Tutta l'epica dell'Inter di Champions

Una sfida epica. Un’impresa eroica. Accostare certi aggettivi a vicende legate al mondo dello sport a volta suona un po’ troppo ridondante, persino fastidioso. Ma quando ci vuole, ci vuole. La doppia semifinale con il Barcellona ha sublimato tutti i valori dell’Inter di Simone Inzaghi: una squadra fortissima, in continua crescita da quattro anni a questa parte, che probabilmente in questa stagione ha raggiunto il massimo di sapienza calcistica, per quanto non sempre accompagnata da concentrazione e condizione atletica all’altezza della qualità del gioco prodotto. Ma, quando contava, cioè in Champions, cuore e testa hanno sempre saputo sopperire persino alla pesantezza delle gambe. Sono state due partite fantastiche, elettrizzanti, altamente spettacolari. Hanno regalato tutte le emozioni e le incongruenze che il calcio può offrire. Tredici gol e un’altalena di stati d’animo opposti in 210 minuti più recuperi senza pause. Se si vuole trovare una logica in un gioco che di logico spesso ha ben poco, si può dire che alla fine ha prevalso la squadra che ha saputo interpretare in modo diverso le differenti fasi della partita: troppo monocorde il calcio del Barcellona, per quanto esteticamente incantevole; molto più articolato e variabile il modo di stare in campo dell’Inter, capace di alternare pressioni alte assai efficaci e aggressività a tutto campo a lunghi momenti in cui sta rintanata nella propria tre quarti, magari facendosi schiacciare eccessivamente, in attesa di trovare gli spazi per verticalizzazioni improvvise. E in più la forza fisica, i muscoli che hanno consentito all’Inter di vincere tutti i duelli decisivi uomo contro uomo dei suoi attaccanti contro i difensori avversari. Poi naturalmente il diavolo sta nei dettagli. Gol a raffica, parate straordinarie, giocate sopraffine, pali che tremano ancora, sbalzi d’umore, ma alla fine tutto si è deciso in 42 secondi, quelli passati fra il palo colpito da Lamine Yamal al 92’ sul 3-2 per i catalani e il pareggio agguantato da Acerbi esattamentre al 92’42”, quando qualche tifoso interista stava già uscendo dallo stadio affranto. Sì, perché l’ultima mezz’ora del secondo tempo era stato un monologo del Barcellona, con i nerazzurri incapaci di assorbire la delusione del secondo vantaggio di due gol svanito in due partite e che sembravano alla mercé degli avversari. Anche molto più stanchi. Chi avrebbe potuto mai immaginare che sulla respinta di quel palo si sarebbe lanciato in avanti alla velocità del suono, trasformandosi in perfetto attaccante, capace di chiudere in rete l’ennesimo strappo del gigantesco Dumfries, il difensore più difensore, l’ultimo uomo dell’Inter e nello stesso tempo, il più vecchio giocatore in campo, proprio lui, Francesco Acerbi, 37 anni compiuti. Lì si è deciso tutto: nei supplementari l’Inter è sembrata ricominciare a giocare con l’aggressività del primo tempo, quel gol scaccia-eliminazione all’ultimo secondo aveva spazzato miracolosamente via tutte le tossine, mentre il Barcellona ne subiva l’inevitabile contraccolpo continuando ad attaccare per forza di inerzia, ma senza più energie né efficacia, a parte l’incredibile Yamal. Il calcio è uno sport ineguagliabile Proprio perché impossibile non solo da prevedere, ma persino da spiegare, dopo avere visto una partita, anzi due. Uno prova ad analizzare i dati complessivi dei due confronti e scopre che: il Barcellona ha avuto il 71,3% di possesso palla, e fin qui niente di strano, sappiamo che questo è un numero che può significare poco; il Barcellona ha effettuato 41 tiri, l’Inter 20; il Barcellona ha tirato in porta 19 volte, l’Inter 10 ; il Barcellona ha toccato 86 volte il pallone nell’area di rigore avversaria, l’Inter 46. Senza contare i tre pali colpiti dai blaugrana fra andata e ritorno e le pazzesche parate di Sommer, non a caso man of the match della gara di San Siro. Il Barcellona è stato più bello da vedere, ma l’Inter è stata più squadra. Complessivamente più matura, e non solo per gli oltre 4 anni differenza di età media, 29.5 anni i nerazzurri, 25.1 il Barca. Ché anzi questo sarebbe dovuto essere un limite, meno freschezza e meno corsa, nonostante una superiore stazza. È stata più matura perché è riuscita dare il massimo con tutti i giocatori in questi due appuntamenti fondamentali: sono state le due migliori prestazioni stagionali, nettamente superiori pure alle due gare con il Bayern Monaco. E Inzaghi stavolta, nonostante nelle scorse settimane sia stesso spesso criticato per la gestione delle sostituzioni, ha saputo, proprio azzeccando tempi e modi dei cambi, spremere il meglio da tutti i componenti della rosa. Persino la decisione di far giocare dall’inizio un Lautaro Martinez visibilmente a mezzo servizio si è rivelata efficace: nel primo tempo, la miseria di nove palloni giocati e un passaggio completato, ma un gol segnato e un rigore procurato. A proposito di numeri. Ora ci sono più di venti giorni di tempo per ricaricare le batterie e presentarsi in migliori condizioni atletiche a una finale sicuramente difficile, ma che vedrà questa volta i nerazzurri partire comunque favoriti: perché la squadra è forte, sa giocare come abbiamo visto in tanti modi diversi e perché le finali sono l’unico tipo di partite in cui l’età avanzata dei giocatori è un fattore positivo, non un handicap. Visto come sta andando il campionato, sarebbe un peccato che una squadra così completa e competitiva a livello internazionale chiudesse la stagione senza nemmeno un successo. Del resto, tornando a parlare di calcio, mistero senza fine bello , come può essere che questa Inter, formidabile in Europa, in campionato non sia riuscita a battere nemmeno una volta fra andata e ritorno Napoli, Juventus, Milan e Bologna? Evidentemente i giocatori, fin dallo scorso agosto, a un obiettivo solo pensavano sopra ogni cosa: la Champions League.

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Gianfranco Teotino