Samuel: "Le finali di Champions si vincono con la testa"

Il fisico è ancora quello statuario e dirompente di un tempo, la voce calma e tranquilla, tipica di chi sa quasi sempre il fatto suo, gli occhi profondi di un azzurro intenso, che però nasconde dietro a un vistoso paio di occhiali da sole. Walter Samuel, la leggenda nerazzurra protagonista del Triplete di Mourinhana memoria, oggi collaboratore del Ct della nazionale argentina Lionel Scaloni e ospite speciale di Sky Sport per la finale di Champions tra la sua Inter e il Psg, lo troviamo così ad attenderci nella hall del suo albergo di Monaco di Baviera per una piacevole chiacchierata in esclusiva per Sky Sport Insider. Ci riceve con un gran sorriso, una stretta di mano e poi via, basta coi convenevoli, e subito a parlare di calcio. Del suo mondo, insomma. E siccome quel mondo l’ha vissuto da protagonista è subito al cuore del discorso che si arriva, la finale di questa sera. “La chiave determinante in una partita del genere secondo me è la concentrazione, essere al 100% dentro la gara con la testa”. Facile a dirsi, d’altronde sarebbe una finale di Champions. Ma riuscirci è un’altra cosa. Soprattutto quando attorno a te la pressione è elevatissima. E te come ci sei riuscito? Mi sono astratto completamente, ero focalizzato solo sulla partita. Tanto che ricordo poco o nulla dei momenti subito precedenti. Sicuramente parlarono Jose e Pupi ma non ricordo cosa dissero. Anche entrando in campo pensavo solo alla partita, osservai per un attimo la coreografia e niente altro, senza nemmeno cercare dove fosse la mia famiglia. Ero mentalizzato tutto sulla gara. Nemmeno un po’ di emozione? Certo, quella c’era e anche tanta. Soprattutto al momento del riscaldamento, quando ho visto le due tifoserie divise, i colori sugli spalti, i rumori… mi viene ancora ora la pelle d'oca, fu un momento unico. Era il vostro sogno, o anche un’ossessione? No, nessuna ossessione. Era solo il nostro grande sogno, l’ultimo atto per poter chiudere il cerchio nella maniera migliore. In quella squadra c’erano tanti giocatori che, oltre a essere fortissimi, giocavano insieme da anni, si conoscevano, avevano formato un gruppo straordinario e quello era un po’ il premio per quello che avevamo costruito. Un po’, forzando forse le cose, come l’Inter di oggi Esatto, nessuna forzatura. Secondo me è proprio così e il paragone ci sta tutto. La squadra è forte, i giocatori principali giocano oramai insieme da 4-5 anni, sempre con Inzaghi in panchina. Poi la maggior parte di loro è reduce dalla finale di Istanbul e sono sicuro che quell’esperienza sarà loro preziosa. Hai citato Inzaghi, cosa ti piace più di lui e del gioco della sua Inter? A me piace moltissimo come gioca l’Inter, soprattutto per il modo in cui attacca. Questo gioco con continui scambi di posizione, con calciatori che sanno interpretare le due fasi in diversi contesti del campo, i movimenti continui dei tre centrocampisti tutti molto tecnici, e poi l’intesa tra Lautaro e Thuram, che sono fortissimi. Le partite le vincono i giocatori, è vero, ma il modo in cui si gioca può aiutare molto e a me piace moltissimo la mobilità di questa Inter che toglie continuamente i riferimenti alla difesa avversaria. A un certo punto ti trovi Bastoni avanti sulla sinitra, Dimarco spostato al centro, Calhanhoglu che arretra… e gli avversari non capiscono più nulla. Poi loro sono aiutati dal fatto che giocano insieme da tanto e quindi viene tutto più facile. E invece del Psg cosa ti piace? A cosa dovrà stare attenta l’Inter? Devo dire che sono rimasto particolarmente impressionato dal Psg. Li ho visti contro il Liverpool in casa e sebbene alla fine hanno perso hanno giocato una partita clamorosa, costruendo tantissime palle gol. Secondo me, poi, al contrario di quello che si dice, non giocano col 4-3-3 ma costruiscono sempre a tre, con uno dei centrocampisti che si abbassa e i terzini che diventano ali, con due centrocampisti di struttura e tecnica in mezzo e un attacco velocissimo e che si muove molto. Dembélé d’altronde non è un attaccante puro, viene molto a giocare e svaria su tutto il fronte: ecco, forse questa particolare mobilità del tridente parigino potrebbe mettere in difficoltà la difesa dell’Inter. Se si dice difesa dell’Inter viene subito in mente Acerbi e quel gol al Barcellona. Ovviamente non è paragonabile per l’importanza della partita, ma nel 2010 segnasti al Siena un gol, decisivo alla fine per lo scudetto, in pieno recupero sugli sviluppi di un’azione, quindi non da calcio piazzato, una cosa insolita per un difensore centrale. Cosa si prova in situazioni del genere? Un’emozione pazzesca, difficile da descrivere, anche se quello di Acerbi è tutta un’altra cosa. Eravamo sotto 3-2 e Mourinho mi dice di andare avanti. Riusciamo a pareggiare con Wesley e a quel punto ricordo benissimo che pensai ok me ne torno