campo giocatori di 36 e 34 anni come Perisic e De Jong e vedendoli giocare mi sono chiesto “Ma se incensiamo tutti quelli che arrivano in Italia, se questi due arrivassero in Serie A gli facciamo trovare i tappeti rossi?”. E’ chiaramente una provocazione, ma – per tornare ai discorsi degli eccessi – qui in Italia tendiamo a esaltare subito i giocatori dopo una buona prestazione. Lo stesso Kolo Muani, che sta facendo bene in Serie A e che apprezzo, nelle due partite contro il Psv ha fatto fatica. Che significa? E’ un fenomeno perché ha segnato 5 gol in 4 partite di campionato? E’ scarso perché non ha fatto bene contro il Psv? Nessuna delle due. E’ un buon giocatore, ha talento e a sprazzi riesce a incidere ma non è un campione. Ma se dipingiamo un giocatore come un fenomeno dopo due gol contro la terzultima in Serie A, cosa diciamo di Mbappé che ne fa tre al City? Non ci sarebbero più superlativi per esaltarlo... Analizzare le partite è diverso da guardarle. La Juve, come il Milan, può ancora salvare la stagione raggiungendo il quarto posto e vincendo la Coppa Italia, ma per entrambe è troppo poco per ritenersi soddisfatte. I risultati perdono valore se non li fai costruendo parallelamente un’identità. Perché altrimenti in estate devi di nuovo rivoluzionare. Nel post partita di Eindhoven, Locatelli ha ammesso: “Abbiamo perso tutto”. Poco dopo è arrivato l’allenatore e ha detto: “Non abbiamo perso niente”. Niente?! Questa eliminazione è un disastro economico e di immagine per la Juve. Arrivare tra le prime 16 d’Europa è il minimo se ti chiami Juventus. In conclusione… Qualcuno potrà dirmi che sono esageratamente severo. Sì, lo sono ma perché amo il calcio italiano. E proprio perché lo amo sarò sempre più rigido, ferreo e feroce. Non rilassato, mai leggero. E continuerò a essere severo, perché tutti si devono sentire sotto pressione per migliorare. Giustificare non aiuta, perché se falliscono le squadre italiane, falliamo tutti.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Amo il calcio italiano, ecco perché sono arrabbiato

Il paradosso del derby di Milano

Ma Kompany può sul serio tornare in campo?

Cosa sta succedendo alla Lucchese?

Il soldato Bagnaia si è salvato da solo

E se si fosse chiamato Orsolinho?

La rinascita del Frosinone firmata Paolo Bianco