L'Arsenal riaccende la luce, ma la squadra di Arteta può ambire a vincere la Champions?

In un discorso di qualche anno fa, Mikel Arteta prese in mano una lampadina davanti a tutto lo spogliatoio. Gli interpreti del tempo erano per larga parte diversi da quelli attuali ma la clip di quel momento, ripreso da tutte le angolature possibili perché parte integrante di un documentario che sarebbe uscito poco dopo, è tutt’ora costantemente sui feed di tutti i social network. Arteta accende la lampadina e spiega l’importanza dell’energia, della connessione, dell’insieme. Vuole legami. Tra i giocatori e con l’ambiente. Sa che catalizzare ogni singola risorsa in una collezione lucente di energia è l’unico modo possibile per riportare l’Arsenal in luoghi non frequentati da troppo tempo. Negli anni Arteta ha sviluppato un sensazionale lavoro trasversale. Ha creato ‘togetherness’ e ha ripristinato il senso di appartenenza, a lui molto caro avendo indossato la fascia di capitano qualche anno prima. Ha rispolverato la celebre ‘Arsenal Way’, un motto con cui i Gunners etichettano il loro stile di gioco, un modello esportato e conosciuto in tutto il mondo, ideato da Wenger e ora perorato dal suo pupillo basco. Non solo. In piena linea con i principi del club, negli anni Arteta ha incoraggiato la fioritura del sempre florido vivaio dell’Arsenal. Ragazzi come Bukayo Saka, Gabriel Martinelli, Ethan Nwaneri, Emile Smith Rowe, Joe Willock ne sono l’esempio sebbene alcuni abbiano preso strade alternative. Tutti i punti descritti rientrano in un processo che ha assunto le vesti di una vera e propria missione sintetizzata nel diktat ‘Trust the Process’. Ossia, abbiate fiducia nel processo. Proprio qui si addensa la nostra analisi. L’Arsenal non vince una Premier League dai meravigliosi ‘Invincibles’ del 2003/2004. E l’obiettivo principe era e resta riportare il titolo nel nord di Londra. Nelle ultime stagioni, tra l’Arsenal e la corona si è frapposto un enorme ostacolo chiamato Manchester City. Eppure il gap lentamente ma gradualmente si è ridotto. Basti pensare all’ultima giornata della scorsa stagione con l’Arsenal ancora in corsa per la vittoria finale. Nel saluto al pubblico dopo la partita con l’Everton con la triste medaglia d’argento al collo, c’era la sensazione che l’anno successivo, ossia quello attuale, potesse, per non dire dovesse, essere l’anno buono. Ai primi di marzo però l’Arsenal si trova in una situazione paradossale. Fuori dalle coppe nazionali, a -13 dal Liverpool capolista, l’unica e ultima scintilla per trasformare la stagione si chiama Champions League. Ma può l’Arsenal avere aspirazioni in tal senso? Questa è la domanda che Arteta ha ricevuto più spesso nell’ultimo periodo. Soprattutto legata alle condizioni in cui si trova l’Arsenal in questo momento. Una squadra interamente depauperata del proprio potenziale offensivo. Senza Saka, Martinelli, Jesus e Havertz . Un allenatore costretto a inventarsi soluzioni offensive, inventandosi Mikel Merino centravanti e paventando perfino la possibilità che Calafiori possa fare quel ruolo. Chissà quante notti Arteta avrà passato a studiare opzioni, alternative, possibili soluzioni. La trasferta di Eindhoven ci fa ripensare alla lampadina iniziale. L’Arsenal non ha segnato in 3 delle precedenti 4 partite. Le munizioni sembrano esaurite. Invece, ecco la connessione di singole energie confluire in un’unica luce abbagliante. 3 gol in 30’. 7 in 94’. 6 marcatori diversi. Qualificazione ai quarti in tasca. Se Arteta cercava risposte ai suoi tanti dubbi notturni, eccole lì scintillanti nella notte di Eindhoven. Quella in cui con un pizzico di ottimismo in più ha fatto ripensare ai tifosi dell’Arsenal il famoso ‘Trust the Process’. Credere nel processo, nell’evoluzione di una squadra che comunque andrà ha rispolverato il prestigio di un club che per anni ha brancolato nel buio.

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L'Arsenal riaccende la luce, ma la squadra di Arteta può ambire a vincere la Champions?

Filippo Benincampi