dietro ma Mourinho iniziò ad urlarmi “rimani li, rimani li”. Poi quando mi sono ritrovato quella palla, ho calciato fortissimo di sinistro ed è entrata: non ci potevo credere, non so, è stata un'emozione unica per il gol certo ma anche per quello che è successo sugli spalti e in campo, per quella rimonta clamorosa nel recupero che in fondo ci ha dato tanta spinta anche per il resto del campionato. Un po’, e in questo sì che ci sta il paragone, come successo con Acerbi in semifinale. In che senso? Nel senso che ha elettrificato la squadra, ha generato una carica emotiva in tutti i suoi compagni che poi si è protratta anche nei supplementari. Io non ero allo stadio, l’ho vista in tv coi miei figli, ma anche da casa si percepiva chiaramente, si sentiva nello stomaco. Un segnale in più a favore dell’Inter che speriamo possa servire anche questa sera. Prima hai citato Mourinho e la sua mossa di lasciarti avanti col Siena, capitava spesso che lui avesse intuizioni che poi si sono rivelate corrette? Beh sì, decisamente. Ogni volta che diceva qualcosa la azzeccava, o ci andava tremendamente vicino. Ad esempio, tornando alla finale del 2010, noi siamo andati a Madrid quattro giorni prima a causa dei problemi che c’erano stati coi voli, legati all’eruzione del vulcano Eyjafjöll, e così abbiamo avuto tre giorni pieni per preparare la partita. Mourinho l’ha fatto ovviamente scendendo fino ai minimi dettagli, un giorno la fase difensiva, un giorno quella offensiva, un altro le situazioni da fermo, e devo dire che è successo quasi tutto quello che lui aveva previsto. Poi ovviamente in campo dipendeva da noi e per fortuna Diego era dalla nostra parte. Sapevate invece che Mourinho dopo quella partita non sarebbe più stato dalla vostra parte? Moratti nei giorni scorsi ha detto che lui lo sapeva, voi giocatori invece? Ne parlavate? Se ne parlava, anche noi ogni tanto lo dicevamo ma non era una certezza. Più che altro non ci pensavamo, soprattutto in quei giorni. La settimana che precede una finale di Champions è sempre molto particolare e poi Josè ci continua a trasmettere la solita tranquillità quindi per noi non era un tema. Ma come ti ho detto non eravamo certi, forse Moratti già lo sapeva ma noi no quindi alla fine non è stato assolutamente un problema. Direi di no. Tanto è vero che poi siete finiti a festeggiare a San Siro alle 6 di mattina con quasi 80 mila persone Pazzesco, è stata una delle cose più assurde che abbia mai visto. Uno stadio pieno alle 6 di mattina per festeggiarci, assurdo. L’unico piccolo rammarico, si fa per dire, è che sono dovuto subito partire per i Mondiali con l’Argentina, quindi, non sono riuscito a godermi tanto la vittoria della Champions coi miei compagni. Ma quella mattina a San Siro non la dimenticherò mai. Siete ancora in contatto tra di voi, avrete un gruppo Whatsapp, immagino Sì, certo, siamo ancora molto uniti e ci sentiamo spesso. E chi è quello che scrive di più? Marco è il più attivo di tutti. Ma anche Pupi Zanetti, Ivan Cordoba, Wesley Sneijder. E’ un gran bel gruppo, siamo ancora uniti. Quella era una squadra pazzesca. Guidata da un grande capitano come Zanetti Pupi era un esempio costante, tutti i giorni. Era quello che rimaneva in campo ad allenarsi anche oltre l’orario. La sua cultura del lavoro era impressionante, ovviamente c’erano anche grandi doti tecniche, ma era giustamente convinto che senza applicazione non si potranno mai ottenere risultati. Lavorava anche in vacanza, sempre, tutti i giorni, pazzesco. La forza di quell’Inter fu anche la capacità di Mourinho di far coesistere tanti giocatori offensivi, grazie anche alla disponibilità di un giocatore immenso come Eto’o Assolutamente, bisogna togliersi il cappello di fronte a Samuel. Si è messo subito a disposizione della squadra, senza mai dire nulla, rincorrendo gli avversari quando serviva, dandoci una carica incredibile. Perché quando vedi attaccanti che aiutano i compagni in questo modo, come facevano anche Milito e Pandev, ti senti protetto e ti carichi ancora di più. Un po’ come fanno anche Lautaro e Thuram, che aiutano tantissimo la squadra, pressano, combattono. Ma d’altronde oramai il calcio è cambiato. Quello che non cambia è il valore di una Champions. A questa Inter manca una partita per considerarsi all’altezza della tua del 2010, non credi? Non mi piace mai fare paragoni, anche perché il calcio è cambiato molto e poi le squadre sono molto diverse come impostazioni e modo di giocare. Però sì certo, se dovessero vincere stasera, e lo spero, entrerebbero nella storia come abbiamo fatto noi nel 2010. Me lo auguro sinceramente perché se lo meritano, sono un grande gruppo che lavorano benissimo insieme da anni. E poi questa volta, a differenza di Istanbul, ci sarai anche te allo stadio E allora speriamo porti fortuna…

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Michele Mastrogiacomo